dal nostro inviato a Vienna
È la vigilia del torneo ATP di Vienna, dove ormai cinque anni fa Dominic Thiem trovò il primo successo tra i grandi (6-2 6-3 a Thomas Muster, in una sorta di passaggio di consegne). Nella Stadthalle ancora cantiere, tra test dei riflettori e allestimento degli stand, l’evento clou della giornata è la presentazione ufficiale del libro di Gunter Bresnik, che proprio del suo attuale pupillo porta il nome. “Die Dominic Thiem Methode” – il titolo è di quelli che possono far discutere, del resto Dominic è ancora nel primo quarto della propria carriera – è però più del manuale su come il coach austriaco ha plasmato il ragazzo, preso bambino e portato in top-10. È anche, è anzi soprattutto, la sua storia di allenatore.
Seguito fedelmente da Thiem, Bresnik entra nella metà del campo centrale allestita a sala conferenze mentre gli schermi proiettano, a beneficio di amici, familiari e stampa nazionale (e Ubitennis), una lunga clip sui suoi 35 anni da allenatore. Il montaggio indugia sui match point più importanti dei suoi assistiti – da Boris Becker a Pat McEnroe, fino all’amico Stefan Koubek – e sulle esultanze dell’omone austriaco; trentacinque anni di sguardo severo e partecipazione passionale, sempre indossando una qualche tutona acetata. “Quando ho iniziato avevo tantissimo da imparare, andavo ogni giorno a domandare agli allenatori più esperti” spiega Gunter, “e ancora oggi sono convinto di poter imparare molto altro della mia professione”. Il clima è molto sereno, non mancano le battute, ma è l’unica occasione in cui Bresnik ruba la scena al ragazzo: “La star è Dominic, tutti vogliono sapere e scrivere di lui, è anche per questo che gli ho dedicato titolo e copertina del libro. Sono sicuro che non soffre la pressione di una cosa del genere, come non soffre tutte le altre grandi aspettative. Per lui è un onore”.
Bresnik è poco incline al protagonismo, ma è schietto. I suoi meriti, come le sue colpe, se le prende e quando c’è da dire qualcosa la dice. Oppure spiega che non può rispondere: “Molti dicono che Dominic è stanco, che ha lavorato troppo, ma lui è ancora lontano dal suo limite fisico. Ci sono ragioni per questa seconda parte di stagione non all’altezza della prima, ma non posso dirle, perché ho un rapporto splendido con la sua famiglia e perché darei un vantaggio ai suoi avversari”. E non è certo così che intende rovinare il lavoro che ha fatto, e continua a fare. Perché – come spiega mentre scrive, per ognuno, una lunga dedica personale sulla copia omaggio – “qui dentro c’è tutto quello che ho imparato come coach, c’è l’esperienza della mia vita”.
Questa esperienza l’ha trasformata in metodo, per trasmetterla a Thiem. Non per farne un campione – “il campione nasce tale” – ma per farlo venire fuori. Sono oltre duecento pagine, per il momento soltanto in tedesco. Ma ci sono ancora molti altri capitoli da scrivere.