Talento, baby-Federer, generazione perduta, “troppo dietro la linea”, colpi che non lasciano fermo l’avversario. Ne abbiamo lette, insomme. Grigor Dimitrov ha fornito materiale a indovini e critici di professione ma in pochi ci hanno preso, perché le prospettive diffuse erano perlopiù ottimistiche e campione ancora non ci è diventato, Gli stessi indovini hanno poi iniziato a denigrarlo sentendosi traditi. Il bulgaro, prima con e poi senza Sharapova, a tratti ha dato la sensazione di poter varcare quella linea eppure non ci è mai riuscito, qualche volta vi si è affacciato con timidezza mista a curiosità e poi si è tirato indietro, spaesato. Non si va oltre se non si vuole davvero andare oltre, e Grigor quella voglia probabilmente non l’ha mai davvero avuta.
Certo, c’entra anche il tennis. Una meccanica dei colpi che incanta per eleganza e pulizia, eppure a volte sembra costargli troppa fatica: lo sforzo corrisponde allo schiocco ma non (sempre) al risultato finale. Il footworking valica l’essenziale, e nel tennis ogni goccia di sudore non richiesta ma versata sul campo significa, inesorabilmente, una goccia di benzina in meno nel serbatoio. Il vero e troppo spesso taciuto talento di Federer – che con troppa fretta hanno tentato di cucire anche addosso a Dimitrov – consiste proprio nella capacità di non eccedere mai quando c’è da caricare un colpo. Quanto meno ci si scompone per raggiungere una pallina e conferirle l’inerzia necessaria per tornare dall’altra parte, tanto più si ha la reattività necessaria a dedicarsi al colpo successivo. Si lasci stare Djokovic, che in campo risponde ad altri criteri e talvolta anche a un’altra fisica. Dimitrov ha buoni mezzi atletici, è dotato di un’ottima elasticità (forse regalo di mamma Maria, ex pallavolista), ma non può ergere queste caratteristiche a manifesto del suo tennis.
Riconosciuti i suoi limiti tecnici, in realtà non impossibili da superare, è inevitabile che il discorso si sposti su quello che più facilmente viene riconosciuto come il cappio che strozza le sue prestazioni: l’aspetto mentale. Abbiamo visto Dimitrov perdere tante partite per timori reverenziali, altre volte si è semplicemente specchiato troppo nei suoi colpi finendo per lasciare strada ad avversari meno dotati di lui. L’ex “Sharapovo” ha dimostrato quanto le pecche di concretezza possano influenzare la carriera di un giocatore, il vizio di piacersi e la pericolosa tendenza a preferire il bello all’utile. Fino ad un certo momento della sua carriera Grigor è riuscito a trovare un equilibrio, mai realmente prologo della sua affermazione ad alti livelli, ma almeno garanzia di una dignitosa permanenza tra i grandi del circuito.
Le difficoltà del bulgaro hanno però assunto proporzioni eccessive e si sono tradotte nell’uscita dai top 20 in ottobre 2015. Nei primi mesi del 2016 Grigor si è mantenuto in linea di galleggiamento, brillando raramente nei grandi appuntamenti e centrando due finali perse a Sidney (Troicki, dopo aver praticamente vinto) e Istanbul (Schwartzman, al termine di una finale-psicodrammatica). Poi l’incredibile filotto negativo tra Madrid e Queen’s (cinque sconfitte consecutive) e l’ulteriore caduta in classifica fino alla posizione 40. Qui effettivamente anche i più ottimisti hanno iniziato ad abbandonare la barca di fronte a un 25enne non più soltanto lontano dalla definitiva maturazione ma anche invischiato in una pericolosa spirale involutiva.
A ricordarci che nel tennis l’equilibrio dei giudizi sono fondamentali i tornei di Toronto e Cincinnati, dove Dimitrov ha centrato quarti e semifinale, e gli ottavi di New York persi nettamente contro Murray, incontrato senza fortuna anche in finale a Pechino in una partita molto più combattuta. È un nuovo Dimitrov? La tentazione è concedersi lo stesso ottimismo dei primi pronostici, che rivisti a posteriori appaiono falsati dall’ormai abusata somiglianza tra le sue movenze e quelle di Federer. Adesso è bene analizzare i fatti con più attenzione, alla luce di uno storico di diversi anni che non può essere trascurato. Che sia o meno troppo tardi per saltare sul treno giusto è davvero troppo difficile da immaginare e la tardiva esplosione di Wawrinka è in tal senso un monito di prudenza. Certo Dimitrov non può pensare di aver colpito il centro del bersaglio sparando un paio di timidi colpi, ma almeno adesso la sua arma è di nuovo carica. E prima che a sorpassarlo giungano inesorabili quelli che di aspettative possono ancora tradirne, perché guardano ancora da lontano i 25 anni, se Grigor deve dirci qualcosa è bene che lo faccia.