dal nostro inviato a Vienna
[1] A. Murray b. [6] J.W. Tsonga 6-3 7-6(6)
Nel breve tratto all’aria aperta che la linea 4 della U-Bahn, contrassegnata dal colore verde scuro, percorre tra il Grand Hotel dove alloggiano i giocatori e la Stadthalle dove si danno battaglia, si può ammirare una rigogliosa varietà architettonica. Come la maggior parte delle importanti città europee, Vienna ha impiantato elementi contemporanei nella sua affascinante storia secolare. Il mix tra conservazione e improvvisi sprazzi di novità (non sempre riusciti) che ne risulta ricorda da vicino il confronto tra gli stili di gioco di Andy Murray e Jo-Wilfried Tsonga, ex campioni dell’Erste Bank Open quando il torneo faceva ancora parte della categoria ATP dei 250 e finalisti di nuovo oggi, a punti in palio raddoppiati.
Quel tratto di strada stamattina l’avevano percorso anche loro – nell’automobile messa a disposizione del torneo, certo. Entrambi con lo stesso pensiero in testa, ognuno con la sua personale motivazione. Portare a casa la coppa, sì, ma per farne cosa? Jo aveva una stagione da risollevare, una stagione fino a ieri priva persino di una misera finale – saltare la prima manche indoor per giocare sulla terra sudamericana, a febbraio, non lo ha aiutato. Anche se la matematica non lo condannava ancora, in settimana aveva detto che alle ATP Finals ci pensa “zero”. Andy invece prima delle Finals è atteso da quello che ormai tutti gli fanno sentire quasi come un dovere: superare Novak Djokovic nella race e poi, quando a fine novembre quella combacerà con il ranking vero e proprio, prendersi il suo posto da numero uno. Evidentemente la volontà dello scozzese è stata più forte. O semplicemente è più forte lui e basta, visto che Tsonga nell’intero incontro ha trovato una sola palla per il (contro)break, nel secondo set, quando Murray serviva per andare 6-3 5-3.
Forte della sua costanza in risposta (46% di punti vinti contro una prima di servizio e oltre la metà dei game in risposta portati a casa nel corso del torneo), Murray si è posto come obiettivo primario quello di trattenere Tsonga nel palleggio, giocando un primo colpo offensivo e poi controllando fino a trovare il varco, o un errore gratuito. Proprio così ha ottenuto il break in avvio, indirizzando di fatto l’intera finale: per evitare questa morsa, il franco-congolese è stato costretto a seguire a rete la prima di servizio e in generale a provare colpi rischiosi a inizio punto, con risultati emozionanti per il pubblico ma alterni in efficacia. In battuta invece Murray non ha avuto problemi, servendo palle molto cariche che Tsonga in numerose occasioni non è stato in grado di controllare. Dopo non aver concesso alcuna palla break per l’intero primo set, Andy ha strappato il servizio anche in apertura di secondo e tutto sembrava destinato a terminare in un batter di ciglia. Invece un piccolo calo di tensione da un lato e un sussulto dall’altro hanno garantito perlomeno un tie-break.
Il primo punto del quale ha fatto capire che il finale non sarebbe stato capovolto: un passante di Murray si è trasformato in lob e Tsonga non ha potuto far altro che regalare un altro paio di bei punti, prima di accettare il trofeo in miniatura e andare a sorridere alla stampa. Perché “è stata lo stesso una bella settimana”. Andy ha ringraziato tutti, dal direttore Thomas Muster ai raccattapalle con la racchetta-retino, e tra i coriandoli ha già messo la testa su un volo per Bercy. Intanto il muro dei 10.000 punti è stato sfondato, Djokovic è stato raggiunto nel numero di trofei vinti in stagione (7) e il vantaggio nei match vinti in questo 2016 è stato portato a +10 sul serbo, 69 a 59. Tutte cose che non bastano ancora a dargli questa benedetta prima posizione del ranking, ma quell’ancora va sottolineato tre volte.