Si sono conosciuti nel 2005 e si sono separati nel 2016. Dodici anni di rapporto professionale che hanno portato Sara Errani dal nulla a completare un cammino da leggenda. Finalista di uno Slam, numero 1 del mondo in doppio, top ten in singolare, nove titoli WTA e il rispetto di tutto lo spogliatoio. Alti e bassi di rendimento, nei risultati e nelle aspettative, ma mai nel metodo di lavoro e nell’umiltà come unico metodo per crescere. Pablo Lozano racconta a “PuntodeBreak” i segreti di una relazione straordinaria, la storia di una fede permanente ma ci racconta anche che le migliori storie giungono ad una fine. Ieri, per qualche ora, l’intervista non era più raggiungibile sul sito spagnolo. Di solito accade quando l’intervistato, o qualcuno per lui, contesta quanto è stato scritto o pretende una qualche correzione.
Cosa è successo Pablo?
In 12 anni molte cose. È strano separarsi da Sara dopo tutto questo tempo e vedere che ha adesso una nuova squadra. Ma è logico e enormale, se guardi il circuito, nessuno dura tanto. Alla fine le cose cadono sotto il proprio stesso peso, soprattutto quando i risultati non aiutano.
Sembra però ingiusto che si guardi sempre ai risultati, soprattutto dopo un lavoro di 12 anni insieme.
I risultati contano sempre però all’interno di una logica, alla fine di una stagione non importa concludere 12esimo o 20esimo. Però quando è una cosa molto evidente, come in questo caso che Sara è diventata meno competitiva, lei che è sempre stata una tennista molto costante, allora ti rendi conto che ha perso la sua essenza. Ed io sono il responsabile, per questo si sono prese delle decisioni. La situazione non era buona, abbiamo fatto ciò che potevamo ma il risultato è stato questo.
Chi ha preso la decisione?
È iniziato allo US Open dove i risultati non erano già buoni anche se continua ad essere la n. 40 del mondo. Ma le aspettative di ognuno sono diverse. Si vede quando una persona non è più a proprio agio, soprattutto una come Sara, una tennista estremamente competitiva. Con una persona così è meraviglioso quando si vince, ma non tanto quando si perde. Per fortuna abbiamo ottenuto sempre più vittorie che sconfitte finché quest’anno non è avvenuto tutto il contrario. Non dico che non mi è piaciuto stare al suo fianco nella sconfitta ma che il vissuto giorno dopo giorno non è molto buono, soprattutto per l’atleta. Si soffre tanto, e mai come quest’anno abbiamo litigato così tanto. È stata una decisione molto dura e traumatica ma la migliore che potessimo prendere. Quando me lo ha detto mi sono dimenticato di me stesso e l’ho appoggiata al 100%. Per me Sara è come una di famiglia.
In 12anni hai pensato potesse finire così?
Ogni volta che perdeva tre partite di fila pensavo di essere fuori. Nonostante avessimo una relazione meravigliosa ed eccezionale. Ma è così che deve essere per un allenatore.
In tutti questi anni ci sarà stata un’occasione particolare, un aneddoto da raccontare. Raccontane qualcuno.
Roma 2005. Stavano giocando alla playstation del circolo tra un allenamento e l’altro. Lei sceglieva sempre Hewitt, io Nalbandian, facevamo delle partite durissime. Per dare un’idea di quanto sia competitiva, stavamo giocando un tie-break ed era così nervosa che abbiamo dovuto misurarle le pulsazioni: era a 192 seduta su una sedia giocando alla PlayStation! Come puoi avere la pressione a 192 quando sei seduta su una sedia? Lì mi sono reso conto di avere un gioiello.
Chissà se altri allenatori, vedendo il servizio e il rovescio, avrebbero mai iniziato questo viaggio…
O l’avrebbero fatta servire a 190 Km/h. Non dico che il servizio non sia importante, è sicuramente la cosa su cui abbiamo lavorato di più, ma non focalizzavo tutta la mia attenzione su quello, non era un’arma fondamentale per il suo tennis. Mi pagano perché possa vincere e non perché giochi bene. È ovvio che Sara serve a 140, ma io ho visto cose nelle quali lei era migliore di altre, la chiave era nel portare la partita in quelle situazioni in cui era migliore. Secondo me il suo servizio era buono e l’ho sempre difeso, ma non potevo amarlo del tutto. Sara ha sempre interpretato bene le mie informazioni, quando entravo in campo la maggior parte delle volte per parlare con lei lo facevo per dare forza a ciò che lei stava già facendo.
Sei cosciente del merito che hai con tutti i limiti che ha Sara nel suo gioco?
Cos’è il talento? Io ho sempre detto che Sara è una persona normalissima, che rappresenta il 90% della società. Ma non vuol dire che non abbia delle cose speciali, che se le vedi e le potenzi, possono diventare efficaci e potenti. Non ho mai pensato che non fosse brava e poi io l’ho portata dov’è oggi. Ha delle attitudini eccezionali che magari non sono interessanti per il resto delle persone ma che per me erano potenti ed efficaci. Se tutti giocassero come Sharapova allora vincerebbe sempre la più alta o la più potente, io dovevo trovare la formula per contrastare questo con una tennista di un metro e 60. Io nego fermamente che una tennista di 1 metro e 60 non possa avere le possibilità di giocare bene a tennis. Lo nego. Un profilo del genere mi fa emozionare, e non perché è la mia tennista ma perché io vedo cosa può farla vincere. Mi fa arrabbiare che perda con tenniste che sono molto più potenti ma che in testa hanno una pietra, che non sanno a cosa stanno giocando, ma la gente dà più valore a chi è alto 1 metro e 85. Quello è commerciale, è vendibile, ma poi se gli chiedi 2+2 ti rispondono 7. Magari non è facile ma si può fare. Sara ne è l’esempio che sì, si può vincere e trionfare nel tennis,io in una squadra di calcio voglio undici Errani.