In attesa, a fine novembre, della finale di Zagabria, che potrebbe portare alla Croazia la seconda Coppa Davis della sua storia, in questo periodo nella nazione balcanica il ricordo – forse anche nella speranza che sia benaugurante – corre all’impresa di undici anni fa e alla finale vinta in Slovacchia dalla squadra allora capitanata da Niki Pilic.
La vittoria del 2005 porta la firma di Ivan Ljubicic e Mario Ancic. “Ljubo” quell’anno fu mostruoso in Davis: vinse 7 singolari su 8 (perse solo il secondo singolare della finale, al quinto contro Hrbaty) ed in doppio insieme ad Ancic vinse tutti e quattro i match disputati. In finale, l’allora n. 9 del mondo conquistò il primo singolare in tre set, sempre in tre set la coppia croata portò il punto del 2-1 e infine il 21enne tennista di Spalato vinse il singolare decisivo sul 2 pari, battendo Michal Mertiniak in tre set. Per il giovanissimo Ancic sembrava si dovesse trattare solo del primo grande risultato di una carriera che si preannunciava ricca di soddisfazioni, e il raggiungimento del best ranking al n. 7 ATP solo pochi mesi dopo, in seguito ai quarti di finale raggiunti al Roland Garros e a Wimbledon, pareva confermarlo. È stato invece il punto più alto, il più luminoso brillio di quella che è stata una meteora nel firmamento del tennis mondiale: la mononucleosi che lo obbligò a fermarsi ad inizio 2007 di fatto pose fine alla sua carriera. I postumi della malattia e altri infortuni sopraggiunti successivamente lo costrinsero, dopo un paio di vani tentativi di rientro, a dire basta a soli 26 anni.
Mario Ancic, che aveva sfruttato la forzata assenza dai campi a causa della malattia per laurearsi in legge a Spalato nel 2008, una volta detto definitivamente addio al tennis professionistico si trasferì a New York per proseguire i suoi studi in giurisprudenza e diplomarsi alla Columbia University. Curiosamente, scelse proprio la città che a livello di tornei del Grande Slam fu quella che gli diede meno soddisfazioni: agli US Open arrivò solo una volta al secondo turno (e fu stoppato da un 21enne di belle speranze, un certo Novak Djokovic…). Obiettivamente poca cosa, in confronto ai risultati ottenuti nel suo Major preferito, Wimbledon, dove giunse una volta in semifinale e in due occasioni ai quarti di finale. E dove è stato uno dei pochi a battere Roger Federer (al primo turno, nel 2002). Ma è poca cosa anche se paragonato con i risultati del Roland Garros (un quarto di finale e tre terzi turni) e persino con quelli di Melbourne, dove arrivò al massimo agli ottavi, ma non uscì mai prima dei sedicesimi.
Nella “Grande Mela” ha invece trovato enormi soddisfazioni nella sua nuova vita: attualmente lavora a Wall Street per la banca d’investimento svizzera Credit Suisse. E pur essendo la fine dell’anno un periodo particolarmente impegnativo per chi si occupa di finanza (“È il periodo delle sedute dei Consigli d’Amministrazione e i clienti vogliono chiudere le operazioni”), il 32enne Ancic si ritaglierà tre giorni per andare a vedere la finale e tifare Croazia, come ha raccontato – insieme a tante altre cose – in un’intervista ad un quotidiano croato.
Sì, per come stanno andando le cose, riuscirò ad essere all’Arena Zagreb tutti e tre le giornate di gara. Anche la mia famiglia verrà probabilmente a Zagabria, cosi riusciremo a vederci. Al termine riparto subito per New York.
Cosa significa questa finale per il tennis croato e per il suo futuro?
Questa è una cosa enorme perché è l’ultimo di una serie di grandi risultati, iniziati praticamente da quando la Croazia è indipendente. Tutte le nuove generazioni che arrivano si trovano davanti un’asticella posizionata molto in alto. Questi successi incoraggiano i ragazzi a non accontentarsi, li spingono a cercare di raggiungere l’eccellenza. Quando nello sci i fratelli Janica ed Ivica Kostelic vincevano, tutti volevano sciare in Croazia, e lo stesso è accaduto quando la pallamano era ai vertici mondiali. So che per Borna Coric una della maggiori motivazioni è stata la nostra conquista della Coppa Davis nel 2005. Spero che questa generazione riesca a far appassionare al tennis molti giovani croati. Forse tra dieci anni ci sarà qualcuno che dirà che ha iniziato a giocare a tennis quando Cilic e tutta la squadra giocarono e – io ci credo – conquistarono la Coppa Davis.
Con il ritorno di Ivo Karlovic la Croazia è favorita contro l’Argentina?
Il suo ritorno è una gran cosa, se non addirittura un fattore chiave. Con lui abbiamo un giocatore la cui esperienza e conoscenza può aiutare nella preparazione mentale del match, oltre ad essere un giocatore che sta brillando in questa stagione. Inoltre, ha tranquillizzato Borna, che non deve affrettare il recupero con il rischio di incappare in altri infortuni, magari più seri (e che ora è allenato proprio dal fratello maggiore di Ancic, ndr). Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, il ritorno di Ivo appare essere un elemento decisivo. Onore a lui per aver capito quanto la nazionale avesse bisogno di lui.
La Croazia deve temere qualcun altro oltre a del Potro?
La Croazia non dovrebbe temere nessuno, soprattutto quando gioca in casa. La cosa più importante è che i giocatori rimangano sani dopo una stagione particolarmente lunga, dato che ci sono state anche le Olimpiadi. Per questo il loro avversario più grande potrebbe essere la stanchezza. Il primo obiettivo dello staff tecnico sarò quello di mantenere freschi i ragazzi, in modo che in un periodo in cui di solito riposano, mantengano il ritmo partita e si presentino alla finale nella forma migliore.
Per anni la Croazia ha cercato un doppio affidabile in Coppa Davis, adesso ci sono Dodig e Cilic. È stata questa la chiave del successo di questa stagione?
Direi di sì. Se Dodig e Cilic non avessero creduto nella vittoria sullo 0-2 contro gli Stati Uniti, niente di tutto questo sarebbe accaduto. Il punto del doppio in Coppa Davis è sempre cruciale. Al fianco di Dodig, che da diversi anni ha risultati eccezionali in questa disciplina, si è visto un Marin che può reggere fisicamente tre match in tre giorni, e poche nazionali oggi possono disporre di un giocatore simile. Loro due in questo momento in doppio possono battere chiunque.
Riavvolgendo il file della vittoria di Bratislava nel 2005, qual’è il primo ricordo che le viene alla mente?
Tutti avevano capito che occasione avevamo. Anche se giocavamo in trasferta eravamo comunque leggermente favoriti. Anche se la Coppa Davis è una competizione complicata, dove alcuni top player giocano benissimo, mentre altri crollano sotto la pressione, sarebbe stata veramente una sorpresa se avessimo perso. È capitato che toccasse a me scendere in campo per il quinto, decisivo, match e si è trasformato nel più bel ricordo della mia carriera. Avevo 21 anni, qualcuno aspetta un’occasione così tutta la vita. Come il tiro da tre della vittoria nella pallacanestro. O il calcio di rigore in una finale nel calcio. Ivan disputò una stagione fantastica, io dovevo solo “mettere il timbro” e portare a casa l’insalatiera. Non dimenticherò mai i festeggiamenti e l’accoglienza. Quando abbiamo visto la gente che ci aspettava all’aeroporto e le migliaia di persone in piazza, è stata un’esperienza indimenticabile. Come ex giocatore, vorrei che i ragazzi adesso provassero le stesse sensazioni.
Con Ivan Ljubicic siete rimasti in contatto?
Ci siamo sentiti da poco per metterci d’accordo dove incontrarci. E ci vedremo proprio a Zagabria per la finale.
Cosa pensa di Ljubicic come coach e della sua collaborazione con Federer?
Ivan sa fare bene questo mestiere, lo ha dimostrato già prima di questo incarico. Ha dimostrato quanto è preparato anche con Raonic, che con lui si è imposto come uno dei successori della fantastica generazione dei Fab Four. Purtroppo le cose con Roger sono state bloccate dagli infortuni. Speravo ci vedessimo in occasione degli US Open, invece hanno dovuto rinunciare a tutti i tornei. Piano piano il tempo passa anche per Roger, nonostante sia un giocatore fantastico, forse il più forte di tutti i tempi. Per questo credo che il prossimo sarà un anno cruciale per Ivan come allenatore e per Federer come giocatore.
Situazione caldissima in cima alla classifica ATP, Djokovic vede Murray nello specchietto retrovisore.
Se qualcuno solo qualche mese fa mi avesse detto che sarebbe accaduta una cosa simile, avrei pensato che non era normale. Incredibile come nel tennis le cose cambino velocemente. Non mi aspettavo che Novak fallisse a Wimbledon e ai Giochi Olimpici, ma credo ancora che dipenda ancora da lui se Murray riuscirà a superarlo o meno. Dipende da come andrà il suo finale di stagione. Lui è un giocatore di qualità e se gioca al suo livello, rimarrà il n. 1. Per ora…
Quanto riesce a seguire il tennis?
A causa delle differenze di fuso orario spesso mi è difficile vedere i match alla TV, ma seguo tutto quello che succede. Sono stato felice della vittoria di del Potro a Stoccolma. Anche lui ha passato un vero calvario a causa degli infortuni, e quando qualcuno riesce a tornare in questo modo, mi fa sempre piacere. Anche se per noi croati non è il massimo in vista della finale, perché adesso la fiducia gli sarà salita sino al soffitto!
Tra poco saranno sei anni che si è ritirato…
Non festeggio l’anniversario, ma guardando adesso a quel giorno, mi ha permesso di occuparmi di altre cose. È stato un periodo difficile, per quanto ne avessi già passati di simili in precedenza.
Prova nostalgia quando ripensa ai suoi match, alle sue vittorie?
I ricordi più importanti sono quelli con la nazionale. Non solo i risultati, quanto anche le situazioni mentali attraverso le quali sono passato, in Coppa Davis, alle Olimpiadi. Adesso l’età in cui ottenere risultati di livello si è alzata attorno ai 28-29 anni, basta pensare ad esempio a Berdych, a Wawrinka… Se penso a cosa ho fatto io fino ai 23 anni, ovviamente mi pongo la domanda di dove sarei potuto arrivare. Quando ho smesso di giocare la mia vita è completamente cambiata. Oggi faccio altre cose, sebbene anche queste ad alto livello. Quando ci ripenso, e sento la soddisfazione per quello che ho fatto come tennista, siccome da atleta sono sempre stato un perfezionista mi viene da chiedermi “cosa sarebbe stato se…”. Ma ho girato pagina, mi sono dedicato alla mia istruzione e questo mi ha gratificato allo stesso modo in cui prima mi gratificava il tennis. Ma quello che sono oggi come persona lo sono anche grazie allo sport, che mi ha insegnato a rendere sotto pressione. Le esperienze che ho vissuto da atleta mi aiutano nella mia professione attuale: le pressioni sono molte, le aspettative alte, ma io ho sempre la sensazione di esserci già passato. Se non avessi praticato sport ad alto livello, oggi in certe situazioni sarei più debole dal punto di vista mentale.