London Calling, Dominic Thiem: “Top 5? Non ancora”
London Calling, Marin Cilic: pronto per un altro exploit
Si sono scritti fiumi di parole sul ristagno del tennis in questa seconda parte di 2016, e più in generale in quest’epoca di tramonto dei re (sappiamo quali). I vecchi sono vecchi, i giovani stentano a sbocciare completamente, la generazione di mezzo non ha mostrato appeal sufficiente ad appassionare le masse. Così, a leggere gli otto nomi dei qualificati alle ATP Finals, a molti rimane l’amaro in bocca. Nonostante tutto, nonostante Federer e Nadal a casa e Kyrgios in riformatorio, il gran finale di stagione pare destinato ad essere la solita serata di gala con gli invitati di sempre. Più due ospiti un po’ a sorpresa, che ci si augura di vedere vestiti a festa per la loro prima apparizione: Dominic Thiem e Gael Monfils.
Se per l’infaticabile austriaco la qualificazione alle Finals costituisce una delle prime tappe importanti di una promettente carriera, per Monfils – oggi trentenne – si tratta piuttosto di una soddisfazione inattesa da aggiungere al bilancio della propria. E non è detto che non possano essercene altre, prima di tagliare il traguardo: nonostante l’attenzione dei media fosse sempre direzionata altrove, nella stagione che volge al termine “LaMonf” ha letteralmente superato se stesso. Conquistando i quarti di finale agli Australian Open in gennaio (personal best), la finale nel Masters di Montecarlo in aprile, l’ATP 500 di Washington in luglio (titolo più prestigioso in bacheca), le semifinali degli US Open in settembre (altro personal best), più qualche altro risultato di rilievo è rientrato tra i top 10 dopo oltre cinque anni, raggiungendo inoltre il proprio best ranking di numero 6 proprio tre giorni fa.
Comodamente dal divano di casa, per giunta. Perché appena scoperto che i risultati dei diretti avversari gli avrebbero garantito l’accesso alla O2 Arena, Monfils ha deciso di preservare il proprio fisico e a malincuore ha rinunciato a Parigi-Bercy – il suo ciclo autunnale indoor consiste perciò finora della sola poco incoraggiante sconfitta contro Gastao Elias, al primo turno di Stoccolma. La scelta di presentarsi “a freddo” a Londra è rischiosa, ma motivata: il problema alle costole delle ultime settimane è stato soltanto l’ultimo di una serie di infortuni quasi impossibile da elencare per intero, tra schiena, quadricipiti, spalle, polsi, ginocchia. E virus, come quello contratto a Madrid che gli ha impedito di partecipare allo Slam casalingo. L’infermeria come costante dei dodici anni da tennista professionista, dal 2004 (anno in cui vinse tre dei quattro major under-18) ad oggi. Tant’è vero che il suo grande amico Tsonga, che lo conosce bene, si è sentito di dargli un unico consiglio per affrontare il super-torneo: arrivarci sano.
Potrebbe bastare davvero soltanto quello a portarlo almeno fino alle semifinali, perché quando il corpo lo sostiene Gael sa mettere in scena del gran tennis – “Sono molto vicino al mio massimo e questo mi dà fiducia” , ha dichiarato al canale della ATP nelle ultime ore. Il servizio è poderoso, dritto e rovescio da fondo non sono da meno, l’atletismo da potenziale mezzofondista olimpionico svolge un ruolo fondamentale nel capovolgere lo scambio. E riesce sempre a portare il pubblico dalla sua parte, fino a giocare in casa persino nei campi più remoti del globo, anche quelli in cui distrugge un orologio. Monfils è infatti uno di quegli sportivi che sembrano nati più per gli highlights e per le GIF che per i risultati. Le sue “buffonate” lo hanno consegnato all’immortalità virale, e non sono pochi coloro che saprebbero nominare a stento cinque tennisti in attività eppure hanno visto e rivisto una sua capriola o un suo tuffo. Se ne accorse persino Martin Solveig, DJ e grandissimo appassionato di tennis, che nel 2012 lo volle insieme a Novak Djokovic per il video del suo singolo “Hello”.
Proprio alla più recente delle sfide con Djokovic, peraltro, risale l’ultimo numero del Circo Monfils. Dopo dodici sconfitte consecutive, nel penultimo atto di Flushing Meadows il franco-caraibico ha deciso di provare una tattica alternativa fatta di palleggi altissimi sopra la rete, seconde di servizio sparate con la forza delle prime e altre improvvisazioni anticonvenzionali. Si è preso qualche fischio e Djokovic alla fine l’ha portata a casa lo stesso – però con il doppio dello stress. E non è detto che non ci provi ancora, magari inventandosi qualcosa di diverso e ancor più controverso. Come ci ha tenuto sempre a chiarire agli intervistatori che si aspettavano di trovarsi davanti un semplice clown, gli show sono belli ma la sua priorità oggi è la vittoria. “Le persone dimenticano che anche noi tennisti cresciamo” ha spiegato, “e io vedo le cose in modo diverso oggi”. Questa maturità gli ha permesso anche di progettare nel migliore dei modi il lavoro con coach Mikael Tillstrom, al suo seguito da quest’anno.
Se le ATP Finals fossero la morale alla fine di una stagione da favola, quindi, cosa dovremmo imparare su Gael Monfils? Noi non molto, probabilmente, e potremo starcene al posto suo sul divano in attesa che accada qualcosa. Djokovic, Raonic e Thiem invece dovranno tenere alta la guardia, e guardare al loro stravagante avversario come a qualcosa di più che uno buono, al massimo, a trasformare l’evento in una mezza esibizione. Perché sì, sarà stata pure l’annata di tanti altri prima che di Monfils. Eppure se alle Finals c’è lui, e non loro, un motivo dev’esserci.