Doping, questione morale, colpa, espiazione. Un terreno minato. Nel caso di Maria Sharapova le bombe piovono anche dal cielo: la negligenza c’è e probabilmente anche il dolo, inutile rimestare ancora nel torbido di analisi e limiti in microgrammi, ma alcune ritrattazioni della WADA e il caso-Lepchenko hanno acceso la spia d’allarme del giustizialismo. Maria Sharapova per alcuni ha pagato troppo, per altri troppo poco, per Steve Simon – CEO della WTA, non un parere poco autorevole – quello che le spetta di pagare è semplicemente il giusto: “Ha pagato una multa salata. Ha perso la sua classifica e 15 mesi di reddito. Sarebbe stato un colpo significativo per chiunque. Ha espiato le sue colpe e sarà libera di rientrare in campo quando la sua sospensione finirà in primavera“.
Chi tiene le redini del circuito femminile si è anche avventurato in un giudizio sulla condotta della tennista siberiana durante i mesi di squalifica. “Maria ha attraversato un anno lungo e difficile, durante il quale penso abbia mostrato un enorme livello di integrità“. Poi addirittura quasi paterno: “Si è presa la responsabilità di quello che ha fatto, noi tutti ci auguriamo che ogni atleta possa sempre assumersi le responsabilità delle proprie azioni. Peraltro non ha ricevuto un trattamento particolare nonostante il suo status di celebrità“. Nell’analogia circo-circuito Maria Sharapova potrebbe essere considerata una delle attrazioni di punta, una di quelle che riempiono il tendone (in questo caso gli spalti), e in quest’ottica appare logico che il patron dell’intero carrozzone stia bene attento a mantenerne patinata l’immagine e alta l’attesa per il suo ritorno in campo. “Non vediamo l’ora di ritrovarla nel tour. Credo che tutti i tifosi – e chiunque altro – siano felici all’idea del suo rientro“. Per dirla come l’ha detta qualcuno, “Ahi Maria chi mi manca sei tu”.
Steve Simon non è nato ieri e protegge il brand più potente del suo gineceo ma la presa di posizione, seppur machiavellica, è da condannare? In fondo Maria Sharapova è il caso di pena più severa in rapporto al peso specifico dell’imputato: Guillermo Coria restò fermo soltanto sette mesi – a fronte dei due anni previsti – perché riusci a dimostrare di aver ingerito accidentalmente il nandrolone trovato nelle sue urine, Puerta e il suo clenbuterolo ne scontarono nove – sempre a fronte di due anni – e il prode Mariano beccò altri due anni solo dopo esserci ricascato nel 2005. Tutto ciò escludendo le “distrazioni” a fine carriera di Hingis e Wilander, che indecisi se continuare o meno a giocare lasciarono fare alla giustizia dedicandosi al sollazzo della cocaina. Ora la svizzera domina in doppio e il buon Mats si dedica – con poco successo – all’arte dei pronostici: non esattamente due reietti masticati dal tritacarne che sa essere l’opinione pubblica. Ah, c’è persino Agassi, che divorato dai sensi di colpi confessò di aver assunto metamfetamine nel suo orribile 1997 e se la cavò con uno scappellotto dell’ATP. Maria non ha ricevuto un trattamento migliore rispetto a nessuno dei succitati.
Beninteso, non si tratta di una sommaria assoluzione. La sua linea di difesa è apparsa goffa sin dal principio, poi addirittura ingenua nella mancata richiesta delle controanalisi, ma più ancora della possibile – ma non confermata dai numeri: della quantità di meldonium nelle sue urine non c’è riscontro ufficiale – assunzione della sostanza “fuori tempo massimo” appare difficile da giustificare la mancata comunicazione dell’utilizzo di meldonium quando non era ancora proibito. Lecito domandarsi cosa avesse da nascondere, quando senza svalutare il nostro intuito ci permettiamo di dubitare che si sia davvero trattato di una dimenticanza. Appunto però si naviga nel campo delle supposizioni che facilmente si trasformazioni in illazioni, un terreno dove condannare diventa tanto più facile quanto più vengono a mancare i riscontri e le ufficialità.
In fondo è utopia credere che le maglie dell’antidoping siano abbastanza strette da cogliere in fallo tutti i trasgressori, così come è inverosimile immaginare che i controllori siano – sul piano legislativo – sempre un passo avanti ai controllati. Un quadro possibile e congruente col groviglio di tecnologie che permettono a doping e antidoping di darsi battaglia è quello di un equilibrio dinamico in cui nuove sostanze “emergono” come proibite e non vengono immediatamente riconosciute come tali, dove non sempre i “buoni” precedono i “cattivi”, relegando il concetto di colpa a una semplice data, un semplice limite fissato arbitrariamente nel momento in cui i fatti diventano impossibili da ignorare. Forse sarebbe più giusto distinguere tra scaltri e meno scaltri piuttosto che tra colpevoli e non colpevoli. Nel non arrogarsi il diritto (o il delirio?) di vestirsi da giudici di deandreiana memoria, dimenticando il rancore, forse è giusto perdonare Maria Sharapova e attendere che ritorni a calcare i campi da tennis. Dove il giudizio non potrà più essere opinabile.