Il tutto ha un non so che di eccezionale. Non perché la questione sia particolarmente eccitante, e nemmeno perché rivesta i crismi di una particolare singolarità. Però è buffo, si. È buffo sentire le interminabili geremiadi degli dei della racchetta. Perché gli impegni sono tanti e troppo gravosi e il fisico, soprattutto a una certa età, tende a ribellarsi. È buffo pensare che Roger Federer e Serena Williams, per fare due esempi classici, giochino in media quindici tornei all’anno; quindici tornei in cui vengono coccolati e accontentati in tutto e per tutto. Viaggi in business, e ci mancherebbe altro, li conducono nei luoghi di lavoro, dove subito zelanti inservienti li accompagnano in lussuosi alberghi. Accompagnano loro, le star, ma mica solo loro, no. Mogli e mariti, gemelli e gemelle, allenatore, fisioterapista, consulente, preparatore atletico e manager. Un’autentica carovana; il “team”, come viene normalmente chiamato. Un’intera compagine in perenne movimento, sempre chiusa nell’involucro di una bolla dorata itinerante sospesa tra arte, turismo e sport.
Faticoso? Certo. Non tanto per i 15 tornei, quanto per la pressione derivata dall’obbligo di dover essere sempre al top. E poi ci sono le interviste e le foto e le sessioni di autografi e gli impegni con gli sponsor. Sai quanto tempo ti portano via gli sponsor? Ah, ecco. Poi ti fermi un attimo e mentre provi a ragionare pensi a Joris De Loore. Joris De Loore è solo un esempio, un simbolo; simbolo del giocatore sospeso da qualche parte oltre la centocinquantesima posizione del ranking ATP. Sospeso tra professionismo e volontariato, verrebbe da dire. Joris De Loore nel 2016 ha giocato 29 tornei e guadagnato 48,991 dollari, poco più di 45 mila euro. Lordi, s’intende. Ha viaggiato dal Qatar alla Turchia e poi dall’India alla Tunisia. Ha visitato, visitato si fa per dire, Barletta e Ostrava, Mestre e Tampere. A inizio ottobre ha giocato un challenger a Fairfield, in California, perdendo la semifinale contro Santiago Giraldo e due settimane dopo si trovava sulla costa opposta per partecipare a un altro torneo di secondo livello in Virginia, a Charlottesville. Tra i due eventi, il povero Joris si è sobbarcato un doppio volo transoceanico per giocare da wild card il torneo di casa ad Anversa. È pazzo? No. La sconfitta al primo turno in un torneo del tour maggiore garantisce un guadagno che nella suburra del tennis professionistico non è nemmeno immaginabile, e il fatto che una buona parte del prize money sia finito nelle tasche delle compagnie aeroportuali non ha molta importanza.
Roger Federer e Serena Williams, sia ribadito che solo di esempi si tratta, hanno terminato il 2016 tennistico da tempo immemorabile. Il divino Roger necessitava di un periodo di stacco dal circuito, utile a curare il corpo ferito dopo mille battaglie e altrettanti gravosi impegni correlati al proprio mestiere di star. Serena Williams ha chiuso dopo lo US Open per motivi che nessuno comprende veramente, ma dopo il major di casa si sa che miss 22 slam non impazzisce dalla voglia di giocare a tennis. Il popolo minuto, che poco o nulla conosce di questioni relative a sponsor, immagine e indotto, si aspetta che il campione, finalmente rinvigorito dopo utile revisione del proprio martoriato corpo, si ripresenti al meglio della forma solo in gennaio, quando la stagione australe darà il via a una nuova annata colma di furibonde e appassionanti battaglie. E invece no. Chiusosi il 2016 con la storica vittoria della selezione albiceleste in Coppa Davis, il campione riprende a calcare i campi in dicembre. Infortuni guariti e dimenticati? No. Irresistibile voglia di sorprendere gli appassionati tornando con qualche settimana d’anticipo? Nemmeno. La risposta è solo una, e si cela dietro l’inquietante acronimo IPTL. L’International Premier Tennis League è un circuito d’esibizione fondato nel 2013 dall’ex giocatore indiano Mahesh Bhupathi. Giunta alla terza edizione, la manifestazione a squadre vedrà quattro team composti da campioni ed ex campioni sfidarsi sotto l’egida del Dio denaro in territorio asiatico. I nomi delle compagini – Japan Warriors, UAE Royals, Singapore Slammers e Indian Aces – che ricordano un po’ il basket NBA, un po’ il cricket indiano, mettono subito in chiaro una cosa: il tennis c’entra pochino. Roger Federer, accompagnato tra gli altri da Eugenie Bouchard, Feliciano Lopez, dagli idoli di casa Mirza e Bopanna oltre che dagli ex Philippoussis e Thomas Enqvist, difenderà con onore i colori degli Indian Aces, mentre Serena, supportata dal ribelle Nick Kyrgios, trepida nell’attesa di riportare il titolo a Singapore.
La domanda sorge, o almeno dovrebbe sorgere, spontanea. E gli infortuni? E la necessità di preservare il fisico per gli appuntamenti davvero importanti che, non sia mai, non devono essere più di quindici a stagione? Qualche mese di riposo evidentemente basta. Naturalmente sperando che un plastico rovescio tirato per mandare in solluchero le plaudenti folle del Sol Levante combinato con un’intensa sessione di autografi e con qualche conferenza stampa utile a presentare una nuova linea di abbigliamento non produca la necessità di riposarsi ancora, magari in gennaio. E mentre il campione tende la mano per raccogliere la munifica elemosina di una manifestazione che ha le sinistre sembianze della peggior televendita, noi non possiamo fare a meno di pensare a De Loore, che all’inizio di dicembre, aspettando il Natale tra i magnifici canali di Brugge, cupamente cerca di far quadrare i conti in vista della trasferta in Nuova Caledonia, possibile prologo di un’altra stagione da globetrotter.