Curiosamente (ma è solo un’ipotesi) le stesse esigenze televisive che hanno sempre suggerito agli americani di essere ragionevolmente certi della durata del match, potrebbero aver convinto agli organizzatori dell’Australian Open a non prendere mai in considerazione il tie-break finale. Lo Slam down under, infatti, costringe buona parte del pubblico europeo ad accontentarsi della sessione serale (che coincide col mattino del vecchio continente), per cui un match della serata di Melbourne che va avanti a oltranza permetterebbe allo spettatore italiano, spagnolo o inglese un prolungamento dello spettacolo nella fascia oraria più gradita.
Mentre a Wimbledon abbattere le tradizioni richiede più perseveranza che attendere 28.127 giorni per mettere in archivio Fred Perry, forse è il Roland Garros lo Slam che più si presterebbe all’introduzione del tie-break finale. Il gioco sulla terra, al di là dell’omologazione delle superfici, continua a comportare scambi di maggiore durata rispetto a erba e cemento. Immaginarsi un match tra due regolaristi, come Ferrer e Cuevas, protrarsi oltre ogni ragionevole limite di sopportazione per il malcapitato pubblico (non certo per David e Pablo, che più vanno avanti più sono contenti…) è forse il vero motivo per cui a Porte d’Auteuil rimangono così riluttanti all’introduzione dell’illuminazione artificiale: possa almeno l’oscurità arrestare due talebani del palleggio che attendono invano l’errore altrui…
Più di questi aspetti, comunque, prevalgono le esigenze dei giocatori. Trovarsi di fronte un avversario che ha appena vinto in tre facili set dopo che si è usciti vittoriosi da cinque set in cui l’ultimo è finito 21-19 (come successe a Andy Roddick, vittorioso su Younes El Ayanoui ai quarti di finale dell’Australian Open 2003) non è proprio il massimo in termini di parità nelle condizioni di partenza del match: l’americano perse contro l’underdog Rainer Schuettler la semifinale successiva, un match che in condizioni normali avrebbe facilmente portato a casa. Lo stesso Federer, peraltro, dopo aver vinto la semifinale di Londra 2012 con Del Potro per 19-17 al terzo set, venne poi preso a pallate nella finale contro Murray.
Eppure ci sono molti fattori che spingono a mantenere il cosiddetto long set.
Non è retorica sottolineare la componente romantica del gioco, la sfida che si arricchisce sempre di più di pathos e contenuti nervosi, assumendo i contorni della guerra di trincea o di una tempesta degna di un quadro di Turner. E’ come quando nel calcio si va ai supplementari e gli schemi saltano, si va avanti per forza d’inerzia fino alla fine. A quel punto sì che ha la meglio chi ha più fame di vittoria.
In tale contesto, non vanno sottovalutati due aspetti tecnico-tattici essenziali.
Il perdurare dell’equilibrio a oltranza sembrerebbe favorire chi fa della componente fisica, in particolare della resistenza, il suo punto di forza, ma in condizioni mentali inevitabilmente precarie dopo ore di battaglia e continui capovolgimenti di fronte nel punteggio, potrebbe essere proprio il maggiore bagaglio tecnico a fare la differenza. Dopo 4 ore di partita, sul 10 pari al quinto, un recupero in lob liftato a ridosso dei teloni che lascia impietrito il giocatore a rete, esterrefatto dal vedere vanificato il lavoro ai fianchi durante lo scambio, suonerebbe come un montante arrivato all’improvviso. Col punto già in tasca, tutto poteva aspettarsi in quel momento tranne la lucidità tattica del colpo che ribalta l’inerzia dello scambio, unita a un’esecuzione tecnica perfetta. Se chi subisce la mazzata è il giocatore che serve e si trova sotto nel punteggio, lo spettro di subire il break è inevitabile. In queste condizioni sì che si premia chi ha più classe, sia egli chi trova una prodezza tecnica e tattica come quella descritta o chi riesce nonostante questo diretto al mento a stare in piedi, da prodigioso incassatore, e continuare la battaglia.
In secondo luogo, in un epilogo a oltranza la prospettiva di non vedere la fine incentiva chi risponde a prendere rischi che non si prenderebbe mai in un tie-break decisivo, aumentando la spettacolarità della fase finale e decisiva del match anziché ridurla a una noiosa sfida a chi si arrende per primo.
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