Restano poi indimenticabili i match epici cui abbiamo assistito: oltre ai citati Federer-Del Potro e Roddick-El Ayanoui, col tie-break al quinto ci saremmo persi il match infinito tra Isner e Mahut a Wimbledon 2010, terminato 6-4 3-6 6-7(7) 7-6(3) 70-68 e diventato leggenda (vale la pena rivivere la giornata interrotta sul 59 pari al quinto raccontata nella cronaca dell’epoca da Ubaldo, piena di chicche tra cazzeggi coi colleghi in sala stampa, record disintegrati e tutti gli altri storici match che il tie-break al quinto set ci avrebbe negato, da Fred Perry-Budge agli US Open del’36 a Nadal-Federer di Wimbledon 2008). Da allora, nel tempio del tennis di Church Road, nei pressi del campo 18, si trova la targa commemorativa che vedete nella foto di questo articolo.
Il tie-break ci avrebbe fatto perdere quella storia unica, un po’ come il golden gol nel calcio: fosse stato previsto allo stadio Azteca di Città del Messico ai Mondiali del ’70, l’indimenticabile Italia-Germania 4-3 sarebbe finita all’inizio dei supplementari (peraltro con vittoria 2-1 per i tedeschi), invece sono stati proprio i 30 minuti extra a far entrare quella partita nei ricordi di tutti. In definitiva, il fascino di partite come quelle sopra citate è superiore al rischio di penalizzare il vincente al turno successivo.
E voi lettori cosa preferite? Siete per le maratone epiche, la lotta di nervi e di trincea, e rigettate con tutta la vostra forza la possibilità che una partita, magari una finale Slam, venga decisa da un ciuffo d’erba calpestato troppo, da un nastro beffardo o da una chiamata sbagliata? Oppure siete per il brivido di vedere la stessa finale che nel giro di 3 scambi può ribaltare completamente la gioia di un trionfo che cambia una carriera nell’atrocità di un’occasione enorme persa, come una finale ai calci di rigore?