Federer-Zverev, l’ultimo artista e il mondo dei robot (Marco Imarisio, Corriere della Sera)
La vera notizia è che Roger Federer ha impegnato fino all’ultimo un ragazzo tedesco di 19 anni. La prima sconfitta stagionale del campione svizzero dopo il suo ritorno, in un match di esibizione, non è l’uomo che morde il cane, tutt’altro. Anzi, la sorpresa sta nel fatto che il divino è stato sconfitto solo al tie break del terzo set. Per chi ci crede ancora, e il culto di Roger ormai trascende la pura razionalità, si tratta piuttosto di un segnale incoraggiante. Perché il suo avversario non è uno sconosciuto teenager ma il futuro del tennis. Un giorno neanche troppo lontano, Alexander Zverev, spilungone di quasi due metri, classe 1997, diventerà numero uno del mondo. Nell’attesa, destinata a essere breve, ha già battuto una volta Federer sulla sua amata erba, ha preso a pallate Stan Wawrinka e Thomas Berdych, è salito al numero 24 del mondo. Ma il significato dell’onorevole difesa di Roger contro un avversario nato un anno prima del suo debutto sul circuito, sta nello scarto tra l’aspettativa messianica che lo circonda e la realtà dei fatti.
Diciamo la verità, nei sei mesi senza di lui è come se avessero spento la luce. All’improvviso il suo ritorno ha ridato linfa e visibilità al tennis, con televisioni collegate in ogni parte del mondo, migliaia di persone in delirio. Il Grande convalescente sta bene. Ma ha pur sempre 35 anni. Nel 2oo6 Andre Agassi si ritirò a 36, e sembrava un dinosauro sopravvissuto al tempo, dall’andatura incerta, tenuto in piedi dagli antidolorifici. Nulla sembra avere importanza, quando si parla di Federer. Perché l’affetto spasmodico nei suoi confronti trascende il tennis, è legato alla classicità dei suoi gesti, che lasciano intravedere una grazia e un’eleganza ormai perduta. Il suo ultimo avversario ne è una prova vivente. Sasha Zverev è nato, progettato, costruito, per essere quel che sta per diventare. Ma non c’è poesia, nel suo gioco, tantomeno sensibilità o variazioni sul tema. Tira fortissimo, punto. Servizio, dritto, rovescio. Come ormai fan tutti. Non si torna indietro. La tecnologia, nel senso di corde, racchette e potenziamento atletico, ha cambiato il senso di questo sport. E anche l’ultimo artista prima o poi se ne andrà. Conviene godersi ogni istante (…)
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Zverev batte il suo mito Federer: i Fab Four hanno già un erede (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)
C’era una volta un bambinetto di quattro anni che scorazzando felice per gli spogliatoi del torneo di Amburgo finì per inciampare nelle caviglie di uno spocchiosetto giovanotto svizzero di nome Roger, con uno strano chignon e ancora qualche brufolo su una faccia da teenager. Un sorriso, una fugace carezza e un ricordo indelebile: «E’ stato il primo personaggio pubblico che abbia mai incontrato dal vivo». Parole e musica di Sasha Zverev, che allora, anno di grazia 2001, non aveva ancora preso in mano una racchetta (l’avrebbe fatto l’anno dopo) nonostante due genitori tennisti di buon livello quando la Russia si chiamava ancora Unione Sovietica, ma poi trasferitisi in Germania con la caduta del muro. Soprattutto, nell’innocenza di quell’età, non avrebbe potuto immaginare che 15 anni dopo quel ventenne con i capelli strani sarebbe diventato Federer, cioè il più grande di sempre e che lui sarebbe cresciuto nel suo mito, fino a diventarne uno dei compagni favoriti nel training durante i tornei.
I libri e la mitologia sono pieni di storie di figli putativi che si mangiano metaforicamente i padri, di allievi che oscurano i maestri. E allora, pur senza forzare il significato di una vittoria in un’esibizione come la Hopman Cup, i 13.785 del Centrale di Perth (record di sempre per la manifestazione) forse hanno assistito alla tappa fondamentale di un cambio di generazione storico, perché come era già successo ad Halle in giugno, Zverev non ha tremato di fronte alla montagna e in tre tie break spettacolari – 7-6 (1) 6-7 (4) 7-6 (4) – ha rafforzato la convinzione sua, e del mondo, che dopo i Fab Four toccherà a lui, russo di Germania con un’ammirazione particolare per Stich e non per Becker, dettare le regole dalla testa della classifica. Il successo non conta per le statistiche (l’evento è organizzato dall’Itf e non dall’Atp, dunque le sfide dirette restano 1-1), ma chi ha assistito a un allenamento tra loro due il primo dell’anno racconta di un Roger messo all’angolo; e in ogni caso la partita in Australia è stata così bella che quando Sasha è andato a servire sul 6-5 sotto nel terzo set, dal pubblico qualcuno gli ha gridato di volere un altro tie break e lui, freddo, ha risposto così: «Cosa pensi che stia facendo?». Ecco, se questo exploit servirà a renderlo più sicuro mentalmente e se nel frattempo abbandonerà qualche atteggiamento del resto comprensibile per un diciannovenne, tipo le schermaglie amorose su Facebook con la Svitolina, mollata per un’altra, da numero 24 si ritroverà presto lassù: «Affrontare Roger è incredibile, ti mette una pressione e un nervosismo che non provi contro nessuno, ma contro di lui riesco sempre a dare più di quello che ho e gioco partite incredibili».
Zverev e uno dei due under 21 ad aver già vinto un torneo Atp (San Pietroburgo), l’altro è il russo vero Khachanov (Chengdu), che a Doha perde la sfida dei bombardieri contro Karlovic (16 ace a 14)ma senza mai concedere palle break, ma da lune-dl sarà numero 51, miglior classifica di sempre. Oggi i russi hanno un trio di campioni in erba da tempi eroici (quelli di Kafelnikov e Safin, per intenderci). E se Rublev deve ancora arrivare, da Chennai s’alzano gli squilli di tromba di Daniil Medvedev, vent’anni, nessuna parentela con il finalista di Parigi 1999, numero 300 a inizio 2016 e oggi già 99 e destinato a salire. Non è un talentone naturale, ma dall’alto di un bell’1.98 batte come una furia e ha etica lavorativa (…)