Spinoza, il primo grande pensatore moderno, materialista e ateo, è il filosofo di quei principi sovversivi, ora come allora, sottolinea Magnani, di libertà e necessità. Alla luce di libertà e necessità Spinoza analizza le relazioni umane scardinando alla base molti secoli di pensiero filosofico precedente. Libertà e necessità sono le basi da cui anche Bjorn Borg inizia la rivoluzione copernicana del tennis (proseguita negli anni ’80 dall’introduzione dei nuovi materiali), un percorso irreversibile che ha portato al tennis di oggi. L’aspetto interessante è che il campione svedese fa la sua apparizione nei primi anni ’70 in un clima di grande fermento politico-sociale, un’epoca in cui molti dei valori su cui erano fondate le società occidentali iniziano a scricchiolare. Vale la pena leggere questo passo:
“Se Connors aveva messo a nudo l’ideologia estetica e il costume del tennis riformulando i codici di comportamento agonistici, Borg provoca una rivoluzione molto più profonda, perché va a intervenire direttamente sulla tecnica, compie cioè ‘riforme di struttura’. Le impugnature di Borg sono uno scandalo, specie quella del rovescio bimane mutuata addirittura dall’hockey, e contraddicono tutto quanto veniva in quei tempi insegnato dai maestri di ogni continente. La preparazione fisica diventa un altro punto su cui giocare di pura forza, visto che con Borg l’atleta cambia praticamente profilo: l’immagine del tennista non è più nemmeno latamente associabile a quella del libero professionista con pancetta che usa il tennis per un amabile e poco impegnativo esercizio fisico”. (Pag. 69)
Senza contare che con Borg si scatena la “borgmania”, quel fenomeno sociale che vede il tennista svedese idolatrato in tutto il mondo da milioni di fan, soprattutto di sesso femminile. Con Borg cambia radicalmente anche il profilo pubblico del tennista. Ora, il campione, è un divo, come le star del cinema, e attorno a lui si muove un ricchissimo business.
Di Panatta/Bruno, Magnani ne fa l’apologia, mettendo in rilievo quegli aspetti del suo gioco e della sua personalità che hanno contribuito a costruire l’immagine mista di genio e sregolatezza (caratteriale) che accompagna ancora oggi l’affascinante, controverso e mai banale campione di casa nostra. Tra l’altro, parlando di Panatta (e di Nastase prima) Magnani sottolinea un aspetto interessante dell’evoluzione (o involuzione?) del tennis dagli anni ’60 e ’70 a oggi: la scomparsa, sul court, della personalità del tennista. In altre parole, il tennis di Borg, Connors, Nastase e poi di Wilander, Edberg e compagni, manifestava delle differenze afferenti, prima che al loro tennis, alla loro personalità, al loro “essere soprattutto uomini”. Quindi, oltre a un mutamento prettamente sportivo, negli ultimi trent’anni si è assistito nel tennis a una mutazione di carattere antropologico e, sul campo, a un progressivo ma inesorabile abbandono di quella parte del court che sta a ridosso della rete. Tutto ciò porta il lettore a considerare il cambiamento profondo avvenuto nel tennis. La linea di fondocampo diventa padrona fino a quell’incredibile avvenimento del 1992, quando un certo André Agassi vince il titolo sull’erba di Wimbledon attaccando da fondocampo. Oggi normale, a quei tempi una novità.
Panatta è, per Magnani, il Giordano Bruno del tennis, l’alfiere della libertà e del libero pensiero. Il suo atteggiamento apparentemente distaccato, l’attenzione ai moti politici e culturali degli anni ’70, lo straordinario 1976 vissuto da protagonista assoluto vengono ripercorsi in una serie di immagini incalzanti e coinvolgenti. E, soprattutto, c’è l’incontro-scontro con il suo grande rivale: Bjorn Borg. Due modi opposti di interpretare il tennis che non potevano non incontrarsi e, pur nella battaglia, rispettarsi.
“Panatta era uno spirito libero, concentrato e distratto, veloce e sornione, tenace e pigro, tutto nella stessa maniera e nello stesso istante. Il contrario di Borg, metodico e regolarista, che si avvicinava alla rete controvoglia – non ci andava nemmeno per litigare con il giudice di sedia. Borg giocava le partite come dettava il more geometrico demonstrato, come il riccio che sa fare benissimo una cosa e che organizza attorno a un principio tutta la sua esperienza. Panatta invece spezzava ogni incontro in mille racconti diversi, sminuzzando la sua vicenda esistenziale in piccoli episodi fatti di palle corte, tocchi delicati, attacchi improvvisi, finte e colpi di volo recuperati dietro la schiena”. (Pag. 95)
“Filosofia del Tennis” è stato pubblicato nel 2011 e si conclude con i profili di Federer e Nadal, allora ancora all’apice della carriera. Djokovic non è menzionato e proprio quell’anno il tennista serbo vivrà il primo dei suoi “anni mirabili”. Sarebbe interessante sapere a chi, oggi, Magnani assocerebbe Novak. Io credo a un pensatore dell’estremo oriente, o a un filosofo indiano, tipo Shankara Akariya, oppure a un guru della post-modernità (ogni riferimento a Pepe Imaz è, ovviamente, del tutto casuale). Mi piacerebbe chiederglielo.
Carlo Cocconi
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