Come riassumeresti ciò che è successo? È uno dei migliori incontri della tua vita?
Sì, decisamente il migliore e non solo perché era sui cinque set, ma anche perché era in uno Slam. Semplicemente incredibile.
Quale pensi sia stata la chiave del tuo successo?
Credere in me stesso e nel mio gioco. Credere che usare il servizio e volée, lo slice, spezzargli il ritmo, avrebbe funzionato. Cosa che alla fine è successa. Me la sentivo di fare tre, quattro set anche se non faceva caldissimo ma faceva comunque piuttosto caldo. Sentivo di potermela giocare con lui, a volte scambiando dal fondo e a volte attaccando. È andato tutto bene.
Quanto è difficile mantenere la concentrazione su uno schema di gioco così offensivo?
Non avevo piani B e quindi dovevo mantenerla. Non posso rimanere a fondo campo mezzo metro dietro la linea e batterlo negli scambi. È molto forte fisicamente ed ha un gran gioco da fondo. Sapevo di dover attaccare e che era l’unica chance di vittoria. Non avevo alternative.
Non vediamo molti tennisti giocare come te, specialmente così avanti in uno slam. Pensi possa funzionare anche per altri o è un tipo di gioco che solo tu sai fare?
Ci vuole più tempo per sviluppare un gioco di servizio e volée perché vieni passato un sacco di volte, soprattutto i primi tempi, quando sei giovane e incontri i più forti. Come è capitato a Brisbane a me contro Nadal due settimane fa. Mi ha ucciso. Sentivo di non avere possibilità. Se sei giovane e ti succede qualcosa di simile sul campo, ti scoraggi facilmente. “Stiamo a fondo campo, giochiamo sul ritmo” ti dici. Devi avere un atteggiamento mentale diverso per essere un giocatore d’attacco. Devi farti passare per due set se necessario e continuare ad attaccare. Come contro Isner dove ho perso due set e mi sono attenuto al piano comunque. Alla fine è cambiato. Se non succede, semplicemente esci dal campo e ti dici che sei stato bravo e che lui ti ha passato troppo bene.
Prenditi un minuto di tempo e parlaci del tuo viaggio. Hai disputato tornei challenger disparati, gli infortuni, il ruolo di tuo fratello…
È una lunga storia da ascoltare. Posso dirvi che non è stato facile riprendere dall’operazione al polso due anni fa. È stato mio fratello a dirmi che potevo farcela e che potevo tornare nei primi 100 ed essere ancora un gran giocatore. Ero sceso alla posizione 1100 credo all’inizio del 2015. Non è stato facile. Devo dirgli davvero grazie. Ma avere una famiglia così bella, con mio fratello in crescita, tutti a sostenerti è stato anche un viaggio divertente. Quando lo vedi giocare così bene trasmette tante sensazioni positive a tutti noi, dentro e fuori dal campo. Anche se io non gioco bene, lo vedo battere Roger in semifinale ad Halle e disputare la finale, mi dà la carica positiva che porto con me nel torneo successivo per poter fare bene lì.
Hai battuto l’attuale miglior giocatore al mondo che ha 29 anni come te. A parte gli infortuni, perché non hai prodotto prima questo livello di tennis?
Perché siamo tutti esseri umani. Tutti sviluppano la propria personalità ed il proprio gioco in modo diverso. Giocavo piuttosto bene quando avevo 21 anni. Ero il 45 al mondo. Poi ho subito due infortuni. Ma forse non mi sono anche concentrato abbastanza sul tennis. Non ho lavorato a sufficienza. Ci sono piccoli dettagli che ti portano a non sfruttare al massimo il tuo potenziale. Comunque, mi sono rotto il polso, le costole, ho avuto l’ernia al disco ed altro ancora. Quando non stai mai bene non ti diverti più. Cerchi di giocare e ti fai male di nuovo. Ci sono momenti in cui non te la senti di lavorare abbastanza duramente. Scendi nel ranking, giochi male, non hai più fiducia. Ci vuole molto tempo per riprendersi. Dovevo toccare il fondo come quando avevo il polso fratturato, per ricominciare da zero. In quel momento ho capito quanto il tennis significasse per me.
Traduzione di Roberto Ferri