– L’assenza delle giocatrici dell’età di mezzo
Ripeto quello che avevo scritto nell’articolo di presentazione: agli Australian Open 2017, Kerber a parte, erano assenti tutte le più titolate giocatrici della età di mezzo, vale a dire le tenniste tra i venticinque e i trent’anni in grado di vincere gli Slam: Sharapova (29 anni), Azarenka (27), Kvitova (26), con in più il ritiro di Ivanovic (29). Questa situazione si configurava come una anomalia, visto che il ricambio fisiologico di un movimento dovrebbe prevedere l’uscita di scena delle più anziane e non delle giocatrici nell’età intermedia.
Al dunque anche le loro migliori coetanee presenti hanno deluso. Angelique Kerber è sembrata spenta, schiacciata dalla responsabilità e dalle aspettative di campionessa in carica e numero uno del mondo: dopo aver perso per strada un paio di set nei primi turni, non è stata in grado di reagire ai colpi pesanti di CoCo Vandeweghe, che l’ha liquidata in poco più di un’ora (6-2, 6-3).
Con Radwanska sovrastata dalla potenza di Mirjana Lucic (6-3, 6-2), e con Halep menomata da guai fisici, si è delineato un quadro complessivo avvilente: quello di una generazione in profonda difficoltà nei grandi appuntamenti, proprio nell’età in cui ci si aspetterebbe di veder raccogliere i migliori risultati.
– Futuro sconfortante, almeno a breve termine
Per quanto mi riguarda ho seguito con grande simpatia le imprese di Venus Williams e Mirjana Lucic, tornata in una semifinale Slam addirittura a distanza di 18 anni, dopo aver superato terribili traversie familiari. Ma questi sono gli aspetti umani; se però si valuta la situazione generale in modo più distaccato, e si ragiona sul piano strettamente tecnico, allora penso che i loro traguardi suonino come un serio campanello di allarme per il movimento tennistico femminile.
Sopra ho elencato alcune giocatrici assenti. Ma non erano le uniche: ricordo anche la mancanza, per problemi al polso, di un’altra top ten come Madison Keys (semifinalista nel 2015) che secondo me avrebbe potuto fare molta strada. E infine quella di Sloane Stephens (semifinalista agli Australian Open 2013 a 19 anni) per problemi a un piede.
Per gli statunitensi le loro assenze non hanno creato particolari problemi, visto che si sono ritrovati comunque con tre semifinaliste, ma per il futuro del tennis in generale che emergano le trentacinquenni rispetto alle giovani non mi pare per nulla positivo, e contro la logica di una normale evoluzione.
In sostanza: il tennis femminile di vertice si è presentato acciaccato e incompleto al via dello Slam australiano; di fronte alle difficoltà di una intera generazione, c’erano due possibilità opposte: l’emergere delle giovani e/o delle più esperte. E il risultato è stato inequivocabile: l’esperienza si è presa quasi tutto lo spazio a disposizione, e non credo possa riequilibrare il passivo la semifinale di CoCo Vandeweghe, unica venticinquenne in mezzo a tre ultratrentenni.
Sia chiaro: con questo discorso non mi riferisco tanto alla vittoria di Serena Williams (che è un fenomeno assoluto e per questo da considerare per molti aspetti un caso a parte), quanto alla concorrenza nel resto del tabellone, che secondo me è rimasta sotto i migliori standard.
Se in uno Slam arrivano in semifinale Mirjana Lucic (quasi 35 anni) e in finale Venus Williams (quasi 37), che raggiungono traguardi loro preclusi da molti anni, sono portato a dedurre che si stia vivendo un momento in cui la concorrenza di vertice è scesa di livello.
Personalmente sono convinto che mediamente il tennis femminile sia in costante crescita: le giocatrici dal quindicesimo posto in poi, fino al cinquantesimo (ma anche oltre), secondo me sono migliorate rispetto a qualche anno fa. A volte chi critica il tennis femminile lo fa da posizioni preconcette, e tralascia, non sempre in buona fede, di citare questo aspetto.
Ma per quanto riguarda le giocatrici di primissimo piano a mio avviso si sta vivendo una fase di regresso. Le assenze, i problemi di salute, le difficoltà di crescita, le mancate conferme: tutte situazioni che si sono accumulate e concentrate insieme, al punto tale da avere prodotto una vera e propria crisi al vertice del movimento.
Purtroppo allo stato attuale non resta che aspettare l’evoluzione di due situazioni differenti: da una parte il recupero delle “top” assenti o in difficoltà, sperando che riescano a tornare ad alti livelli; dall’altra la maturazione delle nuove leve, le giovanissime che hanno mostrato di avere talento, ma non ancora sufficiente consistenza. Anche per loro occorre avere pazienza: dopo essersi fatte largo sino alle prime venti-trenta, non è facile né immediato compiere il definitivo salto di qualità per poter aspirare ai massimi traguardi. Sembravano esserci riuscite Bencic e Keys, ma entrambe sono state penalizzate da infortuni e malanni.
È vero che nello sport le cose possono evolvere in fretta, a volte anche in modo imprevedibile. Ma temo che per questa stagione ci si debba accontentare di un nucleo di partecipanti di primo livello più ridotto e incerto del solito. Se così fosse, non ci si dovrà sorprendere se anche in altri tornei importanti la qualità di gioco tra chi aspira alla vittoria non risulterà particolarmente brillante.