Novembre 2010, O2 Arena di Londra, finale del Masters. Il rovescio del campione di Basilea gira che è una meraviglia, il tignoso campione di Manacor non molla e trascina il match al terzo. Qui aveva già temuto che anche quella volta la dolce illusione si sarebbe trasformata in amarissimo fiele, invece accade quello che per lui dovrebbe accadere sempre, quando l’arrotino pedalatore affronta il Tennis. Roger incanta con tutti i fondamentali, non fa mancare i ricami, domina. A un certo punto, durante un game in cui serviva il Re, ricorda di aver osservato Nadal che piegava le ginocchia in attesa di rispondere. Una volta veniva trafitto da un ace, un’altra toccava a mala pena la palla, un’altra ancora subiva il classico servizio-dritto. In pratica, quello che faceva in quel gioco era spostarsi da una metà all’altra del campo, tra un punto e l’altro. Impotente, rassegnato. “Quando gioca così c’è poco da fare“, avrebbe detto poco dopo Rafa. Caspita che soddisfazione. Sì, così deve risolversi il confronto tra Zeus ed Efesto, il capo degli Dei non può perdere dal volgare fabbro – era comunque sempre un Dio Efesto, lui checchè se ne dica riconosce le doti di Rafa!
Ma non c’era niente da fare, oscure nubi tornavano a funestare la memoria del povero estremista federiano, fino a prendersela con lo stesso idolo di una vita. La testa corse al 2011. Quando FedExpress tentennava, sembra che la sua parabola volgesse al termine, poi quel capolavoro, quella semifinale contro Djokovic versione RoboNole che resterà nella leggenda. Due giorni dopo in finale dall’altra parte del net c’era sempre lui (chi altri?). Roger parte benissimo, scappa 3-0 e poi sul 5-2 servizio Nadal fallisce per un niente il set-point. Niente paura, ora tocca a lui servire per il set. Finora ha servito alla grande. E all’improvviso, si ritrova la battuta di Volandri, pure con molte meno prime… “Re, ti odio! Allora lo fai apposta? Dillo subito se è così!“, in quel frangente non aveva resistito, gli era scappata pure la bestemmia contro il suo Dio. In poco tempo il set, da quasi vinto, se ne vola via. Nel secondo Roger lotta come un mastino, non molla niente, ma l’altro ha raggiunto il suo picco, c’è poco da fare: 2 set a 0. Anche stavolta è finita. Quello che viene dopo, con Roger che nel terzo insegna tennis al fabbro podista, è quello che il nostro vorrebbe sempre vedere. Solo che appena la lezione del Tennis finisce, il picchiatore arrotato riemerge dalla tempesta divina e buonanotte. Un’altra speranza disillusa.
Il girone dantesco dei ricordi infernali non era terminato, l’ultras voleva fermarsi, ma non ce la faceva proprio. A pensarci bene, del 2013 trovava più devastante la sconfitta a Cincinnati che l’umiliazione di Roma. Al Foro era un Roger troppo brutto per essere vero, mentre sul cemento americano andò in scena probabilmente il miglior Federer di quella disgraziata stagione. Il Re fu perfetto per più di un set e mezzo, ma gli bastò calare di un niente, giusto due errori di troppo, e il copione tornò a essere quello di sempre, sebbene Lui si arrese lottando fino alla fine. Il fan la vedeva così: Roger gioca in modo perfetto, il maledetto si limita a contenere e basta un minimo calo del Tennis perché vinca l’altro. Come diavolo è possibile? Anche nella finale di Basilea 2015, quando FedExpress era quasi tornato sulla vetta del Monte Olimpo e Rafa era in calo, per il primo anno a secco di Slam dal 2005, ci era mancato poco che vincesse ancora una volta lo spagnolo. Ma cosa deve succedere perché Roger batta Rafa in uno Slam? Il nostro disgraziato amico non riusciva più a vederlo tenere un servizio vario e perfetto per tutto il match, distribuire come fossero caramelle quei Momenti Federer codificati da David Foster-Wallace e non farsela addosso quando viene trafitto dai passanti di quel fabbro che, giusto perché si sappia, chiamava in quel modo non per le scarsi doti stilistiche ma per la testa d’acciaio che – proprio non si spiega perché! – riesce sempre a migliorare quando si trova davanti il Tennis.
Basta, lo stillicidio di ricordi infami era finito. Non rimaneva che la tragica decisione finale, il suicidio sportivo. No, lui Domenica sarebbe rimasto a letto, era stanco di disillusioni potenti come fendenti mancini di dritto, di teste chinate di fronte a recuperi che diventano passanti imprendibili, e pazienza se sapeva di perdersi quelli che potevano essere gli ultimi scampoli del vero Roger Federer in una finale di uno Slam. Quando lo sport del demonio smette di premiare chi è più tenace e dai nervi d’acciaio e s’inchina all’essenza di se stesso, alla perfezione di una volèe che finisce sulla riga di fondo, ad una serie di colpi sempre varia, a un’accelerazione di rovescio giocata dall’angolo sinistro che sibila nell’aria e colpisce l’incrocio delle righe, a un lob perfetto che fa saltare in piedi Rod Laver come fosse ancora ventenne… Beh, pensandoci bene, anche se sapeva già come sarebbe andata a finire, magari l’ennesima delusione se la godeva lo stesso.