Una settimana a due facce per il tennis azzurro è terminata, fornendo opposte risposte da parte dei settori maschili e femminili. Gli uomini, che lunedì avevano già regalato una bella soddisfazione con il successo in Davis contro l’Argentina, molto rimaneggiata, ma pur sempre campione in carica, hanno visto arrivare da Quito ottime notizie. Dall’Ecuador è infatti giunta la conferma di un Paolo Lorenzi sempre altamente competitivo, capace di tornare a sfiorare il suo best career ranking, dopo aver raggiunto la terza finale in carriera. Curiosamente, tutte e tre sempre in quota, visto che le precedenti, San Paolo persa da Delbonis (2014) e Kitzbuhel vinta su Basilashvili (2016), erano state ottenute in tornei disputati in città che stavano sugli 800 metri circa di altitudine. Inoltre, possiamo accogliere con soddisfazione i primi due successi nel circuito maggiore di Federico Gaio, 24enne faentino, che ha mostrato di avere nel corso del suo tormentato percorso nel torneo ecuadoregno – ha vinto due partite al tie-break del terzo, annullando anche un match-point a Cecchinato nelle quali- doti agonistiche di gran combattente, che fanno ben sperare per il prosieguo della sua carriera.
Le donne invece, impegnate nel primo turno del World Group II, hanno rimediato un’inaspettata sconfitta casalinga nella sfida contro la Slovacchia in programma a Forlì, un risultato che richiamerà inevitabilmente l’attenzione del pubblico meno attento al tennis sullo stato attuale del settore femminile, da un anno ormai incapace di raccogliere risultati decenti ed in profonda regressione tecnica.
La Davis e la Fed Cup non possono rappresentare la salute di un movimento tennistico, sia per l’esiguo numero di giocatori coinvolti per ciascuna squadra sia, soprattutto, per le sempre più numerose defezioni da parte dei giocatori e delle giocatrici più importanti del circuito. Non sarà infatti a seguito del disastro di Forlì, con la disfatta rimediata da una modestissima Slovacchia, priva della sua stella Cibulkova e dell’altra top 100 Kucova, che si inizierà ad analizzare la pesante crisi del settore tecnico femminile. A preoccupare, più che il rischio di retrocedere ad aprile nel Group I (quella che tutti chiamiamo Serie C), è, lo andiamo ripetendo da tempo, la circostanza che tra due mesi, quando una Errani purtroppo in crisi compirà 30 anni, che avremo nella top 100 una sola under 30, Camila Giorgi, peraltro in guerra con la federazione. Occorre assolutamente ricucire il rapporto con la maceratese, visto che, piaccia o meno in federazione, Camila probabilmente sarà la migliore giocatrice che l’Italia avrà almeno per i prossimi 5-6 anni: questa esigenza è ancora più evidente se si considera che la nostra migliore under 21, Jessica Pieri, è appena 280 WTA e che Jasmine Paolini (21 anni) e Martina Trevisan (23) sono oltre la duecentesima posizione del ranking. La loro è un’età nella quale, quasi sempre, la maturazione fisica e tecnica dovrebbe, per sperare in una media carriera professionistica, avere già prodotto ben altri risultati che il primo accesso alle qualificazioni di uno Slam, raggiunto il mese scorso a Melbourne dalla Paolini: non resta che aggrapparsi alla flebile speranza che queste volenterose ragazze siano la classica eccezione ala regola.
In termini di risultati, più che la sconfitta contro la Slovacchia, dovrebbe preoccupare che, dallo scorso aprile, dalle donne non sia stata raggiunta una finale neanche in un misero International e che, addirittura, sia stata conquistata una sola semifinale, a Shenzhen dalla Giorgi lo scorso gennaio. Non erano tutte e rose e fiori quando conquistavamo 4 Fed Cup tra il 2006 ed il 2013, non sarebbe la Serie C a certificare lo stato comatoso del tennis professionistico femminile in Italia, purtroppo testimoniato da mesi dalle classifiche settimanali della WTA. Da Forlì, intanto, oltre che il cuore della Schiavone, che è stato capace di portare l’unico punto in singolare sconfiggendo la Schmiedlova, 252 WTA, prima di arrendersi domenica a Rebecca Sramkova, 119 WTA, è dispiaciuto a tutti vedere il dolore fisico, espresso con lacrime pubbliche, da parte di Sara Errani al termine della partita persa contro la 34enne veterana Daniela Hantuchova, 258 WTA. Sarita, finalista al Roland Garros nel 2012, da un anno non riesce, tra malanni fisici e cali di motivazione e/o di fiducia, ad esprimersi come sa, con il gioco di dedizione e lotta che l’ha portata sino al quinto posto del ranking. Il tennis italiano ha bisogno di lei, fa male vederla così e non possiamo che augurarci che presto ritrovi le condizioni per potersi esprimere, visto che ha ancora un’età che le permette di poterlo fare per qualche anno.
I risultati maschili a pagina 2