dall’inviato a Rotterdam
Parlare del tennis significa inevitabilmente concentrarsi sui suoi protagonisti, i giocatori, includendo spesso anche la racchetta in quanto estensione delle loro braccia. Molto più di rado si fa invece riferimento all’altro strumento simbolo di questo sport, ovvero la pallina gialla. Che invece può essere fonte di grandi discussioni: una frase pronunciata da Toni Nadal a riguardo – e passata quasi del tutto inosservata a causa di un’altra frase della stessa intervista – portava lei come soluzione per restituire varietà a un gioco ormai diretto, secondo zio Toni e altri, verso cannonate e noia. “Palle più lente, più morbide e che dovrebbero obbligare a colpire più spesso da sotto il livello della rete: così ci sarebbero più schemi, più soluzioni, più tattiche di gioco”.
RISCHIO INFORTUNI – Gli inviati di Ubitennis si sono permessi di girare la proposta a Richard Krajicek, direttore del torneo di Rotterdam. L’ex campione di Wimbledon si è però detto in disaccordo, seppur con grande educazione: “Già adesso, rispetto ai miei tempi, le palline sono più leggere. Nel periodo in cui giocavo erano in molti, tra cui me, ad avere infortuni alle braccia dovuti ai frequenti cambiamenti di palla, ai quali era difficile abituarsi”. Dello stesso avviso è anche un altro nederlandese, Raemon Sluiter, ex-numero 46 ATP oggi coach di Kiki Bertens. Che fare, dunque? Krajicek propone di intervenire piuttosto sulle superfici, la cui varietà è considerata da sempre un must di questo sport. Ma anche in quel caso non è facile mettere tutti d’accordo…
Dopo un Australian Open decisamente più “rapido” del previsto, i primissimi giorni a Rotterdam hanno lasciato nei giocatori sensazioni contrastanti: mentre Tomas Berdych parlava di campi leggermente più veloci, ricordando però come lui e i colleghi possano basarsi unicamente sulle proprie sensazioni, numerosi habitué del serve and volley rinunciavano a scendere a rete dietro alle prime palle di servizio. Poche ore più tardi, la solita invasione del doppio da parte delle teste di serie di singolare – e la loro eliminazione con passivi pesanti – dimostrava quello che oggi è lo scopo principale (ma taciuto) della disciplina di coppia: testare la superficie del nuovo torneo, abituarsi ad essa con un’oretta di allenamento agonistico. È stato soltanto dopo l’incontro tra Dominic Thiem e Alexander Zverev, tuttavia, che i tennisti hanno preso a parlare per davvero della questione delle condizioni di gioco.
QUESTIONE DI MARCA – “Le condizioni di gioco qui sono orribili per me” ha lamentato il tedesco, sconfitto. “Quest’anno il campo sembra formato da un paio di piattaforme che ogni tanto si allontanano l’una dall’altra. Il rimbalzo è molto basso, in certi momenti mi sembrava di giocare su terra molto molto bagnata. Inoltre le palle (Technifibre, ndr) sono troppo morbide, sono quasi come quelle dei bambini e non rimbalzano quasi per nulla”. Quando gli è stato fatto notare che le stesse avevano ricevuto parole di lode dal suo avversario appena pochi minuti prima, Sascha ha replicato con una risata beffarda: “Certo, per il suo gioco le condizioni erano perfette”. Thiem era stato anche l’unico a nominare esplicitamente i brand: “Le palle Head non sono per nulla divertenti da giocare, sono come sassi. Ho sentito che a nessuno piacciono”. Zverev non se ne era lamentato affatto, però c’è anche da dire che la Head è il suo sponsor tecnico…
Pur discordi nelle recensioni, i due hanno proposto soluzioni simili. “Bisognerebbe considerare l’idea di giocare con uno, massimo due tipi di palle in tutto l’anno” ha sostenuto l’austriaco, “anche nel calcio si fa così: giochi la Champions League con un pallone, il tuo campionato con un altro e basta”. Un po’ più flessibile il suo amico: “Magari basterebbe, quando ad esempio giochiamo tre settimane di fila indoor, che i tornei si mettessero d’accordo su un solo tipo di superficie e un solo tipo di palle”. Secondo Sascha, questo incentiverebbe anche i tennisti a presentarsi a tornei consecutivi.
Passati un paio di order of play la palla – è proprio il caso di dirlo – è tornata a Berdych. Il ceco, pur trovandosi d’accordo, ha fatto notare la difficoltà dell’impresa: “Ci sono cose attorno al gioco da considerare, come gli sponsor” ha ammesso. “E poi come si sceglie qualcosa che vada bene per tutti?” Gli ha fatto eco Marin Cilic: “E quale marchio scegli? Ognuno mette il suo logo sulla palla, è così da quando esiste il tennis. Sarebbe impossibile”. L’unica voce fuori dal coro è stata quella di Jo-Wilfried Tsonga, a cui la varietà… piace! “Ogni settimana è tutto diverso, le palle sono diverse, i campi sono diversi, il pubblico che fa il tifo è diverso… è bello così, non ho problemi”. Tra i pro, comunque, sembra che l’argomento sia caldo. Berdych ha svelato l’esistenza di alcuni test svolti dalle varie marche, allo scopo di trovare (con il feedback dei tennisti) almeno la versione più apprezzata della palla, mentre Thiem sostiene che “Probabilmente nel futuro prossimo scriveremo a qualcuno”.
OLTREOCEANO? STESSA STORIA – A Memphis non va troppo diversamente, visto che anche Steve Johnson sposta sulle palline – nel suo caso quelle prodotte da Robin Soderling – la colpa della propria sconfitta. “Sono orribili, le peggiori con cui io abbia mai giocato” sbotta il californiano, “non so se giocherò mai un altro torneo con queste palle”. Gli organizzatori di Memphis e di Stoccolma, l’unico altro torneo ad utilizzare il modello di palle dell’ex tennista svedese, terranno in considerazione il feedback ma non si strapperanno certo i capelli per l’assenza di un Johnson. Se il commento fosse arrivato da qualcun altro però, magari da una di quelle teste di serie che fanno vendere biglietti?