In una innumerevole quantità di occasioni Franco Davin si dovette mordere la lingua, per non parlare pubblicamente durante il lungo periodo in cui fu allenatore di Juan Martin del Potro. Per le otto stagioni in cui lavorarono assieme, il pehuajense visse tutti gli stati d’animo possibili: appagamento, felicità, preoccupazione, angoscia, indignazione, incertezza, rabbia, sollievo. Molte volte, soprattutto nei tempi tormentati legati alla Coppa Davis, i silenzi causarono problemi a del Potro – lo ha riconosciuto lui stesso – e anche Davin, come allenatore, soffrì questa posizione, pur comprendendo le necessità dei media. Dopo aver interrotto la sua collaborazione con del Potro nel luglio 2015, l’unico argentino vincitore di due Slam da coach (Roland Garros 2004 con Gaston Gaudio e US Open 2009 con il tandilense) si stabilì a Miami insieme alla sua famiglia. Il suo attuale ruolo di allenatore di Fabio Fognini lo ha portato a Buenos Aires e gli ha fornito una visione ampia, acuta e critica di diverse situazioni, dal tennistico al sociale.
Con la malinconia tipica di chi si era abituato ad un tennis diverso Franco Davin ha commentato la situazione attuale, secondo il suo punto di vista. “Sai cosa mi preoccupa del tennis di oggi? Entrare in uno spogliatoio dopo la partita e non trovare giocatori arrabbiati per aver perso. Non è più come prima, ora vedi un ragazzo che finisce di giocare e in meno di dieci minuti afferra lo smartphone per scrivere “Ciao a tutti, ho appena perso, ma va tutto bene”, in cerca di compassione e sostegno da milioni di seguaci […] Il dialogo è andato perso, i ragazzi non ascoltano mentre nel tennis è importante lavorare sull’aspetto mentale. È vero, gli atleti hanno grandi pressioni da manager, sponsor e tornei. Però la realtà è che mi dispiace quando vedo i tennisti perdere e non soffrire neanche un po’. Vivono una vita irreale, sembrano attori di Hollywood”.
Con del Potro però era tutto diverso, lo dice come prima cosa. “Juan Martin mentalmente è una belva. È un ragazzo estremamente professionale, fa tutto quello che deve fare anche perché non vuole che nessuno lo giudichi male. A volte ha dovuto combattere con persone di cui non conosceva neanche il nome, anche se cercavo di dirgli che non ne vale mai la pena. Non è stato facile chiudere il rapporto, eravamo molto uniti e condividevamo tutto, dal bene al male. Io però ho dovuto dare priorità alla famiglia, anche se all’inizio l’idea non era smettere di lavorare assieme. Poi lui mi ha detto di aver bisogno di qualcuno che gli dedicasse più tempo e io in quel momento non potevo. Ma non ci siamo allontanati, ero con lui prima della sfida di Davis con la Gran Bretagna, lui è passato da Miami per salutare i miei figli. Anche lui dà grande importanza a queste cose: ad esempio non ha mai voluto lasciare Tandil, i suoi affetti, anche se questo comporta più ore di viaggio per seguire le tappe del circuito. Poco prima della vittoria con l’Argentina mi aveva detto “Io gioco anche gratis, non mi interessa, voglio vincere la Davis”. Per questo non ho mai dubitato che potesse tornare ad alti livelli”.
Inevitabilmente il discorso torna all’attualità, alla sua collaborazione con Fabio Fognini con un paragone piuttosto inaspettato. “Con Fabio ci stiamo conoscendo. Veniva da uno stop, da un infortunio e da un passo importante come quello di sposare Flavia Pennetta, tra poco sarà padre. Per alcuni aspetti mi ricorda Gaston Gaudio, per altri no: anche Gaston era uno che parlava molto ma in campo correva dietro ogni palla, era un altro tipo di giocatore. Con Fabio stiamo lavorando su questo aspetto. Gaston dava la sensazione che non avesse voglia di giocare, però per vincere un punto contro di lui dovevi ammazzarlo. Fabio no: dà quell’immagine e poi si comporta esattamente in quel modo (Sorride). È una gran persona, un ragazzo spettacolare con una famiglia molto cordiale“.
Franco spazia poi a 360°, partendo da un battuta su Federer e Nadal: “Roger è il più grande che abbia mai visto. Nella finale in Australia l’ho visto meglio che negli ultimi tre anni. Basta pensare che di fronte aveva un fenomeno come Nadal, l’unico che era in grado di trasformarlo a livello mentale. Sarà un anno di tennis molto interessante“. Tra i giovani della Next Gen invece ha un prediletto: “Se devo sceglierne uno, scelgo Zverev. Vedo in lui alcune cose di del Potro. Ha una buona testa, un buon rovescio, anche se il dritto di Juan Martin è dieci volte migliore e gli manca il lavoro fisico che lui fece con Martiniano Orazi all’epoca. Ma ha ancora tempo“. La chiusura è un pizzico patriottica su Guillermo Vilas: “Lo metto al di sopra di tutti, a meno che domani non arrivi uno e vinca ogni cosa. Ciò che ha fatto Vilas qui in Argentina è stato unico. Ha fatto esplodere il tennis, lo ha reso popolare, tutti noi giochiamo grazie a lui. Ho avuto la fortuna di vederlo giocare e gli sforzi che faceva, il modo in cui lottava in campo erano impressionanti, aveva un carisma pazzesco. Vilas portato nell’attualità sarebbe Nadal, che viene da un Paese senza storia tennistica“.