La questione che riguarda Lendl è stato raccontata in un famoso articolo comparso sul New York Magazine nel 1989, che descriveva lo straordinario carattere e l’estrema forza di volontà di Ivan. Non a caso l’articolo si intitolava “Obsession” (“La ricerca solitaria di Ivan Lendl verso la perfezione”, di Tony Schwartz. Si può recuperare QUI).
In sintesi il tema è questo: nei primi anni di carriera Lendl faticava a giocare il rovescio in topspin (monomane nel suo caso), e quasi sempre utilizzava il back. Consigliato da Wojciech Fibak (tennista polacco molto tecnico che lo avrebbe seguito per alcuni anni), decide che per compiere un ulteriore salto di qualità deve limitare lo slice in favore del più aggressivo topspin. E lo deve fare a ogni costo. La nuova impostazione passa anche attraverso il cambio di impugnatura e incide sui risultati immediati: per un periodo Lendl è disposto perfino a perdere dei match che con la vecchia soluzione probabilmente non avrebbe perso, convinto che quello sia un sacrificio da accettare in vista del miglioramento a lungo termine, determinante per la carriera.
Lendl incontra Harold Solomon nell’aprile del 1980 a Las Vegas e viene battuto 6-1, 6-1. Un match perso soprattutto per l’ostinazione a utilizzare il rovescio in topspin malgrado le difficoltà di esecuzione. Ivan lascia il campo in lacrime, ma sino all’ultimo punto non ha rinunciato alla nuova impostazione del colpo. Anzi: passa l’estate a Greenwich a provare e riprovare il topspin di rovescio. Quattro mesi dopo, agli US Open, trova di fronte lo stesso avversario, e lo batte per 6-1, 6-0, 6-0. Lendl avrebbe incontrato altre sei volte Solomon, vincendo sempre senza concedere un set.
Ecco, tornando a Mladenovic, mi viene questo dubbio: la sua ritrosia verso il back è determinata dello stesso obiettivo di miglioramento di Lendl? Al momento non saprei dirlo. Devo però aggiungere che in linea generale faccio più fatica a ricordare casi di giocatrici in grado di progredire sul lato del rovescio in modo davvero soddisfacente rispetto a tenniste che invece con il passare delle stagioni sono profondamente migliorate con il dritto (nell’articolo della scorsa settimana ho citato ad esempio Elina Svitolina e Johanna Konta). Di una cosa sono comunque abbastanza sicuro: se Kiki riuscisse a crescere nella solidità del rovescio, allora le si aprirebbero orizzonti di livello superiore, perché allo stato attuale è questo il colpo che quasi sempre può mandarla in crisi nei passaggi cruciali dei match.
Per completare il quadro tecnico resta da analizzare il gioco a rete. Ottima doppista, a mio avviso in singolare Mladenovic è meno efficace di volo perché non è particolarmente dotata nel coordinarsi in fase di transizione: correre in avanti e trovare il tempo ideale per la posizione della prima volèe non le risulta del tutto naturale. Del resto, malgrado abbia un fisico da tennis contemporaneo (alto, asciutto e potente) secondo me Kiki rispetto ad altre giocatrici simili a lei ha un deficit sul piano dell’agilità: ha bisogno di qualche frazione di secondo in più per coordinarsi ed eseguire i colpi al meglio.
Questo non significa che non sappia, ad esempio, colpire in corsa; ma le riesce bene se ha il tempo per preparare mentalmente la sequenza di movimenti necessaria. Se invece deve agire in modo più immediato, allora secondo me emerge una certa goffaggine. Anche per questo la mobilità e il gioco di contenimento non sono punti di forza del suo tennis.
In compenso una volta che ha preso posizione a rete e può colpire quasi da ferma emergono le sue doti di doppista, in grado di aggiudicarsi 16 tornei (tra cui un Roland Garros) arrivare in finale a Wimbledon e Flushing Meadows; oltre che raggiungere quattro finali Slam nel misto, vincendone due.
A proposito di doppio, ci sarebbe da affrontare la questione della separazione da Caroline Garcia, compagna di tutti gli ultimi grandi successi (nel circuito e in Fed Cup), ma rimando al prossimo articolo su Caroline per parlarne. Al momento non è del tutto chiaro in che termini si siano lasciate; di sicuro diverse volte Kiki ha mostrato di affrontare le situazioni in modo deciso, evitando le mezze misure e le opinioni diplomatiche; in campo come fuori. Ricordo ad esempio la sua presa di posizione nei confronti di Maria Sharapova per la questione doping, ma anche un recente scambio di vedute piuttosto acceso con Barbora Strycova durante il doppio della finale di Fed Cup, o con Jelena Ostapenko a Wimbledon 2015.
In linea generale si potrebbe dire che Kiki ha un atteggiamento di grande intensità verso il tennis: i comportamenti accomodanti e distaccati non fanno per lei. Questo a volte la penalizza durante le partite, visto che nei frangenti importanti non sempre riesce a mantenere la necessaria lucidità. Anche il bilancio delle finali in singolare (una vinta e 4 perse, non contando i tornei 125K) sembra confermare la difficoltà nell’esprimersi al meglio sotto stress, nelle occasioni che contano di più.
C’è infatti una profonda differenza tra affrontare le partite con un atteggiamento “caldo”, di grande carica agonistica, e invece farsi sopraffare dalle emozioni perdendo di vista le chiavi tecniche e tattiche dei match. Probabilmente sotto questo aspetto Mladenovic ha ancora un tratto di strada da percorrere per raggiungere il giusto equilibrio e riuscire a valorizzare in pieno le sue potenzialità. E proprio questa capacità di maturazione potrebbe rivelarsi determinante per i futuri, possibili progressi del suo tennis.