Per il momento, tutto secondo copione. Alexander Zverev disputa la sua quarta finale ATP in nove mesi, la vince e si ritrova a guidare con autorità la testa della Race to Milan. Dietro di lui, un Daniil Medvedev capace di consolidare la seconda posizione grazie a una certa continuità di risultati: finale a Chennai, quarti a Montpellier e Marsiglia. Dalla terza posizione in avanti, nessuna certezza.
Questa, del resto, è la Next Gen, nebulosa senza gerarchie né punti fermi, e quindi luogo – c’è da scommettere – di continui avvicendamenti da qui all’evento milanese. Così come, perché no, di possibili exploit dalle retrovie, cioè da quel sotto-insieme costituito dai giovani da poco affacciatisi nel circuito maggiore (Tsitsipas, Shapovalov) o, alle loro spalle, dai talenti più fulgidi dell’universo Itf (Auger Aliassime, Kecmanovic, Moutet ed altri).
Rispetto a un mese fa, risultano confermate cinque delle prime otto caselle della Race: Zverev, Medvedev, Chung, Rublev, Rubin. Fuoriescono Tiafoe e i due australiani Jasika e Mott – tutti e tre restano però nelle immediate vicinanze – e subentrano Ruud, Bublik ed Escobedo.
Il talento norvegese, balzato al terzo posto della Race, si è reso protagonista di un evento quasi straordinario nel tennis contemporaneo: vincere, appena diciottenni, il primo match Atp in un 500, raggiungendone nello stesso tempo la semifinale. E pensare che due settimane prima Ruud aveva subito un’eclatante eliminazione nella semifinale del challenger di Budapest: 6-0, 6-0 da Fucscovics. Il ragazzo – specialmente sulla sua superficie elettiva, la terra rossa – mostra già una particolare solidità e soprattutto, come ha rimarcato suo padre, un’improvvisa maturità nel modo di stare in campo. È però buona regola smorzare i facili entusiasmi. Dopo l’exploit di Rio, il norvegese è volato a San Paolo e si è fermato al secondo turno con Federico Delbonis. In questa settimana, saggiamente, ha scelto di proseguire il lavoro sulla terra battuta, partecipando al challenger di Santiago del Cile, a casa di un altro talento della Next Gen, Christian Garin, recentemente approdato all’accademia di Rafa Nadal. Entrambi, dopo un’ottima partenza, sono stati eliminati al secondo turno: il primo per mano dell’esperto Joao Souza, il secondo raccogliendo appena quattro giochi dal giapponese Daniel Taro.
È arrivato il primo titolo challenger per Sasha Bublik. Il talento (neo)kazako se lo è andato a conquistare in Messico, nella pittoresca cornice di Cuernavaca, capitale dello stato federato di Morelos. Quarto e più giovane esponente della Next Gen a vincere un challenger nel 2017 (prima di lui, Chung, Jasika e Rubin), Bublik raggiunge il suo best ranking (n. 137) e sale al settimo posto della Race. Il suo calendario alle qualificazioni di Indian Wells non è stato particolarmente fortunato: il kazako ha superato (l’involuto) Gulbis 2 set a 0, prima di arrendersi a Basilashvili, in un match che si preannunciava complicato alla luce dello stato di forma del tennista georgiano.
Il terzo subentrante nella top 8 della Race è il messicano-statunitense Ernesto Escobedo, grazie ai preziosi punti raccolti all’Atp 500 di Acapulco, dove ha superato al primo turno il derby Next Gen con Kozlov – in un match senza mezze misure, 6-1, 2-6, 6-0 – prima di essere eliminato al secondo turno dal solido Steve Johnson. Sorprendente il suo passo falso alle qualificazioni di Indian Wells: 0-2 senza appello dal tedesco Peter Gojowczyk.
Per quanto riguarda la triade russa, fatta salva l’eccezione positiva di Medvedev, si attende ancora un segnale di ripresa da Karen Khachanov, distante dalla zona calda della Race. Dopo Melbourne, il russo ha collezionato quattro eliminazioni al primo turno su quattro tornei disputati: Montpellier, Rotterdam, Marsiglia e Dubai, rispettivamente da Paire, Coric, Simon e Bautista Agut. Al primo turno di Indian Wells lo attende il redivivivo Tommy Robredo. Attraversa un periodo di totale appannamento anche Andrej Rublev. Dopo le ottime performance a livello challenger in terra francese, il talento russo ha deluso fortemente nel circuito maggiore: a Marsiglia uscendo sconfitto al primo turno da Marchenko, a Rotterdam e a Dubai mancando l’ingresso nel tabellone principale nonostante due turni di qualificazione tutt’altro che proibitivi; infine, favorito nei pronostici, è crollato anche al primo turno delle qualificazioni di Indian Wells per mano di Andrew Whittington: 6-3, 6-1 il punteggio finale, un risultato eloquente dello stato di forma di Rublev, che sembra aver smarrito completamente la concentrazione nei match.
Con l’eliminazione di De Minaur da parte di Radu Albot, l’unico esponente della Next Gen a superare le qualificazioni di Indian Wells è stato lo svedese di origine etiope, Elias Ymer, grazie alla netta vittoria sul giapponese Nishioka, avversario sulla carta nettamente superiore; curiosamente i due si riaffronteranno al primo turno, dato che il giapponese è stato ripescato dopo il forfait di Gasquet. Uno su otto, dunque: un bottino scarsissimo, determinato in buona parte dal mancato apporto dei talenti di casa.
Sì, perché la schiera della Next Gen statunitense si è presentata nel deserto californiano con otto elementi, praticamente al gran completo (assente solo Tommy Paul). Quattro, grazie alle wild card, sono attesi direttamente al primo turno (Fritz, Kozlov, Opelka e Tiafoe), quattro hanno partecipato alle qualificazioni. Con esito disastroso, se è vero che fra Rubin, Mmoh, Donaldson e – appunto – Escobedo, nessuno è riuscito a portare a casa neppure un set. Da Noah Rubin, dopo la preparazione minuziosa delle scorse settimane, era lecito attendersi una prova di maggiore spessore contro Darian King, il tennista delle Barbados che a febbraio, a Memphis, aveva sconfitto Bernard Tomic, regalando a sé stesso e al suo Paese il primo match Atp dell’era Open. Jared Donaldson, n. 93 ATP, è stato agevolmente superato da un Rajeev Ram sempre insidioso su questa superficie. Michael Mmoh, infine, se l’è dovuta giocare con il navigato Giraldo, che lo ha superato al tie break del secondo set: un risultato fin troppo “tirato” alla luce delle dodici palle break offerte dal giovane statunitense.
Quanto agli altri, il solo Tiafoe sembra avere chance più concrete di avanzare nel torneo: sulla sua strada Lajovic ed eventualmente Feliciano Lopez, avversario oggi non insuperabile; ad aspettare al varco Opelka c’è invece Carreno Busta; Fritz è atteso in un match complicato con Paire e poi, eventualmente, con Cilic; Kozlov ha pescato Young, in caso di successo lo attende un Querrey in grande forma.
Essere smentiti sarebbe confortante, ma sembrano mancare le premesse per un Indian Wells all’insegna della Next Gen – Zverev a parte, beninteso, anche alla luce di un tabellone sulla carta agevole per i primi due turni. Poi sarà la volta di Miami, prima che abbia inizio quella che per alcuni esponenti della Next Gen può essere considerata un’unica lunga stagione di fatiche e di incognite. Infatti, per ragioni che si non possono qui affrontare, tanto la terra rossa quanto l’erba sono superfici con cui alcuni di questi ragazzi, cresciuti a pane e cemento, devono ancora seriamente misurarsi. Calendario alla mano, l’impressione è che qualche spazio per un avanzamento possa più facilmente aprirsi nella stagione estiva: quando i grandi riposano, e all’orizzonte si staglia di nuovo il cemento americano.
Claudio Tancredi Palma