Gentile Camila,
chissà se leggerai mai queste righe. Noi non ci conosciamo, né credo avremo l’occasione di farlo. Ma non fa nulla. Vedo che dicono tante cose su di te e sul tuo tennis. Io non ho i titoli per farlo. Tu sei una delle migliori trenta giocatrici del pianeta e io mi limito ad avere il più bel rovescio del pianerottolo del mio condominio. Non potrei davvero dirti nulla senza risultare ridicolo. Però curo una piccola rubrica di cultura tennistica. Ogni due settimane recensiamo un libro sul tennis, perché il tennis è fatto sì di palline e di racchette ma anche di tante altre cose. A me piace chiamarle implicazioni esistenziali.
La settimana scorsa abbiamo recensito il famoso libro di Brad Gilbert “Vincere sporco[1]” e mi sei venuta in mente tu. Adesso ti dirò perché. Cara Camila ritengo che i libri siano delle specie di occhiali che ci permettono di vedere la realtà in maniera più densa, più ricca. Nello scriverti questa lettera ho usato due lenti. Uno è appunto il libro di Gilbert, l’altro la celebre autobiografia di Agassi[2]. Due libri convergenti e collegati. Gilbert è stato l’allenatore di Agassi, l’uomo che ha trasformato un talento pazzesco e incompiuto in un campione. Anticipo che non voglio assolutamente dire che dovresti prendere un nuovo allenatore e sostituire tuo padre. Anzi se leggerete il libro assieme sarebbe fantastico. Però ascoltami. Ricordo la prima volta che ho visto giocare Agassi. Era a Parigi e di fronte a quel diciottenne colorato che sprizzava personalità da tutti i pori c’era un maestro di tennis che adesso fa il commentatore di successo. Il diciottenne sparava e Wilander rispondeva. Poi sparava ancora e l’altro interpretava. Fino a quando il primo andava fuori giri e l’altro come il cinese della famosa storia raccoglieva cadaveri sulla riva del fiume. È stato un confronto di stili fantastico, non il classico attaccante difensore, ma una roba più profonda. Un colpitore eccezionale e uno stratega meraviglioso. Un braccio al fulmicotone contro una mente quantica. Anticipi irreali contro controtempi celebrali. La partita l’ha vinta Wilander (credo 6-0 al quinto dopo che nel quarto è stato vicino al baratro) ma era chiaro a tutti che quel giorno finiva un’epoca e ne iniziava un’altra. Però, anche se poi è andata davvero così, la transizione non è stata automatica.
Agassi, prima di diventare il campione che conosciamo non ha mantenuto le promesse di quell’uggioso giorno parigino. Prima a Roma con Gomez poi di nuovo a Parigi con Courier e poi quasi dovunque, Agassi ha cominciato a perdere contro gente che avrebbe dovuto spezzare allegramente a occhi chiusi. È entrato in una spirale di dubbi che ha messo a serio rischio la sua carriera. A riportare i binari della storia al proprio posto sarà il buon Brad Gilbert. Il libro in questione. E qui, per analogia, entri in gioco tu, cara Camila. Con le dovute proporzioni il tuo gioco mi ricorda molto quello del primo Agassi. Gli anticipi pazzeschi, la ricerca del vincente come un dogma, la posizione in campo, i piedi senza peso che fanno scintille, un certo autismo nel gioco dove è più importante la palla dell’avversario, più altra roba psicologica e esistenziale sulla quale non entro. Fatte le dovute proporzioni credo che le difficoltà che il tuo tennis sta incontrando siano simili a quelle sulle quali si incagliò quello di Agassi. La svolta è stata Gilbert che in maniera brutale tra un rutto e una pisciata disse al Kid di Las Vegas più o meno così “tu non devi essere perfetto. Non devi essere sempre il migliore del mondo. Devi essere semplicemente migliore di quello dall’altra parte della rete”.
In poche parole non devi solo eseguire il colpo, devi anche interpretare il gioco. E metterti nelle condizioni migliori per esplodere quei colpi perfetti che dio ha dato proprio a te. Insomma devi assorbire un frammento di Wilander. Il tennis è una roba fottutamente complessa, i colpi per quanto fondamentali, sono solo una piccola parte. Detta così la questione sembra semplice ma non lo è. Leggendo il libro di Agassi è chiaro che per l’americano colpire perfettamente la pallina era una forma di terapia. Tutta la complessità della sua storia biografica trovava un senso solo quando colpiva a mille la pallina ed essa usciva dalla sua racchetta pulita come un bebé. Con quel frammento di perfezione scappava dalle tensioni della sua vita e si riappacificava con le ore passate contro il Drago (la famosa macchine spara palline) e con la sua stessa esistenza che andrebbe riassunta così: odio il tennis ma è la cosa che so fare meglio. Agassi per scappare dal tennis si rifugiava nei colpi. Sembra un paradosso ma non saprei come dirla meglio. La metamorfosi da giocatore a campione si è manifestata mantenendo intatti i frutti della sua battaglia interiore (i colpi) ma aprendosi alla complessità della vita e del tennis, che ne rappresenta sempre un riflesso. Così facendo è uscito dall’autismo del suo gioco spettacolare ed è entrato in relazione con le altre componenti del gioco. Questo è quanto cara Camila. L’età dell’incontro tra Agassi e Brad è quella che hai adesso. Non è tardi. Lontano dai moralismi tipici di quei tribunali che si chiamano divani, o giornali, ti consiglio semplicemente la lettura dei due libri in questione. Forse dentro quelle storie troverai esperienze e piccoli cortocircuiti utili per la tua carriera. Che ti auguro splendida. Come il tuo tennis, e da quello che vedo, come la tua persona merita.
Cordialmente
P.P.Z.
[1] La Piccola biblioteca di Ubitennis. Brad Gilbert: “Vincere sporco”
[2] Open, l’autobiografia di Andre Agassi: un (falso) capolavoro
Leggi tutte le recensioni della Piccola Biblioteca di Ubitennis!