Il tennis italiano è arrivato ad Indian Wells, sede del torneo che per molti addetti ai lavori è il “quinto Slam” della stagione, dopo un mese di febbraio pessimo, nel quale il nostro movimento professionistico ha avuto una sola piccola gioia: la finale raggiunta a Quito da Lorenzi, in un mare di delusioni e risultati sconfortanti. Non si sa da dove iniziare a ricapitolarli, tra i problemi fisici per quattro nostre giocatrici di punta (tendine per la Vinci, adduttore della coscia per la Errani, schiena per Giorgi, nuova operazione al ginocchio per Knapp), la bocciatura umiliante in Fed Cup della nostra rappresentativa, l’uscita di Errani dalla top 100 e risultati pessimi nel circuito, dove per due settimane al mercoledì eravamo già fuori da tutti i tornei e per una terza abbiamo raggiunto con un solo giocatore i quarti (Fognini al modesto ATP 250 di San Paolo).
In questo fosco scenario, ecco che i risultati raggiunti in California sembrano fare intravedere dei segnali di ripresa: Fognini che dopo due anni torna a battere un top ten (Tsonga); i nostri numeri 1, Lorenzi e Vinci, che fanno il loro dovere per poi perdere dignitosamente da avversari di gran livello e in eccellente forma (rispettivamente Wawrinka e Kuznetsova); Gaio che per la prima volta partecipa con le proprie forze al tabellone principale di un Masters 1000; Errani che torna a vincere una partita e lotta alla pari contro una top 20; Schiavone che si qualifica per la quindicesima volta al tabellone principale del Premier Mandatory californiano. Nulla di trascendentale, come si legge, ma pur sempre abbastanza per far dire in sede di ricapitolazione che alla prova di Indian Wells il tennis italiano sia andato, se non bene (sarebbe eccessivo), sicuramente meglio di quanto ci si potesse aspettare, mostrando dei segnali di ripresa.
Partiamo in sede di analisi da chi si è comportato meglio di tutti: Fabio Fognini è tornato a giocare per la nona volta ad Indian Wells, torneo nel quale solo in una circostanza aveva vinto due partite di fila nel tabellone principale (nel 2104, quando sconfisse Harrison e Monfils, prima di arrendersi a Dolgopolov). Il ligure in California è tornato a competere, due mesi dopo gli Australian Open, in un torneo sul cemento all’aperto: al primo turno ha trovato un avversario a lui inedito, Konstantin Kravchuk, n°96 ATP, 32 enne russo con onesta carriera costruita nei Challenger (solo 8 vittorie complessive nel circuito maggiore, l’ultima contro Pella nel 2016 sulla terra rossa di Gstaad). Le premesse sembravano indicare una partita facile, ma non lo è stata, anzi. Fabio, autore di una brutta prova al servizio (8 doppi falli a fronte di due soli ace, diversi falli di piede), ha perso il primo set in appena venti minuti e si è trovato sotto anche nel secondo, dove il russo è andato a servire per il match sul 5-4 senza aver dovuto annullare sino a quel momento neanche una palla break. La paura di vincere dell’avversario inesperto a questi livelli e scenari, ed un Fabio che finalmente iniziava a leggere il servizio avversario hanno insieme cambiato l’inerzia di un match che ha visto l’ex numero 13 del mondo fare due break consecutivi e portare la partita al terzo. Nel parziale decisivo Fabio ha commesso l’errore di non chiudere l’incontro, facendosi controbrekkare dopo aver strappato servizio ad inizio del terzo ed ha anzi dovuto annullare tre pericolose palle del 5-3 a Kravchuk, prima di allungare nel gioco successivo e chiudere incontro dopo 2 ore e 18 minuti con il punteggio di 0-6 7-5 6-4 ed ottenere il prestigioso traguardo della 250°vittoria nel circuito ATP.
Al turno successivo, Fognini ha incontrato una sua bestia nera, Jo-Wilfried Tsonga: contro il 31enne n°8 ATP, reduce dalle vittorie consecutive di Rotterdam e Marsiglia, il tennista azzurro aveva vinto un solo set dei nove giocati nei quattro confronti tra i due. In condizioni climatiche decisamente non ideali (gran caldo, sebbene secco) nel primo pomeriggio californiano Fabio ha vinto il primo set al tie-break, con merito ed un pizzico di fortuna (un nastro decisivo nella fase calda del gioco decisivo), per poi pagare a caro prezzo un break subito nel terzo gioco e ritrovarsi al terzo set, dove, dopo una serie di favori scambiatisi gentilmente (entrambi hanno perso due volte il servizio), alla terza palla break del nono game il nostro giocatore è riuscito a convertirla ed a poi servire con successo per il match, chiudendo dopo 149 minuti col punteggio di 7-6(4) 3-6 6-4. Una vittoria che rappresenta una doppia soddisfazione perché è l’ottava contro un top ten, dopo quelle con Verdasco (n° 9) a Wimbledon 2010, Berdych (6) e Gasquet (9) a Monte Carlo 2013, Murray (8) in Coppa Davis nel 2014, Nadal nel 2015 a Rio de Janeiro (quando era 3), a Barcellona (quando era 4) e all’Open degli Stati Uniti (quando era 8).
Nel terzo turno l’incontro con il trentunenne uruguagio Pablo Cuevas rappresentava per il nostro giocatore la più classica delle prove del nove: non perché il numero 30 ATP sia un giocatore scarso, anzi, ma trattasi tecnicamente di un tennista due spanne sotto al francese. Fabio tra l’altro è sceso in campo conscio di aver dalla sua la fiducia proveniente dagli scontri diretti, vinti in ben 4 occasioni su 5, considerando anche quello a livelli Challenger. Purtroppo Fognini, che pure era partito bene strappando d’acchito la battuta a Cuevas, era in pessima giornata, specialmente col fondamentale del dritto, trovandosi durante tutto l’arco del match a subire la regolarità e la profondità di palla dell’avversario. Inevitabilmente, l’ex numero 13 del mondo ha in malo modo smarrito il primo set in appena 21 minuti di gioco (nei quali Cuevas ha fatto il doppio dei punti, 28 a 14). Il maggiore equilibrio del secondo set, deciso da un break a favore dell’uruguagio nel terzo game, non è bastato a Fabio, che non ha sfruttato l’unica palla break avuta nel corso del quinto gioco: dopo meno di settanta minuti, Cuevas aveva archiviato il suo accesso agli ottavi, grazie ad una facile vittoria, arrivata col punteggio di 6-1 6-4.
Il nostro numero 1, Paolo Lorenzi, è tornato per la quinta volta a Indian Wells, dove nelle ultime due partecipazioni aveva raggiunto il secondo turno. All’esordio ha trovato di fronte Robin Haase, 29enne olandese al 47° posto del ranking ATP, contro il quale aveva vinto unico precedente. Sia una prova centrata e tatticamente astuta di Lorenzi, sia un Haase molto falloso hanno fatto in modo che in entrambi i set Paolo scappasse avanti di due break, e di gestire così la parziale, inutile, reazione dell’olandese. Il toscano, senza troppo patire ha chiuso con merito il match in 1 ora e 24 minuti col punteggio di 6-4 6-3. L’impegno successivo, contro Stan Wawrina, contro il quale aveva perso, senza vincere un set, i due precedenti, datati 2013, era proibitivo, a meno che il campione in carica degli US Open lo avesse aiutato con una prova incolore. Purtroppo il numero 3 del mondo è sceso in campo centrato e non è bastato il solito ardore del toscano, che non ha demeritato ed anzi ha giocato quasi alla pari con il 31enne svizzero: il primo set è stato deciso dall’unica palla break concessa da Paolo nel quarto gioco, che invece non è riuscito a convertire le due guadagnate nel settimo. Nel secondo, Paolo ha avuto la forza di annullare ben 8 palle, prima di vedersi strappare il servizio sul 4 pari e far chiudere la partita a Wawrinka dopo 1 ora e 18 minuti col punteggio di 6-3 6-4. Lorenzi è uscito dal campo senza rimpianti, ma per il numero 1 azzurro l’appuntamento con la prima vittoria in carriera contro un top ten è rimandato.
All’appuntamento con il Masters 1000 californiano, disertato da Andreas Seppi, nessun altro tennista italiano aveva la classifica per entrare direttamente in tabellone e solo uno, Federico Gaio, dei 5 azzurri (gli altri erano Giannessi, Vanni, Fabbiano e Napolitano) che godevano della classifica per entrarci, ha deciso di provare la strada delle quali: una scelta molto opinabile, visto che la scalata nel ranking passa dall’esperienza nei grandi tornei, tanto più se sul duro, la superficie dove si giocano la maggioranza dei tornei. Il faentino, 159 ATP, è stato premiato per il coraggio nella sua programmazione, riuscendo ad accedere al main draw grazie ai successi prima sul 31enne ucraino Sergiy Stakhovsky, 11o ATP (ma ex 31, ricordato da molti per il suo successo su Federer nel secondo turno di Wimbledon 2013), ottenuto col punteggio di 7-6(3) 6-3 in 1 ora e 28 minuti; poi sull’australiano Andrew Whittington, eliminato in 1 ora e 25 minuti con un netto 6-2 7-5. Purtroppo non è stato poi fortunato nell’accoppiamento nel tabellone principale: al primo turno si è trovato di fronte il 30enne sudafricano Kevin Anderson, reduce da un 2016 pieno zeppo di problemi fisici (ginocchio sinistro e spalla destra) ed attuale n°79 ATP, ma top ten meno di due anni fa. Federico, sopraffatto nelle primo set dalle bordate al servizio ed alla risposta dell’avversario, si è trovato sotto in 20 minuti 0-5 ed è veramente entrato in partita solo nel secondo set, nel quale è risalito dal 2-4 al 4 pari, prima di cedere nuovamente il servizio e dare la possibilità ad Anderson di chiudere con un 6-1 6-4 dopo 1 ora e 17 minuti che hanno eliminato Gaio dal torneo, ma non cancellato le sensazioni positive e le conferme di una lenta, ma graduale crescita.
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