ATP Dubai Tennis Championships. È questo l’unico trofeo sollevato nel 2017 dal n.1 del mondo tra circuito maschile e femminile. Andy Murray è uscito sconfitto dai tornei di Doha e Melbourne, Angelique Kerber non è mai andata oltre i quarti di finale nei tre tornei australiani di gennaio. La tedesca ha poi ceduto lo scettro a Serena che da n.1 non è mai scesa in campo, dando forfait a Indian Wells e riconsegnando così la prima posizione ad Angie. La sorprendente eliminazione di Murray per mano di Vasek Pospisil ha chiuso i giochi anche per il mese di marzo: se ne riparlerà a Miami, dove la tedesca proverà a riabilitare la figura del numero uno del mondo. Non avrà modo di provarci invece Andy Murray, che assieme a Novak Djokovic ha annunciato la sua assenza sui campi di Key Biscayne per un infortunio al gomito.
Murray si vede quindi costretto a tracciare un bilancio “trimestrale”. Chiamato in Qatar a confermare lo straordinario finale di stagione ha concesso a Djokovic una prima parziale rivincita, ma soprattutto all’Australian Open si è arreso con una prestazione priva di mordente all’ottimo Mischa Zverev. La vittoria a Dubai non è bastata a fugare i dubbi, complici gli enormi rischi corsi ai quarti contro Kohlscreiber – sette match point annullati – e l’assenza di ostacoli probanti lungo la strada verso il titolo (Federer buggerato da Donskoy su tutti). Indian Wells doveva essere una sorta di prova del nove e lo scozzese non l’ha certo superata. Ancora una volta Andy si è lasciato irretire dagli schemi offensivi del suo avversario, proprio come contro Zverev. “Il serve&volley di Pospisil non c’entra, ho perso perché ho servito male” la dichiarazione di fine partita. Davvero è stata solo colpa del servizio?
Il suo storico contro i giocatori di volo, i panda che ancora praticano il serve&volley con una certa regolarità, in effetti parla chiaro. 10-0 contro Feliciano Lopez, 7-0 contro Karlovic, 5-0 contro Stakhovsky, 5-0 contro Muller, 4-0 contro Llodra. Per vedere comparire le prime sconfitte si deve arrivare al 5-1 delle sfide con Mahut e al 7-2 contro Stepanek, contro cui ha rischiato parecchio anche all’ultimo Roland Garros. Se estendiamo poi il discorso ai grandi servitori “puri”, che frequentano un po’ meno la rete ma costringono ugualmente l’avversario a giocare sul territorio dell’uno-due, la storia non cambia: 8-0 su Isner, 8-1 su Querrey, 6-2 su Anderson (e qui pesa l’evitabile debacle all’Us Open 2015). Anche contro Zverev (2-1) e Pospisil (4-1) prima di questa stagione non c’erano stati segnali di pericolo. Includendo i due scivoloni di Melbourne e Indian Wells parliamo di appena 8 sconfitte su 79 incontri analizzati: non certo un trend negativo.
Tecnicamente parlando i difetti di Murray non dovrebbero essere particolarmente sollecitati dal tennis verticale. Molti tentativi di serve&volley andrebbero a scontrarsi contro i suoi ottimi riflessi in risposta, tante sortite a rete verrebbero frustrate dalla sua abilità nei passanti, impreziosita dalla particolare attitudine al lob. Murray copre il campo in orizzontale come forse nessuno, è perfettamente in grado di sbracciare da posizioni defilate del campo, non soffre i cambi in back come più spesso è capitato di notare in Djokovic. E poi, da che mondo è mondo, chi siede sul podio dei migliori difensori del circuito, vanta la risposta di rovescio probabilmente più aggressiva ed è abituato a praticare un tennis “da testa sott’acqua e contrattacco” non dovrebbe certo temere chi prende la rete con continuità.
Se poi il servizio insufficiente è stato sicuramente un fattore contro Pospisil non basta a spiegare la sconfitta; i campioni del resto sono tali perché abituati a portare ugualmente a casa gli incontri in cui un colpo non funziona a dovere. La sconfitta non trova spiegazione esaustiva neanche nelle insidie del serve&volley (che pure hanno inciso). Le statistiche lo dimostrano, il suo tennis lo conferma, le più spicciole analisi tattiche tendono a surrogare. C’è qualche fattore che viene trascurato.
Murray, probabilmente, non “sente” di essere diventato effettivamente il numero uno del mondo. E in quanto numero uno del mondo non si è ancora vestito da dominatore, non incute timore, non è lo spauracchio degli avversari come in passato hanno saputo essere Federer, Nadal e Djokovic. Quella sicurezza che sembrava aver acquisito nel corso del secondo semestre del 2016 è stata probabilmente gonfiata dall’assenza di un Djokovic davvero competitivo. Delittuoso sarebbe togliere i meriti alla cavalcata dello scozzese culminata con il trionfo alle Finals ma un dettaglio è già piuttosto evidente. Durante il regno di Djokovic nessuno ha avuto l’ardire di mettere davvero in discussione la sua leadership finché il sorpasso non si è praticamente concretizzato, assuefatto com’era il circuito al dominio di Nole. Anestetizzato dallo scoramento che infliggeva a ogni avversario, o quasi. Oggi nonostante Andy sia praticamente certo di mantenere la prima piazza fino al Roland Garros si sprecano già le ipotesi sul prossimo cambio della guardia. Qualcuno scommette sul gran ritorno di Federer e Nadal – che guidano la Race – mentre altri frammentano le profezie tra il ritorno di Nole e l’arrivo di qualcuno di quelli che scalpitano nelle retrovie. È ovviamente Federer a catalizzare le maggiori attenzioni dei sensazionalisti, tanto più dopo la cavalcata trionfale di Indian Wells.
Andy Murray appare quindi come un numero 1 di passaggio. Si avanzano i paragoni con Hewitt, che come valore assoluto – e palmares, questo senza dubbio – va probabilmente considerato inferiore allo scozzese ma in vetta alla classifica ci ha passato ben 80 settimane. Andy è appena a 20 ed è certo soltanto di avvicinare quota 30. Per andare avanti serviranno le qualità espresse nella scorsa stagione e sfoggiate quest’anno solo a – insufficienti – tratti. Anche perché se i punti persi con il forfait di Miami sono appena 45 sul rosso quelli da difendere saranno ben 3160: il titolo di Roma, le finali di Parigi e Madrid, la semi di Montecarlo. Dal Queen’s a fine stagione, addirittura, una lunghissima e pesantissima cambiale di 7960 punti composta da sette titoli, una finale e un solo quarto di finale.
Anche se Djokovic continua a stentare non c’è da stare tranquilli. In casa Murray si sono riviste le indecisioni sulla seconda di servizio e la difficoltà di spingere con il dritto sulle palle senza peso ma più di tutto si è rivisto un giocatore troppo fallibile per poter sperare di guidare a lungo la classifica. Le questione tecniche c’entrano fino a lì, la sensazione è quella di una leggera decelerazione. Il n.1 dovrebbe portare sul campo un carico di certezze che lo scozzese a volte dimentica nel borsone di ricambio. Il n.1 dovrebbe essere autoritario, apparire inscalfibile. Fare paura. Oggi Andy Murray è un n.1 che non spaventa. Basterà solo fin quando avrà la matematica a proteggerlo.