Il 13 gennaio del 2006, il celebre marchio Nikon annunciava la fine della produzione di macchine fotografiche a pellicola. Si chiudeva un’era: niente più metri di film da trattare, lastre o pellicole, processi chimici. Il 25 aprile viene messo in commercio il Tivufonino, chimera che unisce televisione e servizi telefonici:antenati degli attuali smartphone, furono un sonoro insuccesso, con le loro antennine fragili e faraoniche campagne pubblicitarie che aumentarono ulteriormente l’eco del fallimento. A fine anno si consumerà la condanna a morte di Saddam Hussein, l’Italia vince i Mondiali di calcio in estate (che fa sempre bene ricordare). Ian Thorpe saluta il nuoto a soli 24 anni, Michael Schumacher chiude con la Formula 1, Andrea Bargnani è la prima scelta assoluta al Draft NBA (primo europeo della storia). Agassi dice basta dopo la sconfitta con Benjamin Becker agli US Open. La nazionale azzurra vince la sua prima Fed Cup, con Schiavone, Pennetta, Vinci e Santangelo che firmano il capolavoro sul Belgio di Henin e Flipkens a Charleroi (dove si terrà l’incontro di Davis la prossima settimana, non si sa mai). Undici anni fa.
Si poteva ancora ricordare il ruggito del Concorde, che solo tre anni prima aveva tragicamente concluso i propri voli supersonici. Facebook era lattante, MSN imperava e Whatsapp era una sorta di miraggio impensabile. Funzionavano ancora alla grande i messaggini e gli squilli, comunicare dall’estero era di una difficoltà allucinante a pensarci adesso. Daniel Craig vestiva i panni di James Bond nel controverso ma apprezzabilissimo remake di Casino Royale; Slevin, Il Caimano, La ricerca della Felicità, Notte prima degli esami. Gomorra e la scia di terrore, consapevolezza e polemiche che ha iniziato a scorrere dalla penna di Roberto Saviano. Tutti usciti per la prima volta nel 2006. Ci lasciò Syd Barrett, geniale e controverso leader dei Pink Floyd, per il quale il gruppo britannico aveva composto la stupenda Shine On You Crazy Diamond trent’anni prima. Erano ancora lontanissimi la nascita ed il fiorire dei fashion bloggers, dei food critics, dei travel writers e di tutte queste occupazioni anglofone che adesso bombardano i nostri telefoni e i nostri computer. Uscivano Stadium Arcadium dei Red Hot Chili Peppers e Black Holes and Revelations dei Muse, mentre in Italia si alzavano sopracciglia per Fabri Fibra, Mondo Marcio, Luca Dirisio e i Finley (sapete com’è…).
Il 2006 è stato il primo anno in cui Roger Federer e Rafael Nadal si sono incontrati almeno tre volte nella stessa stagione: sei per la precisione, di cui cinque finali (unica eccezione il Masters di fine anno, a Shanghai, in semi). Nadal trionfò a Dubai, Montecarlo, Roma e Roland Garros, lasciando allo svizzero Wimbledon e la qualificazione per l’ultimo atto in Cina, poi trasformata in successo. Quella di Shanghai fu anche l’unica partita a terminare in straight sets. Si erano già affrontati in tre episodi: dall’anno successivo, altri ventisette confronti, sbilanciati in favore dell’isolano spagnolo e forse per questo sempre più attesi dai sostenitori di Federer. Undici anni fa erano già caldi i motori della rivalità che più ha segnato le ultime, ma perché no anche le vecchie, generazioni di appassionati di tennis. Non si vuole (più) entrare nel merito dei risultati e del bilancio tra i due: si vuole solo confermare, quasi increduli, come più di una decade non sia stata sufficiente per iniziare a parlare di altri nomi e altri vincitori. Si sono affermati giocatori che rimarranno nella storia, giustamente: nessuno toglierà a Djokovic i record di imbattibilità, a Murray gli onori di casa per un nuovo britannico che trionfa a Wimbledon, a Wawrinka gli applausi dubbiosi degli stilisti per i suoi pantaloncini parigini.
Ma undici anni non sono bastati a togliere questi due gioielli dal castone che il gioco e il mondo sportivo tutto ha riservato loro, per qualità atletiche e tecniche, ma (e non è mai troppo ripeterlo) sopratutto per il carisma e la responsabilità con cui hanno e stanno impersonando le figure di ambasciatori della disciplina. Ancor più impressionante forse, delle sensazioni che regala vedere i loro nomi divisi da una rete, anche nel 2017, per (almeno) tre volte in una sola stagione. Come se il tempo tutto sommato non li avesse considerati, come se acciacchi, accuse, pause e delusioni abbiano scalfito le loro anime solo in maniera passeggera. Come se, e adesso non è nemmeno così difficile crederci, Federer e Nadal avessero di fatto due sedie adiacenti nei piani del destino, e il ritorno in auge di uno non può esserci se non accompagnato dalla presenza, ostile solo nel rettangolo 23×10, dell’altro. Andando ancora più indietro nel tempo, Miami fu teatro del loro primo confronto assoluto, nel 2004 (!), quando un fisicatissimo giovanotto mancino superava in due set la pantera dominante con il codino. Ma non si cada in errore: non è un cerchio che si chiude, non è un “dove tutto è iniziato, si ritrovano”. Perché non è affatto detto che sia l’ultima volta. E per chi non può vederla in televisione stasera, c’è sempre il tivufonino.