Dunque a Linz aveva vinto Wickmayer, ma a lungo termine il tempo ha eletto Kvitova. A questo pensavo mentre seguivo il match tra Kasatkina e Ostapenko, cercando una volta ancora, come sempre, di capire che cosa aspettarsi da loro per il futuro.
A Charleston dopo i primi sei game, dal 3 pari in poi, il confronto quasi non c’è stato (6-3, 6-1): più matura nelle scelte di gioco Kasatkina, che si è resa conto molto presto che Ostapenko era in una giornata in cui soffriva particolarmente le variazioni di ritmo e ne ha approfittato con lucidità, insistendo soprattutto con lo slice di rovescio. Del resto quello di Jelena è un problema noto; avevo scritto su di lei: “In difficoltà sulle palle meno scontate, ad esempio gli slice, le palle corte e i colpi in avanzamento dentro il campo“. A riprova che ci sono ancora diversi aspetti su cui migliorare.
La supremazia tattica di Kasatkina è stata evidente; non è certo una novità, visto che spesso ha dato prova di ragionare con molta intelligenza in campo. Malgrado tutto, però, secondo me domenica nemmeno lei si è espressa al massimo nella selezione dei colpi: penso che non sia stata impeccabile nelle scelte sulle palle corte.
Anche per quanto riguarda l’aspetto mentale la partita di Charleston ha lasciato l’impressione che tra le due contendenti il grado di maturazione oggi sia differente: Ostapenko ha avuto problemi nel gestire la pressione, e rimanere concentrata una volta che il match aveva preso una piega sfavorevole. Non è così riuscita a esprimere la sua dote migliore, cioè la straordinaria facilità nel far viaggiare la palla a velocità superiori. Il record negativo nelle finali WTA disputate (tre perse su tre) sembra confermare una certa difficoltà a dare il meglio nelle occasioni più importanti.
Da parte sua Kasatkina vanta uno straordinario 100% di successi nelle finali (1 su 1 a livello WTA; 7 su 7 a livello ITF). Dunque un killer instinct insuperabile? Sì e no, se teniamo conto dei match che di recente le sono sfuggiti per un soffio. Negli ultimi mesi Daria infatti ha perso quattro partite dopo essere arrivata al match point: tre mancati contro Vinci a Doha 2016 (2-6, 6-4, 7-6), uno contro Stephens a Charleston 2016 (6-1, 5-7, 7-5), con Pliskova a Pechino (3-6, 7-5, 7-6) e infine con Muguruza a Brisbane 2017 (7-5, 3-6, 7-6).
A queste delusioni vanno aggiunte altre due sconfitte dolorosissime negli Slam del 2016, entrambe per 10-8 al terzo dopo aver servito per il match (6-2, 3-6, 10-8 contro Bertens a Parigi e 7-5, 4-6, 10-8 contro Venus Williams a Wimbledon).
In poche parole: quasi mai i percorsi di crescita sono senza ostacoli, e capire se certi problemi siano momentanei oppure strutturali costituisce un’ulteriore difficoltà quando si prova a interpretare a lungo termine i destini delle giocatrici.
La vicenda di Yanina Wickmayer testimonia che il picco di carriera si può raggiungere anche a 19-20 anni per poi non riuscire a confermarsi a quei livelli: il circuito WTA non fa sconti a nessuno, e la concorrenza può sopraffare le giocatrici in difficoltà. Anche oggi stiamo assistendo a casi di tenniste che, pur essendo ancora estremamente giovani, sembrano attraversare una crisi di cui non si riesce a individuare la fine. Penso per esempio ad Anna Karolina Schmiedlova (numero 26 nell’ottobre 2015, a 21 anni appena compiuti, e oggi numero 248 nel ranking) e a Belinda Bencic (numero 7 nel febbraio 2016, a 19 anni non ancora compiuti, e oggi 109 nel ranking).
Non vorrei però chiudere con una nota così cupa e pessimistica. Ricordo una storia che ci suggerirebbe tutt’altro: questa settimana ha raggiunto il suo miglior ranking di carriera (numero 21) Mirjana Lucic-Baroni, tornata in una semifinale Slam a distanza di quasi diciotto anni (Wimbledon 1999, Australian Open 2017). A titolo di curiosità: in quel 2009 della finale di Linz, Mirjana oscillava tra il 450mo e il 250mo posto del ranking, alla ricerca di una competitività che aveva smarrito ormai da quasi dieci stagioni.
Se si può raggiungere il picco di classifica a 35 anni, possiamo considerare certo e irreversibile il declino di Yanina Wickmayer? E qualcuno può essere assolutamente sicuro che Schmiedlova e Bencic il meglio l’abbiano già dato? Io penso di no.
In fondo se si può trarre una conclusione da questi ragionamenti sparsi, è che tutte le giocatrici hanno la propria storia, e cercare di prevedere il loro futuro tennistico è sempre molto, molto difficile. Al punto tale che verrebbe da dire che l’esercizio è quasi impossibile, tante sono le variabili che intervengono, molte delle quali al di fuori del controllo delle stesse giocatrici. Io però confesso che non riesco a farne a meno; e nemmeno l’ammonimento della finale di Linz riesce a impedirmi di provare a intravedere nelle giovani di oggi le possibili campionesse di domani.