Tutto è cominciato in Australia con un titolo che nessuno si aspettava. Neanche chi vede allenarsi da 17 anni quel fenomeno di Roger Federer e da altrettanti anni contribuisce a tirarlo a lucido per le occasioni che contano, e chissà se ci riuscirà anche per Parigi. Pierre Paganini è forse il vero segreto della straordinaria tenuta atletica del campione svizzero in questo avvio di stagione e parla ai microfoni del Tribune de Geneve. “Non lo avrei mai immaginato. Certo, con il resto del team eravamo convinti che avrebbe potuto giocare molto bene e che la scelta di tornare in Australia si sarebbe rivelata giusta. È ripartito insieme a tutti gli altri con la differenza che nessuno era stato fermo sei mesi come lui“.
Non che sia stato facile, ammette Pierre. “È stato come gestire due treni che andavano in direzione opposta. C’è stato un lungo periodo di riabilitazione in cui dovevamo allo stesso tempo cercare di riportarlo al suo massimo senza provocare ulteriori lesioni. Anche se ovviamente tutta la squadra era unita per remare nella stessa direzione e abbiamo avuto il tempo necessario per lavorare, non sono mancate le difficoltà. Esiste sempre un elemento di rischio che il giocatore è il primo a doversi assumere. Una volta in campo però abbiamo visto come si muovesse a un’altra velocità rispetto ai suoi avversari“.
Sarebbe stato imperdonabile non chiedere a Pierre Paganini un semplice “Ok, ce l’avete fatta. Ma esattamente come? Qual è il segreto del ritorno al succeso di un atleta di 35 anni?”. “La passione, una parola semplice che tutti utilizzano. Ma per Roger è una filosofia di vita, gli permette di giocare a tennis e allo stesso tempo godere della vita che scorre. Da tempo ha trovato l’armonia tra le due cose. Roger Federer è la stessa persona a casa e sul campo, non è costretto ad adattarsi. Gli viene tutto naturale“. Lo dice Pierre, lo confermano i colleghi, scommettiamo che – ça va sans dire – gli stessi tifosi sarebbero pronti a fare lo stesso.
La sensazione è che chi parla si stupisca più volte ripensando al lavoro svolto con il campione di Basilea. Qui forse si lancia in una dichiarazione esagerata persino per la figura di Federer, ma che rende l’idea di quanto la dedizione dell’elvetico colga di sorpresa anche chi contribuisce a far sì che rimanga tale. “Non c’è stato un solo giorno in 17 anni di allenamento in cui l’ho visto trascinarsi nel campo. Quest’anno ad esempio, a inizio stagione c’è stata una sessione d’allenamento in cui mi aveva detto di essere un po’ stanco. A fine giornata l’aveva dimenticato per finire col lavorare più del solito“.
Piccolo intermezzo dedicato a Stan Wawrinka, che secondo lo stesso Pierre meriterebbe una considerazione ancora superiore a quella che gli addetti ai lavori gli concedono. “Roger è eccezionale, ma per me Stan è esattamente lo stesso. E mi sento fortunato ad essere coinvolto con due professionisti di questo livello. Seguo Stan dalla fine del 2002 e lasciatemelo dire: penso che sia uno degli atleti svizzeri più sottovalutati della storia. Non è possibile che la gente dubiti di un tennista che ha vinto tre prove dello Slam ed è rimasto per così tanto tempo tra i migliori del mondo. È chiaro che tutti lo ricorderanno per le sue vittorie in Australia, a Parigi o a New York, ma tutta la sua carriera è un grande risultato costruito in 16 anni di lavoro. A volte la grandezza di Roger fa sì che qualcuno sia ingiusto con Stan“.
La chiusura è ovviamente per il protagonista di questo scorcio di stagione, non potrebbe essere altrimenti. “Federer è un caso speciale, quasi unico. Ma questo non significa che abbia bisogno di lavorare meno. Al contrario, deve lavorare ancora più per fare la differenza. E devo lavorare al massimo anche io: sono costretto a essere sempre molto creativo con gli esercizi per mantenere alte le sue motivazioni“. Qui gli scappa un sorriso, mitigato dall’ultima domanda a cui certo non poteva sfuggire: Federer è più forte oggi di ieri? “Ho sempre avuto un problema con questa cosa. Per me Roger Federer è Roger Federer, punto. Qualcuno voleva fargli un “funerale sportivo” perché ha perso qualche finale Slam di troppo negli ultimi tempi. Ma in realtà guardando la sua carriera si scopre che è sempre riuscito a trovare soluzioni per gestire le situazioni avverse. Il suo approccio è lo stesso di un giocatore che ha appena cominciato la sua carriera: lui è il primo artefice di tutti i suoi successi”. Scontato, certo. Ma la verità lo è spesso.