Il tabellone del primo Masters 1000 dell’anno su terra è un grande contenitore di notizie prima ancora dello start: basti pensare che l’incontrastato monarca di questo avvio di stagione, Sua Maestà Roger, ha deciso di guardare gli altri dal canapè di casa con Mirka e la sfilza di gemelli; che Andy e Nole sono ancora claudicanti e senza chilometri nelle gambe; che a Stan The Man, non trattandosi di Slam, la cosa interessa meno di giardinaggio e bricolage; che Raonic e Monfils hanno la bua ma non è una novità; che Kyrgios invece non ha nulla ma è al fresco di Canberra e di volare fino a Nizza non ci pensa proprio e che l’unico, vero favorito, non può che essere quel Rafa a caccia della decima. Però, c’è un però. E che però. L’urna di Montecarlo infatti, è stata tutt’altro che benevola con il maiorchino, relegato in una parte – quella bassa del tabellone – pullulante d’insidie più vere che presunte. Una, su tutte: Dominic Thiem. Ebbene si, più di Djokovic, potrebbe essere proprio la stella austriaca il problema principe per il campione in carica. Ed è il ventitreenne pupillo di Gunter Bresnik uno dei due underdogs prescelti per la settimana nel ricco Principato di Monaco.
L’altro, nella parte alta e per ragioni diverse da quelle dell’austriaco, è un altro (quasi) rampollo della Next Gen: Lucas Pouille. Il francese, coetaneo decisamente meno titolato del vicino d’Oltralpe – un solo alloro ATP all’attivo contro gli otto dell’altro – è in un buon momento, arriva carico dal successo in Davis sulla Gran Bretagna e darlo sfavorito nel probabile derby in ottavi con Tsonga, alla luce delle ultime magnifiche notizie per quest’ultimo, sembra quantomeno azzardato.
Da un punto di vista tecnico poi, i due giovanotti, offrono ampie garanzie. Thiem, stilisticamente perfetto in tutti i fondamentali, ha dalla sua mezzi fisici impressionanti: il ragazzo tira forte e molto preciso, ricorda tantissimo Wawrinka ma anche il primo Lendl ( soprattutto per il basso profilo, da gran lavoratore ) e ha tutto – testa compresa – per arrivare sul tetto del mondo. Pouille invece, è un pò più indietro: al servizio non è mortifero e quando è attaccato sulla diagonale del rovescio e decide di andare lungolinea, spesso e volentieri, si perde in corridoio. Dalla sua, però, ha una tigna fuori del comune che, quando gioca in casa spinto dal suo pubblico, fa la differenza e neanche poco. Insomma, se riesce a superare lo scoglio Tsonga in ottavi, diventa pericoloso. Anzi, una mina vagante.
Jacopo Bartalucci