La stagione sul rosso si sta avviando al termine e con essa se ne sta andando la prima metà dell’anno. Vedendo come era finito il 2016 ci si aspettava una stagione all’insegna della lotta per lo scettro di numero 1 tra Andy Murray e Novak Djokovic tra gli uomini, e tra Angelique Kerber e Serena Williams tra le donne. E invece non è successo niente di tutto questo. Salvo la più piccola delle sorelle Williams, che nonostante la gravidanza è comunque riuscita a vincere il suo settimo Australian Open, chi avrebbe dovuto dominare le classifiche ATP e WTA in questi cinque mesi ha fatto parlare di sé più per le sconfitte che per le vittorie.
Murray e Djokovic avevano illuso tutti con la finale di Doha nella prima settimana di gennaio, consolidando ancora di più il pensiero che quello sarebbe stato il copione dell’intero 2017. Un’illusione appunto. Il britannico sembra essersi sgretolato sotto la pressione di quel numero posto tra parentesi accanto al suo nome in tabellone. Fin qui ha vinto solo l’ATP 500 di Dubai, ma più che la sola vittoria, il dato allarmante sono state le prove fornite nei due grandi appuntamenti sul cemento che ha giocato: fuori al quarto turno contro Mischa Zverev all’AO e al secondo turno (primo match per lui) contro Vasek Pospisil a Indian Wells. Cinque mesi difficili, nei quali ha avuto anche un piccolo problema al gomito che l’ha costretto a saltare il Masters di Miami, che gli sono valsi il non invidiabile titolo di peggior numero 1 degli ultimi venti anni.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Il meccanismo che fino al luglio scorso aveva fatto sembrare Djokovic più simile a una macchina che a un essere umano sembra essersi inceppato. Parte forte vincendo a Doha, poi perde clamorosamente contro Denis Istomin 6-4 al quinto nel secondo turno degli AO, slam in cui la sua percentuale di vittorie è quasi del 90%. Da lì in avanti prestazioni mai convincenti che l’hanno portato a perdere ogniqualvolta si è trovato di fronte tennisti da top ten come Nick Kyrgios, David Goffin, oppure al ritrovato Rafael Nadal.
Già Nadal. Un atleta che aveva finito la benzina, logorato da sedici anni di battaglie sul rosso, si diceva. Se a inizio anno qualcuno avesse pronosticato un Nadal vincitore a Montecarlo, Barcellona e Madrid – senza menzionare le tre finali sul cemento di Melbourne, Acapulco e Miami – sarebbe stato considerato un visionario. Lo stesso discorso vale per l’altro vero protagonista di questi mesi, Roger Federer: Australian Open e l’accoppiata dei Masters statunitensi. Trentacinque primavere che lo svizzero sta gestendo per poter centrare il suo principale obiettivo, vincere l’ottavo Wimbledon. Ciò ha significato sacrificare l’intera stagione sul rosso, anche il Roland Garros. Ma se anche Federer avesse preso parte allo slam parigino non sarebbe stato tra i favoriti; sia perché sarebbe stato il primo torneo giocato sulla terra in stagione, sia perché oltre a Nadal ci sono altri due tennisti che per quanto hanno fatto vedere nelle ultime settimane devono puntare alla vittoria.
Dominic Thiem e Alexander Zverev non possono più nascondersi, ormai sono due certezze del tennis mondiale: tra qualche anno si contenderanno il vertice del ranking ma già adesso possono dire la loro. Thiem ha vinto contro Nadal a Roma, ma già nella finale persa a Madrid gli aveva dato qualche grattacapo; il tedesco è cresciuto molto in poco tempo, viene dalla vittoria agli Internazionali – e sempre sulla terra quest’anno ha vinto a Monaco – ottenuta giocando con una tranquillità e una maturità non comuni per un ventenne.
Passando alle donne, ciò che questa prima parte di stagione ha detto chiaramente è che il vuoto lasciato da Williams è troppo grande per essere colmato da una sola giocatrice. Karolina Pliskova, Johanna Konta, Elina Svitolina stanno disputante un’ottima stagione, soprattutto la ventiduenne ucraina che sta avendo rispetto alle altre due una maggiore continuità di risultati; Simona Halep nelle ultime due settimane ha ritrovato la vittoria a distanza di nove mesi a Madrid e giocato la finale a Roma, ma nessuna di loro può essere dominante come lo è stata la tennista statunitense negli ultimi anni.
In vista del Roland Garros è impossibile individuare una favorita. Nei tre tornei più importanti che lo precedono (Stoccarda, Madrid e Roma) ci sono state tre vincitrici diverse. La Kerber è numero 1 ma solo di nome, non di fatto (finora non ha ancora vinto un torneo e sulla terra il massimo che è riuscita a ottenere è un terzo turno al Premier Mandatory di Madrid), la vincitrice dello scorso anno Garbine Muguruza proprio da quella vittoria è incappata in un’involuzione dalla quale sta faticando a riemergere. A portare un po’ di pepe nel circuito c’ha pensato il ritorno di Maria Sharapova – pepe che per il momento è stato più messo sulla carta, o sullo schermo, a seconda del medium, che sul campo, come è giusto che sia dopo oltre un anno di inattività – ma a Parigi non sarà della partita per via della decisione della Federazione francese di non darle la wild card né per il main draw né per le qualificazioni. Ampio spazio per le sorprese dunque, il che, dopo anni di pronostici a senso unico, non è detto sia per forza qualcosa di negativo.