Assistere dalla tribuna Jacques Brugnon alla finale di domenica tra Rafa Nadal e Stan Wawrinka, significa veder dipanarsi sotto i propri occhi occhi le statistiche sulle quali regolarmente ci soffermiamo al termine di una finale Slam o Masters 1000. Nell’insieme, quello che fa effetto è un trucco di magia. Difficile da comprendere infatti, come sia possibile che un insieme piuttosto arido di numeri possa tradursi in una danza geometrica di tale straordinaria bellezza. Ecco le statistiche ufficiali dell’incontro fornite dall’ATP:
In rosso sono evidenziate le differenze di rendimento più significative; in rosso grassettato quelle più macroscopiche. Sono statistiche disarmanti nella loro evidenza e pongono il commentatore a serio rischio di dire ovvietà. Anche senza conoscere il risultato, è sufficiente leggere la percentuale di punti vinti con la prima palla di servizio per capire come è andata a finire la partita. Il povero Stan – per tutti gli over 50 appassionati di comiche un “nomen omen” molto evocativo ieri – ha surclassato Nadal in una sola specialità: gli errori non forzati. È comprensibile una differenza di rendimento sul rovescio, poiché con esso lo svizzero si assume di norma più rischi, ma il 17 a 8 relativo al diritto è davvero tragicomico.
Sul fronte colpi vincenti la differenza non è altrettanto macroscopica; ma se il tennista (quasi) unanimemente ritenuto in possesso del miglior rovescio a una mano al mondo, con questo fondamentale ottiene la metà dei successi del suo rivale (4 a 8), per lui è notte fonda. Il naufragio svizzero prosegue con la statistica relativa ai punti vinti con la risposta: 15 su 12 turni di servizio. Una media di poco più di un punto a game, contro i 3,5 abbondanti del deca-campeon. Non giungono buone notizie nel campo elvetico neppure dalla velocità del servizio: Nadal è riuscito a fare partita pari con il suo avversario anche dove, alla vigilia dell’incontro, si pensava potesse soccombere.
Nel gioco a rete Wawrinka si è tolto qualche soddisfazione conquistando undici punti in quindici discese e forse avrebbe dovuto cercare di andarci un po’ più spesso e un po’ prima. Purtroppo per lui, però, Nadal lo ha battuto nettamente anche in questa specialità, poiché ha attaccato di più e con una miglior percentuale di realizzazione, aggiungendo alla sua partita perfetta uno spettacolare 90% di punti vinti a rete (18 su 20), quasi sempre ottenuti con volée di notevole fattura – in primis di rovescio – e non elementari “battesimi” appioppati alla palla al termine di scambi già vinti. Per una dettagliata disanima dei miglioramenti mostrati dal fresco numero due del mondo sia sotto il profilo tattico, sia tecnico, rimandiamo al recente articolo del Direttore.
Per non eccedere in trionfalismi, peraltro alieni al carattere dello spagnolo, sottolineiamo però il fatto che Wawrinka è un giocatore storicamente molto adatto ad esaltare le qualità di Rafael Nadal. I due campioni si sono affrontati ben diciannove volte in carriera e lo svizzero ha vinto soltanto tre volte: una in finale nel 2014 all’Australian Open anche grazie ad una menomazione fisica dello spagnolo e le restanti due nel 2015, annata non memorabile per Nadal. Nelle restanti sedici occasioni il maiorchino ha vinto senza mai concedergli neppure un set. Sarà quindi interessante verificare nuovamente i suoi progressi contro altri avversari e su superfici meno amiche di quella rossa. Se la Dea bendata lo vorrà, potrebbe presto capitare sull’erba sacra di Wimbledon. Lasciamo ai nostri lettori il compito di immaginare il nome dell’avversario. See you soon.