Con dodici elementi la Francia è il Paese più rappresentato nelle prime cento posizioni della Race to Milan. Ancora una volta, il dato meramente quantitativo rischia di essere fuorviante. Gli statunitensi, per esempio, sono meno, ma si tratta di prospetti più maturi, più forti, ormai conosciuti nel circuito maggiore. Peraltro, tre di loro (Tiafoe, Escobedo e Donaldson) occupano le prime sette posizioni della Race, quelle che contano per giocare le finali di Milano. A una cinquantina di punti dalla zona calda c’è Quentin Halys, il volto forse più noto della Next Gen francese. Come Pouille, Halys è un prodotto della federazione. Del ragazzo si parla da diversi anni, soprattutto per i risultati eccellenti raggiunti a livello juniores. Su tutti, il trofeo Les Petits As conquistato nel 2010 – e considerato, forse con una certa dose di mitologia, crocevia dei campioni di domani – e la finale degli Us Open juniores nel 2014.
Il suo inserimento nel circuito professionistico è stato piuttosto lento e oculato. All’inizio dello scorso anno sembrava che il ragazzo fosse pronto per sfondare. Una wild card per il tabellone principale degli Australian Open, il superamento del primo turno, poi Novak Djokovic, in un match in cui Halys si difende con onore ma non porta a casa più di nove game. Dopo Melbourne, tanti challenger (il suo primo titolo a Tallahassee, Florida, contro Tiafoe), qualche vano tentativo di incursione nei main draws dei tornei del circuito maggiore, e un’altra pesante wild card, stavolta per il tabellone principale del Roland Garros. Al primo turno Halys supera agevolmente Heyon Chung, prima di cedere a Pablo Cuevas al termine di tre set molto tirati.
Del match contro Djokovic agli AO ’16, Halys ricorda ancora questo colpo
A distanza di un anno, Halys non ha ancora reciso il cordone ombelicale con il circuito Challenger, dove pure quest’anno ha centrato tre semifinali e due finali: un’incetta di punti che gli consente oggi di essere praticamente a ridosso della top 100 del ranking mondiale e in una posizione competitiva nella Race to Milan. Il ragazzo è allenato da Olivier Ramos, che in passato era a stato a fianco di Pouille, ma su di lui da quest’anno vigila anche Arnaud Clément. Nonostante un certo ritardo, in Francia sono convinti che Halys possa fare il salto e diventare addirittura un top player. A dispetto di una certa vulgata che lo classifica fra i giocatori tipicamente difensivi, il parigino è un tennista completo che non mostra particolari debolezze nei colpi fondamentali. Ma soprattutto, in Halys è possibile riconoscere una precisa identità di gioco, che si basa anche sulla ricerca della rete, sia nello sviluppo dello scambio che dal principio con il serve and volley. “Ha un modo di giocare insolito, diverso dagli altri”, ha notato Guy Forget, quasi “scaltro, maligno, e sa colpire la palla con un grande anticipo, cosa rara fra i giovani”. Recentemente, peraltro, Halys ha affermato di voler coltivare la propria attitudine offensiva giocando con continuità anche il doppio.
Di percorso lento si è parlato anche a proposito di Geoffrey Blancaneaux, lo scorso anno primo francese dai tempi di Monfils (2004) a vincere il Roland Garros juniores – annullando tre match point in finale a Felix Auger-Aliassime. Fra qualche giorno diciannovenne, attualmente n. 468 del mondo, Blancaneaux è tenuto in grande considerazione dalla FFT. Il fatto di essere considerato “in ritardo” rispetto ad altri suoi coetanei, non lo tange minimamente. A parlare per lui spesso è il padre Michel, ex canottiere, sempre vicino a Geoffrey ma ben consapevole del fatto che quando un figlio decide di intraprendere la carriera professionistica occorre “evitare di cadere nella trappola del padre allenatore”. Recentemente Blancaneaux è stato inserito nei programmi dell’Institut national du sport et de l’éducation physique (INSEP), uno dei tre poli del sistema federale e snodo fondamentale nella strada della professionalizzazione. Attorno a lui si è creato un clima ottimale. Si guarda al suo percorso di crescita senza fare comparazioni, seguendo l’insegnamento di Cedric Nouvel.
La precocità è un richiamo facile, osserva Michel Blancaneaux, un mito, una seduzione, che serve esclusivamente a giustificare il lavoro di personale tecnico sempre più specialistico, degli agenti, in altri termini è funzionale al sistema e al business che ruota attorno ai giovani talenti. Come se non bastasse, gli stessi “criteri di precocità” definiti dagli addetti ai lavori sono spesso errati, perché c’è una diffusa mancanza di conoscenza e di cultura tennistica. Ecco perché il padre ha affiancato al figlio anche persone al di fuori dei classici staff tecnici, come ad esempio gli ex corridori Stephan Caristan e Jacques Piasenta. Blancaneaux, in analogia con Halys, colpisce la palla con un anticipo non comune fra i talenti della Next Gen, ma necessita indubbiamente di rafforzarsi sul piano fisico (180 cm per 70 kg). Come l’australiano Alex De Minaur, a cui il talento francese si può avvicinare per caratteristiche e adattamento alle superfici più veloci, come l’erba, sulla quale per esempio Quentin Halys difetta ancora in modo piuttosto vistoso sul piano degli spostamenti e della corretta ricerca della palla con le gambe.
Merita infine una menzione Corentin Moutet, diciotto anni compiuti da poco, il talento forse più puro della Next Gen francese. Malgrado la recente deludente prova al Roland Garros juniores, nel quale ci si aspettava un suo exploit (l’ultimo possibile, visto che il mancino di Neuilly ha deciso di fare il salto professionistico), Moutet, in rigorosa continuità con l’elemento artistico che caratterizza la tradizione francese, è un piacere per gli occhi e dispone di una stupefacente varietà di colpi. Alti e bassi, per il momento, nel suo percorso di crescita e un fisico (come tutti i francesi della Next Gen, del resto) da irrobustire; ma ora che si è lasciato definitivamente alle spalle il mondo dei futures, ci saranno finalmente più occasioni di vederlo all’opera a livello Challenger.
Claudio Tancredi Palma