dall’inviato a Londra
Ci sono giornate che iniziano sonnolente, con un sole già alto e caldo che impigrisce e prepara all’estate vera e propria. Una di loro è il mercoledì agli Aegon Championships 2017, la cui mattinata è partita in totale calma, specialmente paragonata alla tempesta sportiva del giorno precedente. Tanto più che il match che apriva il programma di gioco era tra Donald Young e Viktor Troicki, due che non verrebbe in mente di mettere ai primi posti di una eventuale watchlist. Siccome però è giusto e bello, di tanto in tanto, far ricredere tutti quanti, i due hanno disputato un incontro più che gradevole: lo statunitense ha dimostrato di essere sottovalutato come tennista da erba e pure il serbo, che ha accolto nel mondo la figlia Irina pochi giorni fa, non di rado è sceso a rete. Alla fine a risultare il migliore è stato il primo, che sotto l’occhio vigile della sua vistosa “big mama” ha arginato per primo l’improvvisa serie di errori finale e, quasi di soppiatto, si è preso i quarti di finale.
Il sostegno che la gente in camicia firmata, cappello di paglia e bicchiere di Pimm’s ha riservato a Jo-Wilfried Tsonga nel match successivo invece, benché considerevole, non aveva del tutto a che vedere con il francese in sé. Si trattava più che altro di una reazione all’ecatombe di top player del giorno precedente, per cui gli spettatori (soci del club a parte) avevano speso belle sterline. (Eh sì, alla quarta sorpresa di fila ci si stufa persino di quelle e si inizia a fare il tifo per la restaurazione.) Purtroppo per loro, una performance davvero buona di Gilles Muller ha ftto cadere anche la quarta testa di serie: rapidi passi dietro i tagli in back e una doppia volée in tuffo hanno procurato al lussemburghese un break in ciascun set. È quanto gli è bastato ad ottenere il duplice 6-4, poiché in risposta Tsonga ha graffiato senza azzannare e una buona prima battuta ha soffiato via ogni guaio. “Quelli come Gilles aspettano tutto l’anno questo momento per poter giocare il loro tennis”, ha commentato sereno lo sconfitto. “L’unica cosa che è andata male è stata l’avversario. E forse devo mettere un po’ di energia in più nel mio gioco”. Il fresco campione di Den Bosch allunga la sua striscia positiva sulla sua superficie prediletta, sbirciando con la coda dell’occhio la sua metà di tabellone che si apre.
Una sensazione simile potrà permettersela anche Grigor Dimitrov, almeno lui in grado di evitare una scoppola inattesa. Soltanto dopo aver tirato un profondo sospiro di sollievo, però: sotto di un set e davanti a due palle break che lo avrebbero fatto scivolare indietro anche nel secondo, anche il bulgaro in total black sembrava ormai prossimo a salutare il circolo della regina. Il taglio quando serviva, la spinta quando poteva, quella vecchia volpe di Julien Benneteau era stato in grado di metterlo davvero in una pessima posizione. È servito potare la siepe di errori, entrare in campo più spesso nei propri turni di servizio e soprattutto ritrovare confidenza con i colpi – che per un set e mezzo continuava a sbagliare e poi a mimare a gioco fermo – per fare in modo che il match raccontato fosse un altro. In effetti, da una prospettiva diversa, si può vedere un incontro in cui Grisha ha perso il servizio soltanto nel primo game (tre doppi falli) e poi mai più, crescendo di punto in punto e ottenendo il break decisivo con una risposta di rovescio di quelle che contribuirono alla leggenda del “Baby Federer”. Mentre è evidente che quella ardita suggestione non diventerà mai realtà, per ottenere un secondo titolo al Queen’s potrebbe bastare anche soltanto essere il miglior Dimitrov. Con la concorrenza evaporata, oggi sul prato rovente era fondamentale battere un colpo. Lui lo ha fatto.
Poi c’è il match of the day. E i giorni che rimangono dovranno impegnarsi davvero, perché non diventi anche il match of the tournament. È l’altra faccia del tennis su erba, quello in cui nessuno perde il servizio fino all’ultimo punto dell’ultimo game, perché un vincitore ci deve pur sempre essere. Denis Shapovalov, diciotto anni votati all’attacco, ha perso in due ore e un quarto contro Tomas Berdych, che la leggenda vuole essere il perdente per definizione, ma nella luce del tardo pomeriggio londinese sembra che abbiano stravinto entrambi. 7-6 6-7 7-5 dice il punteggio, crudele verso il ragazzino canadese. Tanto crudele quanto può essere stata dolce per lui la standing ovation di un pubblico che non era il suo, che fino a pochi giorni fa gli faceva persino tremare le gambe dalla fifa, e che oggi lo ha incoraggiato dal primo quindici all’ultimo dritto vincente di Berdych. Lui ha ricambiato, applaudendo di rimando al centro del campo, scavalcando la recinzione per fare qualche foto e poi tornando indietro per prendere altri abbracci dagli spalti rimasti pieni per dirgli: “bravo, Denis”.
L’incontro di per sé è facile da riassumere: il conteggio elettronico parla di due palle break per Shapovalov nel primo set e poi zero per i due rimanenti, zero in totale per Berdych fino al game conclusivo, quando break point ormai voleva dire dire match point. Quello che un computer non sa dire però è quanto Shapovalov abbia spinto su ogni abbozzo di scambio, dall’inizio alla fine, qualunque fosse il punteggio. Non lo ha fatto senza criterio, semplicemente il criterio era ed è rimasto quello di voler vincere con le proprie mani, a prescindere dall’avversario. È per questo che la risposta di dritto fuori di un palmo ha ricevuto il cenno di approvazione di coach Laurendeau, ed è per questo che quella successiva è finita nell’angolo in cui nessun avversario può arrivare. È per questo, ancora, che non ha mai avuto paura di cercare il dritto di Berdych e che ha ottenuto più di una occasione rispondendogli tra i piedi, alla figura, con più forza ancora.
Berdych alla fine ha portato a casa la pelle facendo quella cosa che distingue i giocatori con la residenza ad alto livello, quella cosa che si chiama “vincere i punti importanti”. Ha accumulato dalla sua parte i punti meno vistosi, approfittando dei cali al servizio di Shapovalov nei tie-break. Ha inseguito tutte le palline raggiungibili, a costo di sembrare ogni volta la parodia di uno spagnolo sulla terra battuta. Ha vinto, accettando di interpretare la parte del cattivo, e rigiocherà. Mentre quell’altro ragazzo, che deve ancora imparare a fare queste cose brutte per portare a casa i match che rende belli, lui no. Ma lo hanno invitato a Wimbledon, stamattina: siamo sicuri che la cosa lo consolerà.
Risultati:
D. Young b. V. Troicki 6-3 6-4
G. Muller b. [5] J.W. Tsonga 6-4 6-4
[6] G. Dimitrov b. [Q] J. Benneteau 4-6 6-3 6-4
[7] T. Berdych b. [Q] D. Shapovalov 7-6(4) 6-7(4) 7-5