Gianni Clerici non aveva torto a scrivere ieri per Repubblica che il Roger Federer visto contro Karen Kachanov non avrebbe probabilmente vinto il prossimo Wimbledon. Ma avrebbe torto certamente torto se lo Scriba ripetesse oggi la stessa profezia, dopo la magistrale esibizione di tutto un altro Federer esibitosi nella finale dominata su Sascha Zverev. Credo di non aver mai visto nessuno al mondo, e neppure Roger Federer, giocare così bene come ha fatto oggi lo svizzero nei 53 minuti nei quali ha ridicolizzato Alexander Zverev, il tedesco che – mi par giusto ricordarlo a chi potrebbe malignamente sottolineare che nei suoi 9 trionfi a Halle Roger ha battuto un solo top-ten, e cioè Marat Safin – oggi è n.5 del mondo nella Race. Oggi Roger era il GOAT, il miglior tennista di tutti i tempi fra quelli che ho visto giocare io dal 1960 in poi. Non sarò mai in grado di contare tutte le partite che ho visto dal vero, più quelle in tv, ma sono certamente parecchie migliaia, direi decine di migliaia. Fidatevi di quel che vi dico. Ricordo bene anche il doppio capolavoro Rosewall-Laver delle finali WCT a Dallas, 1971 e 1972. Ho sempre scritto e pensato che non si possono paragonare campioni di epoche diverse. Troppe sono state le mutazioni. Umane e tecnologiche. Ma se dico che non ho mai visto nessuno giocare con una tale completezza di repertorio in così breve arco di tempo in tutta la mia vita, beh spero che mi crediate e che non ricaschiate nel solito vischioso dilemma su chi sia il GOAT.
Il GOAT non esiste. In un’epoca potrebbe essere uno, in un’altra un altro. A volte – come nel caso di Rod Laver o anche Bjorn Borg secondo me – il GOAT di un’epoca potrebbe meritare quell’attribuzione per tutte le superfici (per me anche se Bjorn ha perso 4 finali dell’US Open non era meno forte di quelli che via via lo hanno battuto sul cemento, aver vinto 11 Slam fra i 6 Roland Garros e 5 Wimbledon nello stesso mese, senza quasi mai giocare in Australia gli merita il GOAT dei suoi anni, ma qui… vedete, si ritorna sulle visioni soggettive). A volte il GOAT dell’inizio terzo millennio potrebbe essere considerato tale su tutte le superfici tranne che sulla terra rossa. Alludo a Roger. Oppure su una superficie soltanto, e qui alludo a Rafa Nadal. Evito di dirvi su quale superficie. Ma oggi a Halle per me Roger è stato il GOAT di quel talento che io non ho mai visto esprimere in modo così completo su un campo da tennis nell’arco di una sola partita. Ha fatto cose che mi hanno fatto quasi venire un groppo in gola per la commozione, proprio come quando la straordinaria voce di uno straordinario cantante (Celine Dion in certe interpretazioni a me ha fatto quell’effetto, ma anche Melanie in Candles in the Rain e Ruby Tuesday) ti entra nelle ossa e nelle vene, facendoti venire i brividi lungo la schiena, dappertutto. Un GOAT il Federer di oggi nel senso sopra esposto: a nessuno ho mai visto fare, per i 16 games della finale di Halle, tutte le straordinarie prodezze che gli sono riuscite in un così breve arco di tempo e mirabile.
Volée smorzate in allungo su fucilate di uno Zverev annichilito ma non arreso e costretto a recuperi pazzeschi finendo perfino a scivolare e rimanere impigliato come un tonno nella rete nel tentativo di disperati recuperi. Risposte perfettamente controllate su battute a 215 km orari. Passanti incrociati di rovescio con angolazioni pazzesche in estensione e con le spalle volte alla rete. Volée alte dorsali (veroniche… di panattiana memoria) con recupero della posizione a rete e riflessi formidabili. Decine di smorzate a ripetizione con una inarrivabile morbida fluidità dei gesti – di dritto come di rovescio – con la palla che si acquattava sull’erba come una piuma e come se qualcuno ce l’avesse messa lì con la mano. Lob al volo a scavalcare in modo quasi irridente un ragazzone di quasi due metri (che fanno quattro fra braccio, racchetta ed elevazione) costringendolo ad incrociare le ginocchia. Riflessi pazzeschi a rete, percentuale spaventosa di prime palle, con ace e servizi vincenti da far paura. Serve&volley come quello che ha concluso il match. E quella volée di rovescio in quasi tuffo sull’avant-matchpoint? Insomma, giuro, soprattutto per via di quelle palle corte che mi facevano sobbalzare per la spaventosa difficoltà che so comportare sull’erba l’eseguirle quando ti arriva un missile a centinaia di km all’ora – devi avere un polso di ferro e la capacità di allentarlo come se diventasse improvvisamente caucciù – la perfomance di Roger oggi mi ha sconvolto. Anche perché non si è mai distratto un attimo. Ogni scelta, anche tattica, sembrava ispirata da un Dio del tennis. E lo ha confermato anche Zverev: “Congratulations, Roger. Your tennis is insane. We will never see something like this again.”
Non avevo in programma di scrivere oggi, ma non ho resistito. Certo il titolo, coerente eppure provocatorio del “pezzo” di Clerici, mi ha stimolato, perché la mia reazione immediata alla sua lettura e alla conclusione della finale è stata appunto l’opposta: “Questo Federer può vincere benissimo il suo ottavo Wimbledon, staccando Renshaw e Sampras, come no!”. Poi, ovviamente, alla reazione d’istinto fa seguito la razionalità e i soliti dubbi, quelli che non sarebbe giusto ignorare. Può Roger Federer, che contro Khachanov non aveva entusiasmato, giocare come contro Zverev a Wimbledon per sette partite di fila e per match che come minimo – tre set su cinque – durano un’ora e mezzo, ma più spesso oltre le due ore? E se si perde un set per strada oltre le due ore e mezzo e anche le tre ore? Il Federer di oggi ha giocato come si può fare soltanto in Paradiso per 53 minuti. Ma si può servire una percentuale così alta di prime palle, e a quella velocità, quando il match dura il doppio o il triplo? E se magari di quei match nello stesso torneo se ne debbono giocare più d’uno? E se, magari, per colpa di qualche piovasco e di un match programmato magari sul campo n.1 dove il tetto ancora non c’è, hai la jella di dover giocare due match duri nell’arco di 24 ore e contro un avversario invece più fresco? Se, se, se e ancora se. Dei se e dei ma son piene… Insomma, e senza nemmeno pensare a qualche sia pur minimo intoppo fisico che in uno Slam ci può sempre stare – i federeriani, ma anche i nadaliani, toccheranno legno – previsioni fondate sullo svolgimento di un torneo non si possono ragionevolmente fare.
Ho scritto già molte volte – i lettori più assidui e non prevenuti di questo sito me ne daranno atto – che raggiunta una certa età, non sono le prestazioni di punta a venire meno per un giocatore di grande talento, ma semmai la continuità. Ne ho scritto, in questo senso, per John McEnroe che ha vinto tutti i suoi Slam prima del 1986. (E anzi, a proposito di partite da cineteca… di certo lo fu la sua al Roland Garros del 1984, ma per due set e mezzo, quasi tre e mezzo… solo che poi la perse con Lendl e da lì iniziò il suo declino, anche psicologico). Non è che dopo SuperMac non fosse più capace di giocare partite formidabili, fenomenali. Anzi, ne ha giocate a dozzine. Memorabili. Idem per Stefan Edberg che nel ’96, dopo aver dichiarato in anticipo che quello sarebbe stato il suo ultimo anno, giocò in una meravigliosa ultima passerella sui teatri tennistici di tutto il mondo match assolutamente stupendi, ma perse anche partite contro giocatori che in altri anni avrebbe scherzato. Federer per ora, al di là di un paio di match persi con il matchpoint a Dubai e a Stoccarda (e quindi non così mal giocati nemmeno contro Donskoy e Haas), è stato molto ma molto più vicino e continuo a prestazioni eccellenti che non a brutte partite. Questo io non ho difficoltà ad ammettere che non me lo aspettavo davvero all’Australian Open, quando tornava da 6 mesi di pausa agonistica. Mentre ero più ottimista al riguardo sia a Indian Wells sia a Miami, anche per il fatto che lì si giocava sui due set su tre.
Adesso vedremo con il sorteggio che tipo di percorso si presenterà – come ipotizzabile – per Federer. Ipotizzabile perché gli imprevedibili Stakhovsky si possono sempre presentare ad ogni angolo. Intanto sappiamo per certo che n.1 sarà Murray, n.2 Djokovic, e che Roger e Rafa, rispettivamente n.3 e n.4 non potranno mai incontrarsi altro che in un’eventuale finale. E devo dire che quest’ultima ipotesi, ove si verificasse l’ennesimo duello fra i due più grandi rivali, sarebbe altamente suggestiva. Per la storia della loro rivalità, per il ricordo delle loro altre finali di Wimbledon, per quello che è successo nell’ultima finale di Slam a Melbourne 2017. Tutti aspetti fortemente memorabili. Oggi come oggi né Murray né Djokovic sembrano in grande forma né si direbbe che possano presentarsi all’appuntamento di Church Road in grande fiducia. Però se dovessimo valutare un buon sorteggio o un cattivo sorteggio per Federer (e il discorso vale anche per Nadal) il fatto di essere capitati dalla parte di Murray o da quella di Djokovic, potremmo facilmente sbagliarci. Perché molto dipenderà da quel che accadrà – per tutti i Fab Four che potrebbero uscire ai primi turni come non – nella prima settimana dei Championships. E non solo, ma anche prima… Un Djokovic che domina il torneo di Eastbourne o un Djokovic che perde malamente a Eastbourne non sarà mai – in termini di fiducia – lo stesso Djokovic. O sbaglio?
Il fascino del prossimo Wimbledon sta davvero nelle sue mille incognite. A cominciare dalla condizione delle prime due teste di serie, certo. Entrambi ex campioni di Wimbledon (con Murray che ne ha vinti già un paio, più quello Olimpico). Ma anche dal Federer che potrebbe essere quello visto contro Kachanov oppure quello visto contro Zverev. E anche dal Nadal che potrebbe essere quello che ha perso sempre ai primi turni delle ultime edizioni di Wimbledon, oppure quello che ha giocato più finali di Lendl (e vincendone un paio). Il tutto senza nemmeno prendere in considerazione, in quest’articolo, le chances di una, due, tre – se non sette – grandi prestazioni di tanti outsiders che sull’erba sanno farsi rispettare. Del Potro, Raonic, Cilic, per citare i primi che mi vengono a mente, non posso mandare a casa un Fab Four in cattiva giornata? Certo che sì. Insomma, e qui concludo, il Federer di oggi a Halle, non lo batte nessuno, ma deve giocare così (e anche un po’ meno) sette volte per almeno due ore e mezzo tre per essere sicuro di portare a casa l’ottavo Wimbledon. Vedremo. Ma intanto chi ha avuto la fortuna di vedere questi 53 minuti da cineteca – ecco, fossi io il direttore di Supertennis ne riproporrei la visione “un’ora al giorno con Maestro Federer” tutti i giorni, con visione obbligatoria ai Centri Estivi federali (togliendo l’infinita cerimonia di premiazione, per la quale, sempre da direttore, avrei previsto che con due finalisti di lingua tedesca in un torneo in Germania, un interprete capace di tradurre il tedesco me lo sarei procurato…) ha potuto godere alla grande. Io fra i tanti.