dall’inviato a Londra
Dopo Roger Federer, il signore di Wimbledon, e Andy Murray, britannico e numero uno al mondo, il terzo tennista in attività per numero di vittorie in carriera sull’erba è uno spagnolo. È facile capire di chi si tratta: Feliciano Lopez. Il belloccio di Toledo sa già che Federer (157) e Murray (102) non li raggiungerà mai, ma i suoi 72 successi sulla superficie dimostrano che c’è ancora vita oltre il luogo comune dell’iberico tutto muscoli, sbuffi e arrotazioni da tre metri fuori dal campo. L’ultimo di questi, che lo ha reso la testa coronata del Queen’s per il 2017, è stata una buona occasione per ripercorrere con lui la storia del suo amore per quei campi verdi, su cui ha colto tre dei suoi sei titoli ATP.
“Penso che i miei colpi siano fatti apposta per l’erba” ha detto Feliciano ai tanti giornalisti interessati a sentirlo parlare. Dritto mancino basso sulla rete, rovescio slice, volée e un servizio perfetto per lo scopo – “non potevo non trarne vantaggio” – hanno sempre fatto parte del suo repertorio, fin da quando era ragazzino. “Prima di spostarmi a Barcellona a quattordici anni e iniziare a giocare su terra” racconta, “vivevo a Madrid”. “Lì mi allenavo su campi in cemento ogni giorno, inoltre le condizioni lì erano molto rapide a causa dell’altitudine.” Rispetto ai primi anni di carriera, l’unico vero cambiamento lo ha prodotto l’esperienza: “Oggi leggo il gioco meglio, conosco meglio me stesso. Da giovane ero meno aggressivo, rimanevo più sulla linea di fondo, aspettavo le opportunità.”
Al fianco delle qualità tecniche, l’arma in più di Lopez è la consapevolezza di ciò che significa giocare sull’erba. Per l’intera settimana degli Aegon Championships, Feliciano ha ricordato le difficoltà e i vantaggi nascosti della superficie più rara del circuito ATP – appena un mese, dal termine del Roland Garros al ritorno pre-agostano di cemento americano e terra rossa europea. “Il gioco è estremamente veloce, quindi spesso i match sono in grande equilibrio per la maggior parte della loro durata” ha illustrato lo spagnolo. “So che devo giocare il mio miglior tennis, però ho bisogno di essere anche un po’ fortunato: sono sempre due o tre punti che fanno la differenza.” Non lo ha citato, ma un grosso aiuto glielo per il trionfo ha dato anche il pubblico, che si è schierato interamente dalla sua parte in un tifo scatenato e mediterraneo.
Fu l’erba del 2014 a contribuire al best ranking di Lopez, la posizione di numero 12 al mondo raggiunta il febbraio successivo grazie alla finale al Queen’s Club e alla vittoria a Eastbourne. È naturale quindi che sia Wimbledon, lo Slam in cui “Deliciano” è sempre riuscito meglio. I tre quarti di finale del 2005, 2008 e 2011 sembrano ormai datati, eppure lui dice di non essersi mai sentito così bene: “Vincere qui è la preparazione migliore che potessi avere” ha detto, rimirando la grande coppa posta al suo fianco. Dopo aver dato Cilic come secondo favorito per i Championships, gli è stato fatto notare che tale ragionamento inserirebbe anche lui nella lista dei possibili vincitori, avendo battuto il croato in finale. “Non voglio pensarla così” ha sorriso. “Se arrivo alla seconda settimana ne riparliamo.”
E pensare che molti suoi connazionali, per lunghi decenni del secolo scorso, a Wimbledon erano soliti non presentarsi neppure. Complice anche un’erba assai più veloce di quella odierna, gli specialisti della terra evitavano accuratamente la visita a Church Road – o al massimo incassavano l’inevitabile sconfitta al primo turno e il gettone di presenza. La mosca bianca Lopez lo sa bene: “La prima volta che ho raggiunto i quarti a Wimbledon, mi dissero che ero il primo spagnolo in trent’anni a riuscirci, dai tempi di Orantes” che fu semifinalista nel 1972. “Bisogna crederci. Fin dalla prima volta che ho giocato su erba” ricorda, “ho creduto di poter fare bene. Per gli altri è diverso. Hanno bisogno di vedere qualcun altro che ci riesce, per convincersi di poter fare lo stesso anche loro. Per questo per così tanti anni non hanno voluto tentare.”
Di continuare a tentare Feliciano ha invece ancora molta voglia. Gli infortuni lo hanno risparmiato, lui ha lavorato molto per preservare il proprio fisico e oggi, pur con trentacinque primavere addosso, non teme il formato lungo dei major: “Finché sono in salute, va benissimo. Nel mio caso poi ho un ottimo record nei quinti set (24-11 totale e 8-3 su erba, ndr)” fa presente fiducioso. Servirà un miracolo anche soltanto per avvicinare la doppia impresa di Rafa Nadal, il migliore tra i biancovestiti nel 2008 e nel 2010. Ma del resto… “Wimbledon è il torneo più prestigioso al mondo. Perché non giocarlo?”