A scorrere i nomi dei vincitori dei primi tornei della stagione sull’erba – Muller, 34 anni, ‘s-Hertogenbosh; Federer, 35, Halle; Lopez, 35, Londra/Queen’s – si sarebbe tentati di concludere – come è infatti puntualmente avvenuto – che l’erba non è cosa per ragazzini. Del resto anche in questa rubrica non è mancata occasione di evidenziare la scarsa attitudine dei talenti della Next Gen sull’erba, una superficie che frequentano poco e dove appaiono impreparati sotto molteplici aspetti. Le ragioni di questo scarso rendimento sono connesse in larga parte ai modelli di insegnamento che si sono imposti nel tennis e alle strutture che ospitano questi ragazzi. Eppure la stagione sull’erba che fra qualche giorno raggiungerà il climax, ci ha fornito, contro ogni pronostico, indicazioni diverse: sull’erba finora la Next Gen non ha sfigurato e anzi, in alcuni casi, se n’è nutrita per raggiungere inediti traguardi.
Si tratta allora di recitare il mea culpa, una condizione non proprio insolita per chi a vario titolo segue e scrive di tennis. Nel 250 di ‘s-Hertogenbosh, uno dei due tornei inaugurali della stagione, si è rivisto (finalmente) Daniil Medvedev. Qui il russo si è spinto ai quarti di finale prima di arrendersi ai colpi di Karlovic, giustiziere nel turno precedente di un altro giovanissimo talento della Next Gen, Stefan Kozlov, invitato dagli organizzatori. Il ventunenne moscovita si è ripetuto la settimana successiva centrando i quarti di finale al Queen’s. Partito con il piede giusto anche a Eastbourne, l’ultimo torneo sull’erba prima del Major, nel quale ha superato Robin Haase centrando così il terzo quarto di finale consecutivo; costretto ad un secondo match nella stessa giornata a causa della pioggia, ha battuta anche Johnson in tre set, e ora è in semifinale. Sui prati olandesi e inglesi Medvedev ha così replicato la positiva doppietta realizzata sul cemento nella prima parte della stagione con i quarti di finale raggiunti a Montpellier e Marsiglia. Risultati che sul duro apparivano meno sorprendenti, mentre è la prima volta che il russo riesce ad avanzare su una superficie, appunto l’erba, che lui dice di preferire ma sulla quale finora aveva giocato pochissimo e raccolto altrettanto.
Nel frattempo la Next Gen ha ritrovato uno dei suoi elementi più talentuosi, Thanasi Kokkinakis, il cui percorso è stato talmente funestato dagli infortuni da suggerirgli, come ha confessato la scorsa settimana, di mollare tutto. Sia a ‘s-Hertogenbosh sia a Londra, il ventunenne australiano è uscito di scena al secondo turno (in entrambi i casi proprio per mano di Medvedev), in compenso ha messo in bacheca quella che lui stesso considera la vittoria più importante della sua carriera. Contro il finalista uscente del Queen’s, Milos Raonic, Kokkinakis ha giocato un match stoico, di puro sacrificio: non in grado di contrastare il servizio del canadese, falloso nei propri turni di servizio al punto da dover difendere ben otto palle break, l’australiano ha mantenuto i nervi saldissimi nei due tie break portando a casa il match. È la prima vittoria in carriera contro un top 10. Fra i segnali più incoraggianti c’è la prima di servizio, che lo ha aiutato nei momenti di difficoltà, e che appare oggi come un dono più prezioso alla luce della delicata operazione alla spalla subita a dicembre del 2015.
Tuttavia, a essersi messa particolarmente in luce al Queen’s Club è la schiera più giovane della Next Gen: quella dei classe ’98 e ’99 che orbitano ancora nel circuito Challenger. Da una parte, Stefan Kozlov, che sull’erba di Wimbledon era stato finalista juniores nel 2014 e che sembra più a suo agio nei movimenti su questa superficie rispetto ad altri esponenti della Next Gen. Un agio che deriva dal movimento cortissimo, fulmineo e senza sofrzo del rovescio bimane, ma anche dal fatto che il tennis di Kozlov conosce più variazioni rispetto al modello tennistico dominante: le variazioni in slice, per esempio, talvolta utilizzate persino con il dritto. Nei tornei disputati finora sull’erba, Kozlov ha eliminato specialisti della superficie (Herbert, Brown) e tennisti di caratura superiore come Johnson, cedendo soltanto a Cilic e Karlovic. Risultati che gli consentono di risalire ben undici posizioni della Race to Milan, dove ora lo statunitense è n. 17 a circa 200 punti dalla zona calda. Dall’altra, Denis Shapovalov, la cui annata finora è paradigmatica delle qualità e delle attitudini del talento canadese. Prestazioni sfolgoranti, a inizio anno, sul cemento dei circuiti inferiori; una disastrosa stagione sul rosso segnata da tre eliminazioni al primo turno, tutte a livello challenger, e dall’eliminazione al primo turno delle qualificazioni del Roland Garros; quindi la ritrovata serenità sull’erba, superficie che lo aveva reso protagonista e conosciuto ai più dopo la vittoria di Wimbledon juniores l’anno scorso, e sulla quale conferma oggi di giocare con disinvoltura e confidenza, quasi alla pari con i grandi.
Di carattere il suo percorso al Queen’s, dove ha prima superato Opelka e Broady nei turni di qualificazioni, e poi Kyle Edmund al primo turno. La sua corsa è sì terminata al turno successivo, ma non prima di aver disputato uno dei più avvincenti match del torneo, che il pubblico presente al Queen’s difficilmente dimenticherà: due ore e un quarto di un tennis intenso e di qualità, trentotto giochi, due tie break, prima che il giocatore di maggiore esperienza, Tomas Berdych, riuscisse ad avere la meglio. Più giovane, insieme a Ruud e De Minaur, della top 30 della Next Gen, Shapovalov con 248 punti si trova oggi a competere per un posto a Milano. Sfida non impossibile se sarà in grado di sfruttare al meglio (anche) le poche occasioni nel circuito maggiore, a cominciare dalle wild card ricevute per Wimbledon e, proprio ieri, per il master 1000 di Montreal assieme a Pospisil e Félix Auger-Aliassime, fresco vincitore del suo primo torneo challenger, a 16 anni.
La Next Gen non ha mancato di mettersi in evidenza anche sull’erba di Halle, da qualcuno definita polemicamente “impura”, stante le condizioni dei campi. Al di fuori di Zverev, corpo ormai estraneo alla Next Gen, è da sottolineare l’exploit degli altri due elementi del terzetto russo: Khachanov e Rublev. Il primo, sulla carta meno “adatto” a una superficie come l’erba, sopperisce a certe lacune nei movimenti con la pesantezza e le rotazioni dei propri colpi, a tratti stupefacenti. Caratteristiche che capita di vedere attribuite anche a Rublev, quando invece i due tennisti sono profondamente diversi nello stile e nella dinamica dei colpi. Non va dimenticato che Khachanov ha compiuto da poco 21 anni mentre Rublev ne compirà 20 il prossimo ottobre, una distanza che si riflette anche nella struttura fisica dei due (20 kg di differenza, per quanto Khachanov sia più alto). La presunta somiglianza deriva forse dall’osservazione che anche Rublev fa del dritto la sua arma fondamentale, a volte micidiale, ma si tratta in ogni caso di un colpo diverso da quello del connazionale: meno pesante ma con un movimento più rapido e imprevedibile, giocato con un’impugnatura più aperta e simile a quella di Dimitrov. Nel match di quarti di finale a Halle, che li ha visti l’uno contro l’altro, certe differenze tecniche e di stile forse si sono notate meno, soprattutto nel primo set in cui Rublev ha scelto di stare al braccio di ferro da fondo campo preferito da Khachanov. Ma il suo tennis, nel complesso, sembra più pulito e variegato rispetto a quello del connazionale. Dopo Halle, Rublev ha riconquistato la top 7 della Race to Milan, scalzando per il momento gli statunitensi Donaldson ed Escobedo.
Il derby di Halle lo ha vinto Khachanov, che in semifinale ha trovato Federer, costringendolo al tie break del secondo set e sorprendendolo a tratti con fulminanti risposte al servizio dal lato del dritto. Prima dell’exploit sull’erba, il russo era stato protagonista anche sulla terra, collezionando vittorie di rilievo: Cuevas e Goffin a Barcellona (dove ha raggiunto i QF), Berdych e Isner al Roland Garros. Si può dunque considerare chiuso il periodo di buio della nuova generazione russa, che soprattutto grazie ai risultati ottenuti sull’erba è riuscita a raggiungere traguardi inediti. Lunedì scorso, infatti, Khachanov, Medvedev e Rublev hanno tutti conquistato il proprio miglior ranking in carriera, rispettivamente 34, 52 e 92.
Uno sguardo, infine, al rendimento della Next Gen nei primi due turni di qualificazione a Wimbledon.
Kozlov conferma il suo momento di fiducia e oggi al terzo turno delle qualificazioni affronterà Jarry, specialista della terra battuta. Ultimo scoglio anche per Rublev, che si troverà di fronte Paul Henri-Mathieu. Positiva e per certi versi inaspettata l’avanzata di Christian Garin (accademia Nadal), che ha superato Quinzi e Fratangelo: oggi all’ultimo turno delle qualificazioni sarà chiamato a neutralizzare gli schemi offensivi di John-Patrick Smith. Si giocano un posto nel main draw anche Fritz, Bublik e Jay Clarke, unico esponente della Next Gen britannica, che ha finora ben ripagato la wild card ricevuta. Per lui due “derby Next Gen” consecutivi: superato il primo con Elias Ymer, lo attende oggi quello con l’austriaco Ofner. Hanno deluso le aspettative Opelka, sconfitto al primo turno da Ram con il punteggio di 7-6 7-6 (come a Dallas qualche mese fa) e soprattutto De Minaur, dal quale era lecito attendersi qualcosa in più su una superficie in cui l’australiano si muove con naturalezza: vincitore al primo turno contro la teste di serie n.2 Giraldo, De Minaur si è arreso al turno successivo al giapponese Ito. Fuori al primo anche turno anche Halys, dato per strafavorito con Stefano Travaglia, dal quale ha subito un severissimo 7-5 6-0: sconfitta che però non deve sorprendere considerato che il francese, come si era evidenziato qui, su questa superficie incontra molte difficoltà a ricercare il tempo giusto sulla palla.
Claudio Tancredi Palma