“Ladies & Gentlemen, the runner-up, Andy Roddick”
Quel 5 luglio del 2009, sul centre court di Wimbledon, per quasi due set Andy Roddick sembrò capace di riuscire là dove non era mai riuscito: vincere una finale Slam contro Roger Federer. Ne aveva già perse tre, due volte su questo campo e una, l’ultima, a Flushing Meadows. Andy stava mettendo Federer alle corde, il suo servizio funzionava a perfezione. Il braccio dello svizzero si era bloccato sul game che lo avrebbe portato sul sei pari: primo break, subito decisivo: 1-0 per lo yankee. Stessa storia nel secondo set. Ace sporchi, servizi vincenti. Questa volta Fed tiene, 6-6, si va al tie-break.
1-0 Roddick, 2-0, 2-1, 3-1, 4-1, 5-1. Si gira. 5-2, 6-2. Controbalzo di rovescio, 6-3. 6-4, 6-5..
Brooklyn Decker, sua moglie, è raggelata. Nemmeno Mirka applaude, non su quella volèe
Uno pari. “Ora crolla”, è il pensiero di tutti i 10.000 assiepati sulle tribune del centre court. E invece Roddick rimane incollato alla partita. Perde il terzo set, ancora una volta al tie-break. Federer però non recita la parte dello squalo. Si inceppa, perde qualche colpo di troppo, sente la pressione. In tribuna c’è anche Pete Sampras, l’uomo dei sette Wimbledon, americano come Andy. È la prima volta che assiste ad un match di Federer a Church Road, lui che non ama troppo farsi rivedere da quelle parti.
Roddick conserva il break in avvio di quarto set. Si decide tutto al quinto.
“Sorry Pete, I tried. I tried to hold him off, and it was a pleasure playing here in front of great champions. I still hope one day my name will be up there as a winner of this tournament.”