Avevo chiuso il mio editoriale di ieri così: “oggi cinque italiani in gara, ma non c’è nessuno che sia favorito. Bolelli con Tsonga, Fognini con Vesely, Seppi con Anderson, Giorgi con Keys, Schiavone con Svitolina. Firmerei per una vittoria, ringrazierei il Fato per due, mi ecciterei per tre. Più possibili (senza contare Lorenzi che spero ce la faccia)? Nell’ordine Giorgi, Fognini, Bolelli”. Beh ringrazio il Fato e la bravura di Fabio Fognini, davvero straordinario contro Vesely come lui stesso ha ammesso (“Ho giocato molto molto bene, se non il mio miglior match di sempre sull’erba uno dei tre migliori”). Così come la bravura e anche la straordinaria (eh sì proprio fuori dall’ordinario) solidità psicologica di Camila Giorgi. Quando ha perso il secondo set pochi avrebbero scommesso su lei. Lei che dopo aver mancato quattro matchpoint nel tie-break del secondo set e perso quel tie-break 12 punti a 10 con un doppio fallo che avrebbe buttato giù il morale a chiunque non poteva avere il morale alle stelle… come la sua avversaria. Una situazione psicologicamente ancora più difficile soprattutto quando giochi contro una testa di serie (n.19) e tu sei solo la n.86 WTA. Chi non penserebbe in quella situazione che certi treni passano una sola volta? E nel suo caso erano stati già quattro! Invece in 24 minuti ha dato 6-1 alla Keys, dopo essere salita sul 5-0. Ovviamente sono felicissimo, oltre che per loro due già al terzo turno, anche per il tabù infranto da Paolo Lorenzi che dopo sei sconfitte al primo turno a Wimbledon è riuscito ad approdare al secondo. Proprio come gli era successo quest’anno anche al Roland Garros.
Ci sono giocatori che crescono sognando di giocare un giorno a Wimbledon. Gianni Clerici una volta ci è riuscito e spesso ce lo ricorda. Lo capisco. È una grande soddisfazione, un piccolo grande sogno che si realizza. A me è mancato e penso sempre al ’73 quando, per via di qualche buon risultato ottenuto in Messico e negli Stati Uniti nel corso della mia esperienza universitaria in Oklahoma – grazie ai quali la Dunlop USA mi inviò sua sponte ben 4 racchette (mica ero McEnroe!) – avrei potuto tentare l’esperienza di provarci, favorito anche dal ritiro di quasi 80 giocatori per il boicottaggio di solidarietà per Nikki Pilic. Mio padre si ammalò seriamente, dovetti rinunciare. Tutto questo sproloquio autobiografico per dire che se milioni di tennisti hanno sognato soltanto di giocare questo Slam,e gli altri, e solo pochi bravi tennisti ce l’hanno fatto, sono ancora più pochi quelli che hanno vinto una partita ad uno Slam (e qui Clerici, ad esempio, non ce l’ha fatta). E davvero ancor meno quelli che possono vantare di aver vinto un match a Melbourne, Parigi, Wimbledon e New York. Dei quattro moschettieri azzurri vittorioso in Davis Panatta è stato l’unico ad aver giocato l’Australian Open, tanto per dire. Paolo Lorenzi alla bella età di 35 anni e mezzo, è fra quelli che ha vinto almeno un match ovunque. E che è stato anche testa di serie. Sono soddisfazioni anche queste, vi assicuro. Anche se non è un Career Grande Slam nel senso più tradizionale…
Questa l’ha centrata, battendo Zeballos in quattro set nella prosecuzione del match interrotto per oscurità martedì sera sul 2 set a 1 per lui e 2-2, nella giornata del 5 luglio, stesso giorno – 42 anni fa – in cui Arthur Ashe, a 32 anni sorprendendo il favoritissimo Jimbo Connors, diventò il primo tennista nero maschio (Althea Gibson aveva trionfato nel ’57 e ’58) a trionfare all’All England Club. Ero lì al mio secondo Wimbledon e, oltre che commosso nel vedere che ai cambi campo Arthur leggeva piccoli consigli scritti su un fogliettino, mi entusiasmai per la incredibile sagacia tattica con cui Arthur – che sarebbe poi diventato buon amico al punto di venire a giocare il “mio” piccolissimo torneo di Firenze che allora dirigevo nonostante sulla terra battuta lui fosse proprio un pesce fuor d’acqua – mandò in confusione l’arrogante Jimbo. Un rovescio tagliato dopo l’altro, assolutamente inconsueti per lui che aveva sempre colpito rovesci piatti o liftati (allora non si usava dire top-spin), finivano bassissimi e “scivolosi” sul dritto incerto di Jimbo che non riusciva a incontrarli e a forzarli. Un capolavoro tattico.
Finita anche questa digressione segnalo la soddisfazione degli inglesi, nel primo anno di Kate Middleton come presidente dell’All England Club – la regina Elisabetta, che ha sempre amato più i cavalli che i tennisti, le ha passato… le redini – che vedono quattro sudditi di Sua Maestà raggiungere il terzo turno: Murray, obviously, Konta (10-8 al quinto e quanta paura con la Donna di…Wawrinka, la Vekic che l’aveva battuta recentemente a Eastbourne), Watson (brava con la Sevastova) e Bedene, British sui generis… ma tale anche se non gli fanno giocare la Coppa Davis. Quattro al terzo turno non accadeva da 20 anni precisi: 1997 quando furono cinque. Fate che Kyle Edmund batta Monfils e saranno cinque e sir Cliff Richards potrà cantare la sua “Congratulations”, con la quale vinse un festival della canzone europea mezzo secolo fa o giù di lì.
La vittoria di Fognini su Vesely è stata sorprendente anche per il modo in cui è stata ottenuta. Venti centimetri più basso a dir poco, 1,78 contro 1,98, ha fatto 11 ace come il ceco che lo scorso anno qui battè Thiem e trascinò al quinto Berdych, due anni dopo aver messo k.o. su questi stessi prati anche Gael Monfils. Ma soprattutto Fabio non ha mai ceduto il servizio, concedendo la miseria di 2 palle break. Ha dominato in lungo e in largo. E si vedeva che alla fine era felice come una Pasqua. E così ben rilassato da rispondere cortesemente perfino a una mia domanda. Deve essere merito della serenità che gli ha portato l’avvento del piccolo Federico. Anche sul campo Fabio sembra un altro. Tranquillo, sereno. E gli riusciva tutto, come dicono gli americani “era nella zone”. Speriamo ci resti, perché l’exploit con Andy Murray, battuto tre volte ma mai sull’erba, è difficilissimo, improbabilissimo, ma non impossibilissimo (ecco battuto il record dei superlativi sbagliati!).
Vi rimando agli articoli che ho scritto – se siete masochisti – quando Fabio ha dominato Murray a Napoli in Coppa Davis 4 anni fa tramortendolo di smorzate (13 vincenti direi a memoria), quando lo ha ribattuto a Roma un mese fa (e conduceva 6-2 e 5-1 anche se concluse sul 6-2 6-4), ma anche al match che forse potrebbe essere più simile a quello che vorrebbe poter rigiocare, quello di Rio de Janeiro perché giocato sul cemento e non sulla terra battuta che lui ama più di Andy. Alle Olimpiadi, dove poi Andy avrebbe vinto l’oro, Fabio era avanti 3-1 nel terzo e mi pare ebbe pure la palla del 4-1… ma se cliccate sul link all’articolo troverete l’esatto svolgimento. Quella con Vesely è stata una prestazione impressionante che, se non fosse che al terzo turno lo attende il vincitore su questi campi di due Wimbledon (2013 e 2016) e del suo primo oro olimpico (2012), indurrebbe a grande ottimismo.
Qui, data l’ora – sono quasi le una di notte per me – riprendo qualche riga scritta per la Nazione, il Giorno e il Resto del Carlino. Fognini: “Il favorito è Murray, non c’è dubbio, ma lui non potrà sottovalutarmi, sa che non può scherzare. Ci conosciamo bene da quando abbiamo 14 anni. Abbiamo la stessa età (Andy ha solo 9 giorni di più). Qui gioca in casa lui, come io a Roma e Napoli, ma ho il gioco che gli dà fastidio”. E Murray: “Fabio è sempre pericoloso. Sa tirare vincenti con tutti i colpi e a rete ha una gran mano”. Forse sull’erba non potrà fargli tutti i dropshot delle sue prove italiane. Solo Federer riesce a giocarle come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Ma ci proverò” garantisce lui togliendosi un sassolino dalle scarpe: “Hanno scritto tutti che avevo preparato male Wimbledon, perché non avevo giocato per nulla sull’erba, ma ho fatto un bel richiamo atletico e lavorato molto sul servizio: lo si gioca da fermo (ecco la spiegazione per gli undici ace e gli zero break)…perchè dopo Wimbledon voglio giocare tre tornei di fila sulla terra battuta”. Poche righe su Bolelli, Seppi e Schiavone. Potevano far poco e molto non hanno fatto. Non hanno vinto un set e non ci sono andati nemmeno tanto vicini. Di Lorenzi ho scritto un post ricco di ammirazione (lo adoro… non solo perché tifa Fiorentina eh!) perché vederlo giocare serve&volley, con 8 punti su 11 discese, giocare a rete almeno una trentina di volte, beh come si fa a non ammirarlo, lui che giocava sempre tre metri dietro la riga di fondo. E contro Donaldson beh… sarà dura, certo, ma questo Lorenzi non finirà mai di sorprendere, vedrete.
Alle donne ho dedicato poco spazio perché AGF se ne occupa molto meglio di me. Sono già saltate 13 teste di serie, non pochissime, ma nessuna delle prime dieci, anche se Petra Kvitova, bicampionessa di Wimbledon che ha ceduto all’americana Brengle n.95 del mondo era in realtà considerata insieme a Karolina Pliskova una delle prime del favorite del torneo. Di certo, se non trionferà Venus Williams che è l’unica ex regina del torneo ancora in lizza, iscriverà il proprio nome una nuova tennista. Come la Ostapenko al Roland Garros. Già, la Ostapenko, prossima avversaria di Camila Giorgi e per 8 volte negli ultimi 8 incontri vinti (Roland Garros compreso) sempre al terzo set. Qualche pausa insomma ce l’ha anche lei, sebbene abbia detto di Camila Giorgi rispondendo a una mia domanda: “Sì, anche lei ama tirare forte come me, ma è più discontinua!”. Beh, quanto a discontinuità, come ammette lei quando spiega perché perde quei set (“Non riesco sempre a stare attenta…”. Oggi andavano avanti a serie di vincenti e errori lei e la canadese Abanda) anche la Ostapenko non scherza. Buffo invece che la Giorgi continui a ripetere sin da Parigi che ormai si sente “continua”. Se ne è convinta lei, contenti tutti. Ha anche detto che, a proposito della Ostapenko, che oggi nel tennis femminile tante tenniste possono battere tutte. Includeva anche lei stessa, naturalmente. Ma per sette partite di fila può farcela? Magari!