In questo rovente luglio londinese, Grigor Dimitrov non sembra più il Wile E. Coyote che è stato negli ultimi 4 mesi. La sua interminabile caduta libera nel canyon della crisi nera, iniziata a Indian Wells, non si è conclusa con un tonfo, sbuffo di polvere e ossa rotte. Anzi, il suo yo-yo mentale pare aver azionato l’inversione di rotta. Proprio a SW19, nel luogo in cui molto lo avevano immaginato successore del giardiniere capo, Roger Federer. Finendo per crederlo solo un suo facsimile. E invece si ritrova negli ottavi di Wimbledon a battersi proprio contro il fuoriclasse elvetico cui fu incautamente paragonato. C’è arrivato affrontando avversari non eccelsi, sia detto. Schwartzman, Baghdatis e Sela, che si è addirittura ritirato. Ma intanto non ha perso un set. E, soprattutto, quante volte il 26enne di Haskovo non è riuscito a disincagliarsi dalle secche dei primi turni, finendo estromesso dalle seconde schiere?
Ciò che sorprende, ma solo in parte, è l’assordante silenzio che ha accompagnato il suo cammino nel torneo. Per tornare a far parlare di sé gli è toccato il ruolo di maestro di tennis, ma con la emme minuscola, del figlio di Beckham. Un bel cambio di prospettiva, rispetto a quando era il lui della coppia più cliccata del mondo tennistico (e forse non solo). Chissà che, in fondo, la dinamica ”io non parlo, tu non ne parli”, innescata con i media non gli faccia comodo, subita o desiderata che sia. Un ritemprante basso profilo, dopo le ammorbati attenzioni dei tabloid, per la storia con Sharapova, e la pressione degli addetti ai lavori. Che gli avevano affibbiato il ruolo di giovane sosia dello svizzero. Quale sarebbe stato l’hype alla vigilia del torneo, se il bulgaro avesse continuato al ritmo del primo bimestre del 2017?
Cinquanta giorni che ci avevano proposto un Dimitrov diverso. Nuovo allenatore, Daniel Vallverdu, a lungo a fianco di Murray. Maggiore tenuta fisica e, soprattutto, quella cattiveria agonistica che poche volte aveva tirato fuori. La partenza è impressionante. Sparato da una palla di cannone, a Brisbane spazza via uno dietro l’altro tre top player come Thiem, Raonic e Nishikori. Siamo all’8 gennaio e il primo trofeo è già arrivato. L’acme viene raggiunta a Melbourne dove perde una stupenda semifinale contro Rafa Nadal. Una di quelle sconfitte che ti fanno vincere comunque, tale il livello di gioco espresso. Sembra aver imboccato, dopo un lunghissimo momento no, la strada che lo aveva portato nel 2014 al numero 8 della classifica. Il momentum gli fa vincere il torneo di Sofia di fronte a un pubblico estasiato. Non è più, si dice, Federer numero due, ma Dimitrov numero uno.
Pure la sconfitta subita da Goffin nei quarti a Rotterdam sembra solo figlia della stanchezza. È arrivato il momento di rifiatare. Ma è proprio qui che inizia il tuffo nel canyon. Una sconfitta di misura contro Jack Sock a Indian Wells e soprattutto le figuracce contro Pella a Miami e Robredo in Marocco lo bloccano di nuovo nelle sabbie mobili da cui sembrava appena uscito. Sarà un’anonima comparsa per tutta la stagione sulla terra. Unico picco, spiegabile anche sul piano tecnico, l’ottavo perso contro Thiem sul mattone tritato di Madrid. Neanche il palcoscenico del Roland Garros sembra farlo uscire da questa abulia. Chi lo fa uscire davvero è quell’osso duro di Carreno Busta, al terzo turno. L’inversione di tendenza arriva all’improvviso al Queen’s, dove solo il miglior Lopez di sempre lo ferma in semifinale, prima di andare a sollevare l’enorme coppa.
Siamo all’oggi. Il più bel giorno dei Championships, che propone, fra uomini e donne, il pacchetto completo degli ottavi di finali, lo vedrà ancora protagonista. Sul Centre Court contro il glorioso rivale elvetico. E magari stavolta Wile E. Coyote acciufferà il diabolico Road Runner.
Andrea Ciocci