Il secondo match sarà tra Venus Williams e Johanna Konta.
Questi i loro confronti diretti:
2017 Roma (terra) Williams def Konta 6-1 3-6 6-1
2017 Miami (cem) Konta def Williams 6-4 7-5
2016 Stanford (cem) Konta def Williams 7-5 5-7 6-2
2016 Aust. Open (cem) Konta def Williams 6-4 6-2
2015 Wuhan (cem) Williams d. Konta 6-4 3-6 7-5
Forse queste partite non sono particolarmente significative per la carriera di Venus, ma invece lo sono state, a mio avviso, per quella di Konta. Si potrebbe quasi dire che ogni match contro Venus ha rappresentato un momento importante della sua ascesa.
Wuhan 2015 è stato il torneo in cui Konta ha confermato di essere una nuova realtà del tennis femminile, dopo le ottime cose agli US Open. In quella prima occasione Konta, proveniente dalle qualificazioni, aveva perso di misura da Venus che poi avrebbe vinto il torneo (ricordate la polemica con Roberta Vinci in semifinale?)
Agli Australian Open 2016 si è avuta la sensazione che i progressi di Konta fossero stati tali da portare al sorpasso. In quel match Johanna aveva “messo sotto” sul piano del ritmo e della precisione Venus, e aveva gestito il match con un certo margine. Poi in quello Slam Johanna sarebbe arrivata in semifinale.
L’incontro successivo coincide con la prima vittoria di Konta in un torneo WTA: la finale di Stanford. Una partita che Johanna avrebbe potuto vincere in due set (conduceva 7-5, 4-2) e che invece si era allungata al terzo per la paura di vincere: il tipico braccino da vittoria nel primo torneo.
Miami 2017 sembrava avere sancito la superiorità quasi definitiva fra le due giocatrici: terzo successo consecutivo per Konta, ma anche posizione migliore nella gerarchia del ranking. E invece di recente Venus sulla terra di Roma ha dimostrato di non partire mai battuta, ed è tornata al successo a due anni di distanza.
Veniamo a Wimbledon 2017. Queste le avversarie sconfitte da Venus per arrivare in semifinale (tra parentesi il numero della testa di serie):
Mertens 7-6, 6-4
Wang 4-6, 6-4, 6-1
Osaka 7-6, 6-4
(27) Konjuh 6-3, 6-2
(13) Ostapenko 6-3, 7-5
E queste quelle battute da Konta:
Hsieh 6-2, 6-2
Vekic 7-6, 4-6, 10-8
Sakkari 6-4, 6-1
(21) Garcia 7-6, 4-6, 6-4
(2) Halep 6-7, 7-6, 6-4
Come si vede il cammino di Johanna è stato il più accidentato di tutte e quattro le semifinaliste. Tre set lasciati per strada, quattro tiebreak affrontati, ma anche alcune avversarie non facili che probabilmente avrebbero impensierito qualsiasi altra giocatrice in tabellone. Quindi non si può dire che il sorteggio l’abbia favorita.
Ecco la tabella comparativa basata sui numeri di Wimbledon 2017:
Segnalo qualche dato interessante: la prima di servizio Venus è più incisiva (molti più servizi non ritornati in percentuale rispetto a Konta 133 su 324 contro 126 su 415), ma Konta ha un rendimento sulla seconda superiore: 58% a 49%. Da notare come entrambe scendano meno a rete rispetto a Muguruza e Rybarikova, a conferma che il loro è un gioco di aggressività da fondo. E per Venus si tratta sicuramente di una evoluzione rispetto al suo tennis degli esordi. In realtà direi che Venus e Johanna hanno un gioco più simile che non le protagoniste della prima semifinale, anche se non mancano le differenze.
C’è poi la questione della superficie. A mio avviso l’erba favorisce Venus, che ha una storia di successi sui prati di poco inferiore a quella di Serena, e superiore a qualsiasi giocatrice in attività. E in termini di esperienza e di abitudine ai grandi appuntamenti non c’è gara. Anche Konta però ha vantaggi dalla sua: la maggiore resistenza in caso la partita dovesse allungarsi, e una mobilità superiore. Venus avrà l’obiettivo di tenere la durata media del palleggio molto bassa, invece Johanna probabilmente cercherà di fare in modo che si entri nello scambio anche quando al servizio ci sarà Venus.
Come sempre sull’erba non si può prescindere dal rendimento dei colpi di inizio gioco: servizio e, non meno importante, risposta. E sotto questo aspetto ogni giornata può essere diversa.
Una questione meno tecnica prima di chiudere. Ragionavamo tra inviati di Ubitennis su quale sarebbe stato il successo giornalisticamente più accattivante fra le quattro protagoniste ancora in gara. Ubaldo sostiene, secondo me a ragione, che la storia di Venus sarebbe la più “raccontabile”: la grande campionessa, estremamente popolare ma da molti anni non più così vincente, che torna ai vertici, a 37 anni. Confermando che i prati di Wimbledon sono quasi un feudo della famiglia Williams che dal 2000 al 2016 ci ha vinto complessivamente dodici volte (cinque Venus, sette Serena).
Se si ragiona avendo come target il grande pubblico, nessuna delle altre protagoniste può essere avvicinata a Venus.
Ma in fondo anche la vicenda di Johanna Konta sarebbe interessante e avrebbe un discreto potenziale, anche se in misura maggiore a livello anglosassone: il ritorno al successo dopo quarant’anni di una inglese. Con ancora la stessa regina sul trono, fra l’altro, come ai tempi di Virgina Wade.
In tempi di Brexit ci sarebbe anche un interessante aspetto da approfondire, visto che Johanna Konta è nata in Australia da famiglia ungherese. Una delle ragioni per cui la sua famiglia è approdata in Inghilterra è perché, essendo allora tutti e due gli stati parte della Comunità Europea, per gli ungheresi era molto semplice stabilirsi in Inghilterra. E i Konta avevano tutti un passaporto ungherese, Johanna inclusa, anche se nata in Australia.
Probabilmente le vittorie di Rybarikova e Muguruza non potrebbero avere la stessa eco mediatica, eppure secondo me i loro successi sarebbero importanti e troverebbero apprezzamento fra gli appassionati, anche se per ragioni diverse. Magdalena per la sua capacità di tornare dagli infortuni, Garbiñe per il ruolo che ha avuto e potrebbe avere nella WTA.
Rybarikova nella conferenza stampa dopo la vittoria su Vandeweghe ha parlato delle sue traversie fisiche. Un giornalista le ha chiesto quale era stato il momento più difficile durante il periodo degli infortuni (al ginocchio e al polso) e Magdalena ha raccontato una storia interessante.
Dopo l’operazione ai legamenti del ginocchio faticava ad allenarsi. L’articolazione le faceva molto male, doveva giocare sul dolore e sembrava non venirne fuori. Poi, nel gennaio di quest’anno, un giorno ha preso una decisione coraggiosa. Ha deciso che avrebbe praticato un allenamento “a tutta”, senza preoccuparsi di quanto male sentisse. Si è detta “Basta, piuttosto distruggo il ginocchio, ma voglio vedere cosa succede”. Non esagero: ha usato lei il verbo “destroy”, e secondo me questo indica quanto, nei periodi degli infortuni che non guariscono, un’atleta possa arrivare a ragionare in termini estremi.
Ha praticato un allenamento dolorosissimo, ma la sorpresa è stata che il giorno dopo per la prima volta l’articolazione era migliorata. È stato l’inizio della guarigione completa; oggi può allenarsi e giocare senza alcun disturbo: e questo l’ha portata alla forma esibita a Wimbledon.
Se invece vincesse Muguruza sarebbe, probabilmente, la vittoria più logica sul piano della evoluzione generazionale del tennis femminile. Che si affermi, cioè, una giovane campionessa che ha già dimostrato in passato di poter giocare ad altissimi livelli (penso ad esempio al Roland Garros 2016, quando regolò in due set Serena Williams) e che in finale a Londra c’è già stata due anni fa. Per il movimento tennistico femminile sarebbe il processo più naturale, e lascerebbe meno dubbi, ad esempio, rispetto al successo di una giocatrice 37enne, o una di 28 anni che però in carriera non ha mai superato il 31mo posto nel ranking.
Fra l’altro in caso di successo Muguruza si ritroverebbe con un palmarés niente male perché vincere i due Slam Europei su due superfici differenti ha un notevole significato tecnico, oltre che essere un ottimo punto di partenza per il career Grand Slam.
Storie diverse, motivazioni diverse, ma forse la verità è che ogni vittoria a Wimbledon ha sempre aspetti degni di essere raccontati.