da Londra, il Direttore
Il torneo di Venus era cominciato con le lacrime, quando le avevano ricordato l’incidente automobilistico mortale che l’aveva vista incolpevole protagonista in Florida. E, a quanto ha riferito a un collega americano Chris Evert che l’ha vista negli spogliatoi, è finito in lacrime.
Non mi è facilissimo scrivere ancora qualcosa su una finale femminile che è durata 51 minuti, quanto il primo set. Prima di scrivere ogni cosa trovo assolutamente incredibile che Garbine Muguruza abbia vinto in carriera soltanto quattro tornei e che due di essi, la metà quindi, siano Slam. Io posso sbagliarmi ma non credo sia mai successo. Magari qualche lettore mi può aiutare a rintracciare casi analoghi. Dopo di che mi piacerebbe poter spiegare cosa possa essere successo a Venus Williams nel secondo set dopo i due set point mancati sul 5-4 e 15-40 (il secondo dei quali dopo un palleggio di 20 colpi, con un dritto in rete). Ma lei non ci ha aiutato, non ci ha consentito di dare la minima interpretazione. Ha reso onore alla performance della Muguruza con molto fairplay e di più non ha voluto dire. Lei è una che di solito non si arrende. Invece stavolta è uscita completamente di scena alla fine del primo set, o meglio. Se togliamo il tempo dei campi di campo, credo che il secondo set sia durato una quindicina scarsa di minuti. Garbine Muguruza ha fatto nove games di fila e nel secondo set ha lasciato appena undici punti a Venus, sei sul proprio servizio, cinque su quello di Venus. Che il Morbo di Sjogren, da cui lei è affetta, abbia colpito ancora improvvisamente mi sembra improbabile. Mi è parsa più vittima di un crollo psicologico. Forse l’attesa per questo sospirato exploit, per lei che aveva giocato qui la sua ultima finale nel 2009 le ha procurato uno stress insopportabile. Perché onestamente è strano che una giocatrice lotti e spari gran bordate da fondocampo per tutto un set e poi sprofondi, svanisca nel nulla.
Nel players box di Garbine era seduta Conchita Martinez, capitana di Coppa Davis e di Fed Cup, ma soprattutto un’esperta di come si possa ferire i sentimenti di una gran moltitudine di gente. Ventitré anni fa sullo stesso Centre Court, Conchita fece singhiozzare un’altra tennista di 37 anni, Martina Navratilova che sembrava ancor più avviata alla conquista del decimo titolo a Wimbledon di quanto non fosse oggi Venus verso il suo sesto. Martina giocava i suoi consueti serve&volley e Conchita la infilzò di passanti, soprattutto di rovescio che Martina erroneamente riteneva il colpo più debole… perché sulla terra rossa Conchita (che ha vinto al Foro Italico quattro volte consecutive dal ’93 al ’96, un record) con il toppone liftato di dritto faceva sfracelli. Ma il movimento di quel dritto era troppo ampio per giocarlo sull’erba. Il rovescio, giocato con minor apertura, era più efficace. Forse non se n’era resa conto nemmeno Conchita che, come molti spagnoli dell’epoca preferiva disertare Wimbledon sostenendo che “l’erba è buona per le vacche”. Concetto condiviso anche da diversi tennisti italiani. Fatto sta che Conchita bucò Martina da tutte le parti proprio con il rovescio e Martina, che per coach aveva spesso più amiche che veri allenatori, se ne rese conto quando ormai era troppo tardi: perse 6-4 3-6 6-3.
Martina sarebbe diventata la più anziana campionessa dal 1908, quando a 37 anni e 282 giorni Charlotte Cooper Sterry , diventata completamente sorda a 26 anni a causa di un terribile virus, conquistò il suo quinto Wimbledon 13 anni dopo il suo primo successo. La stessa cosa si sarebbe detta per Venus Williams se avesse vinto oggi. Solo che si sarebbe scritto che… ”erano trascorsi 109 anni dacchè Charlotte Cooper…etc etc etc”. Cioè 23 anni in più. Conchita, lì seduta come “riserva” del vero coach di Sam Sumyk, in Florida per la nascita di un erede, si sarà certo ricordata tutte quelle che Garbine Muguruza ha chiamato “strane coincidenze”. Una coincidenza di tipo diverso anche quella di Garbine con la Ostapenko vittoriosa a sorpresa al Roland Garros: sia lei sia la Ostapenko non avevano vinto un torneo quest’anno (la lettone anzi mai in assoluto), sia lei sia la Ostapenko avevano un coach spagnolo… abbastanza provvisorio. La Ostapenko aveva cominciato a lavorare da meno di un mese con la Medina Garrigues. La Muguruza solo per Wimbledon con Conchita.
Tornando al match nel quale ci sono stati per un set anche scambi di notevole qualità e grande intensità – ma neanche una palla corta per sbaglio eppure ci sarebbero state tante occasioni per giocarle quando o l’una o l’altra riuscivano a spingere l’avversaria tre metri oltre la riga di fondo – beh, Venus non dimenticherà facilmente sia il dritto sbagliato per salire sul 4-2 – era il primo break point del match, ed erano trascorsi 18 minuti – sia quelli dei due setpoint sul 5-4. Fin lì aveva salvato un unico break point nel settimo game, quello nel quale aveva commesso ben tre doppi falli, e aveva tenuto 43 turni di servizio su 45 dal terzo round in poi. Ma sul 5-5 un altro doppio fallo e due errori finali di dritto gli sono costati il break che ha in pratica deciso il primo set. Forse se fosse riuscita a tenere il servizio nel primo game del secondo set, nel quale è stata avanti 40-30, non sarebbe scomparsa di scena. Ma il quinto doppio fallo sulla palla break le è stato fatale, come un uppercut al mento che ti annebbia il cervello e ti mette k.o. Di quei miseri 11 punti conquistati nel secondo set, quattro Venus li ha fatti in quel primo game. Dopo di che nei successivi due turni di servizio ne ha fatti solo uno. Incredibile.
Come incredibile e francamente poco elettrizzante, privo di pathos, il finale. Sul 5-0, servizio Muguruza, per ben due volte Garbine ha ritenuto di dover chiedere il Falco, sul 30-0 sbagliando e invece sul match point con ragione. Però, come accennavo, è mancato il pathos di un match point trasformato con un bel colpo, magari a conclusione di un grande scambio. Che Garbine avesse vinto il suo secondo Slam, il primo dopo quello vinto da Martinez, lo ha decretato abbastanza tristemente la Asderaki interpretando il volere del Falco. Solo a quel punto Garbine è finita in ginocchio, le mani sul volto a coprirsi gli occhi, mentre Venus avanzava verso la rete ad attendere la stretta di mano finale. Quella scena, con il 6-0 conclusivo, venti minuti prima sarebbe stata del tutto inimmaginabile.
Garbine è simpatica, anche una simpatica gaffeuse: “Venus è una tennista incredibile, sono cresciuta guardando lei che giocava!”. Beh, alle signore anziane non si dovrebbe ricordare l’età. Il pubblico negli stand ha riso e allora lei: “Sorry!”. Venus, maternamente, non ha potuto fare a meno di sorridere. Poi quando Sue Barker, campionessa di uno dei Roland Garros femminili più scarsi della storia (lo stesso 1976 di Adriano Panatta!) e veterana dei microfoni BBC, ha chiesto a Garbine se avesse un messaggio da mandare al prossimo papà Sumyk, allora lei ha sollevato verso il cielo il piatto Venus Rosewater (ironico che si chiami Venus no?) e la sua risposta è stata: “Eccolo qui!”.
Ma quando le hanno chiesto con chi avrebbe voluto danzare al Ballo di Wimbledon Garbine ha prima sorriso imbarazzata cercando di schernirsi, poi non ha retto e pronunciato il nome che ovunque, salvo in Croazia, volevano udire: ROGER! Aggiungendo subito con grande prontezza, a mo’ di giustificazione: “Voglio vedere se è altrettanto elegante anche quando balla!”. Meno male che non ha aggiunto… invece Marin ha un bel sorriso, ma sembra un po’ un orso.