Vedere la finale in diretta o non vederla in diretta, questo è il problema: se sia piĂą nobile d’animo sopportare in tempo reale gli ace e i vincenti del gigante croato, oppure – come ho pressochĂ© sempre fatto- prendere l’auto all’incirca dopo due game e andare a zonzo in attesa che tutto sia finito per poi gustarla registrata. A condizione che Lui vinca, s’intende. Che in caso contrario l’aborrita registrazione verrĂ immediatamente cancellata.
Meglio attendere, come al solito, i messaggini degli amici appassionati che conoscono le mie manie rituali e che mi aggiornano nei momenti topici (Federico: E1… E2… evvaiiii seguito dallo scudo crociato, perchĂ© lui è svizzero; Cuca: “passante incrediiiibbileee” “il tennis giocato così è arte”….) sino alla telefonata fatidica di mio figlio che mi dice “papĂ puoi tornare a casa”? Oppure, per una volta, sfidare tutti i tabĂą e vedere personalmente quello che accade in campo? Un anno fa mi è capitato di guardare uno scampolo di partita in diretta. Ero inopinatamente rimasto in casa e leggevo un libro sul divano, senza peraltro riuscire a capirci nulla tanta era la tensione, a televisore spento. A un certo punto non ho piĂą resistito e ho acceso la televisione: Federer e Raonic stavano disputando il dodicesimo game del quarto set della semifinale di Wimbledon.
Esatto, proprio quel game. Quello in cui da 40-0 e servizio Roger si è fatto fare il break e poi sappiamo tutti come è andata a finire. Un caso? Coincidenza? Sarà , ma meglio toccare ferro, diciamo così per decenza. Immagino che in questo momento i lettori che tifano Federer in cuor loro mi stiano educatamente pregando di non accendere il televisore e di andarmene a fare… un giro. Peraltro, ho scoperto con sollievo di non essere l’unico che durante i match di Federer si comporta così. Gene Gnocchi, grande aficionado del Nostro, ha confessato che appena ha inizio un suo incontro si mette un paio di cuffie in testa ed esce a camminare per ore; quando ritiene che il tempo trascorso a vagare senza meta e senza senso sia sufficientemente lungo perché la partita sia conclusa, rientra in casa. Confesso che qualche piccola infrazione alla regola la commetto.
A volte infatti guardo la App di Wimbledon sul mio smartphone e leggo il parziale in diretta. Ma i pochi secondi di ansia in attesa che sul display compaia il risultato, mi fanno amaramente rimpiangere il fatto di aver voluto sapere. Quale sia poi il motivo per il quale un tranquillo borghese di oltre cinquant’anni e, tennisticamente parlando, inetto come me provi una simile trasfigurata immedesimazione con un tranquillo signore svizzero di 36 anni multimilionario iper-talentuoso che non ha mai incontrato e che mai incontrerà , è un mistero. Chi desideri saperne di più sulla psicologia delle masse e, per similitudine, dei tifosi, può dedicarsi all’avvincente lettura de “Psicologia delle masse e analisi dell’io” scritto nel 1921 da Sigmund Freud che, scherzi a parte, è un caposaldo sull’argomento. Io francamente non me la sento e preferisco rimanere nel mistero.
Ma torniamo alla domanda iniziale: vederla o non vederla live? La vedrò, non ho praticamente scelta. Per una sciagurata coincidenza temporale, domani porterò mio figlio in Trentino a fare una settimana di accademia di tennis organizzata dal suo maestro, l’ex tennista professionista e attuale commentatore di SKY Luca Bottazzi. Mi ha dato appuntamento in hotel alle 15 così, mi ha detto, “possiamo vedere insieme la finale”. Che bello! Ma provate voi a dare buca a una persona che ha scritto, tra gli altri, un libro su Bill Tilden con prefazione di Gianni Clerici che fa parte della biblioteca del Museo di Wimbledon. Io non me la sento.