Quando sul circuito arrivano nuove giocatrici, occorre un po’ di tempo per capirne la vera natura. È sempre così, perché all’inizio l’entusiasmo per la nuova situazione fa diventare le giovani esordienti più forti e decise sul piano caratteriale. Per questo bisogna aspettare qualche stagione: quando gli impegni e i tornei si susseguono settimana dopo settimana, e arrivano le prima cambiali da pagare sotto forma di punti in scadenza dei dodici mesi precedenti. Quando il tennis diventa professione a tutti gli effetti, e smette di essere una novità entusiasmante: è quello il momento della verità. Allora sì che si capiscono i caratteri delle nuove tenniste: i pregi e i difetti, le forze e le debolezze nel loro modo di interpretare la vita del circuito WTA.
Garbiñe Muguruza sul circuito WTA si è affacciata a Miami nel marzo 2012, grazie a un wild card ottenuta tramite la IMG (la società che aveva in comune sia la gestione del torneo che quella della stessa Garbiñe). E al primo impegno importante aveva stupito tutti: da numero 208 del mondo, ancora diciottenne (è nata nell’ottobre 1993), aveva battuto prima la numero 9 del mondo Vera Zvonareva e poi la numero 26 Flavia Pennetta. Solo Agnieszka Radwanska, allora numero 4 del ranking, l’aveva fermata al quarto turno.
Una semisconosciuta che fa fuori una top 10 e una top 30 non capita proprio tutti i giorni, ma a volte le teenager possono essere capaci di imprese che non sempre vengono confermate. Anche nel caso di Muguruza, come sempre, c’è voluto del tempo per capire il suo vero valore. E il suo vero carattere.
Sono passate un po’ di stagioni, e alla fine la natura di Garbiñe è emersa. E si è scoperto che è molto particolare: per sentirsi realizzata ha bisogno dei grandi palcoscenici. La stimola davvero solo la grande sfida, mentre la routine e l’impegno di piccolo cabotaggio non fanno per lei. Il suo palmarès è rivelatore della situazione: ha vinto appena quattro tornei in carriera, ma due di questi sono Slam (Roland Garros 2016 e Wimbledon 2017). Situazione simile a livello di finale. Tre finali perse: una per ritiro a causa di un infortunio, e delle altre due un’altra è di nuovo uno Slam (Wimbledon 2015).
Quindi tutto sommato pochi risultati, in cui però la qualità conta più della quantità. Solo tenendo presente queste caratteristiche si può capire come Muguruza abbia potuto subire una sconfitta per 6-1, 6-0 da Strycova sui prati di Eastbourne il 28 giugno e poi vincere l’evento più prestigioso del tennis il 15 luglio. Questione di motivazioni.
In meno di due settimane Muguruza è passata dall’essere letteralmente spazzata via dalla numero 23 del ranking, al vincere una gran match negli ottavi di Wimbledon contro la numero 1 del mondo uscente, Angelique Kerber. Del resto per arrivare a conquistare uno Slam occorre sconfiggere avversarie molto impegnative.
Il match contro Kerber sul piano della qualità tennistica è stato probabilmente il migliore del torneo (anche se forse qualcuno opterà per Konta-Vekic). Finalmente Kerber, dopo mesi di prestazioni deludenti, si era ritrovata non solo sul piano tecnico ma anche motivazionale: di fronte alla prospettiva doppiamente negativa di uscire dallo Slam e di perdere il primato nel ranking era tornata la Kerber dei giorni migliori, quella che sbaglia pochissimo e lotta su ogni palla. Ne è venuto fuori il classico confronto di stili: la super-difesa di Angelique contro la pressione asfissiante di Garbiñe. Muguruza ha perso il primo set 6-4, e si è resa conto che per prevalere avrebbe dovuto alzare ancora di più il livello del suo tennis. E c’è riuscita: ha vinto secondo e terzo set con un doppio 6-4, e da quella partita non si è fermata più; ha vinto tutti i match successivi in due set.
E cosi se facciamo il conto dei set persi a Wimbledon 2017 dalla nuova campionessa ci dobbiamo fermare proprio a 1, a quel 4-6 poi rovesciato con due set dallo stesso punteggio. Come un treno lanciato: una volta che ha preso velocità, è difficile arrestarne la corsa. Anche in occasione della vittoria del suo primo Slam Muguruza aveva perso un solo set (il primo in assoluto giocato, al primo turno) per poi infilare una serie di 14 set consecutivi. Al Roland Garros 2016 di questa modalità “schiacciasassi” a farne le spese era stata addirittura Serena Williams (battuta in finale per 7-5 6-4). A Londra per Venus è stato anche peggio: ha perso il primo set con lo stesso punteggio della sorella (7-5), ma poi non ci ha creduto più e ha ceduto di schianto (6-0).
Una finale vinta contro Serena e una vinta contro Venus: i suoi Slam Garbiñe se li è conquistati senza scorciatoie o sorteggi fortunati, e lo conferma un record che per il momento appartiene solo a lei: è l’unica giocatrice a essere stata capace di sconfiggere in finali Slam entrambe le sorelle Williams. A questo punto non è molto probabile che qualcuna sappia fare lo stesso, perché per riuscirci non basta conquistare due Slam (e questa è già cosa per pochissime), ma bisogna farlo di fronte a due avversarie che hanno dimostrato di perdere molto poco al di fuori dei confini di famiglia. Curiosità: per provare a eguagliarla allo stato attuale direi che partono avvantaggiate Maria Sharapova, (vincitrice a Wimbledon 2004 su Serena), Samantha Stosur (che ha battuto Serena nella finale degli US Open 2011) e Angelique Kerber (anche lei vincitrice contro Serena agli Australian Open 2016). Se non altro tutte e tre avrebbero da raggiungere una sola finale Slam contro Venus; e poi batterla. Facile a dirsi…
Certi record sono in parte frutto del caso, ma se accadono sono anche legati alla qualità di gioco della protagonista. E Muguruza sta dimostrando di possedere un tennis di alto livello, che non ha ancora smesso di evolvere e di crescere. Sul piano tecnico ci sarebbe molto da dire, ma per evitare di fare discorsi superficiali rimando a un articolo che ho scritto di recente, e che prova a spiegare le specificità di Garbiñe. Per questa volta invece concludo affrontando la questione Muguruza quale possibile “personaggio”, e il suo ruolo nella WTA.
a pagina 2: il personaggio Garbiñe Muguruza