Stanley Kubrick non si offenda per il plagio (parafrasato) del titolo. Anche questa, però, non è una storia di tennis, sebbene abbia visto coinvolti (vittime?) diversi aficionados del tennis rei di amar troppo Roger Federer. Non è nemmeno una storia di ace e servizi vincenti. Quello era il nome del mio vecchio blog, il papà di Ubitennis. È tutt’altra cosa, una storia di… disservizi e team perdenti, spagnoli e britannici. Una lunga storia durata incredibilmente quasi 34 ore.
È cominciata il lunedì dopo la magica domenica che ha incoronato Roger VIII dopo 5 anni senza più lo scettro, a Southfields, la stazione dell’underground dove si deve scendere se si deve imboccare Church Road e approcciare l’All England Club di Wimbledon. “Alright here for Wimbledon tennis” ammonisce – ma non è un warning di Layani – l’altoparlante della “tube” diffidandoti dallo scendere alla fermata successiva della District Line, sebbene si chiami Wimbledon. Quella fermata dal nome ingannevole – quanti saranno caduti nella perfida trappola! – è molto più lontana dall’All England Club. E c’è una salita che levati, un piccolo Izoard per chiunque non abbia la mountain bike e somigli a Fabio Aru o Vincenzo Nibali.
Un’oretta di minicab SouthWestCar (al modico prezzo di 35 sterline, la metà dei taxi “ufficiali”) e sei, anzi… sono, a Gatwick, al South Terminal, baldanzoso e appagato dal nuovo sapere a seguito dell’illuminante conferenza stampa dell’ottuplo campione di Wimbledon che ha appena spiegato perché i giovani della NextGen non riescono a far breccia nel muro dei Fab Four: “Non sanno fare le volée, i loro coach non gliele insegnano, fanno serve&volley 2 volte su 100… per me è una vera pacchia poter rispondere bello tranquillo, anche alto se necessario, sapendo che tanto non mi aggrediranno fin dalla battuta – mi si consenta qui una traduzione un tantino libera che rispecchi il senso delle parole del Messia della Racchetta; è comunque Vangelo e anche i 4, Giovanni, Luca, Matteo e Marco, ne hanno “pubblicate” diverse versioni, non sempre collimanti – ed è una pacchia anche per Rafa, perché se il n.50 del mondo pensa di poterlo battere scambiando da fondocampo, è un povero illuso. E se non sono zoppi o doloranti al gomito – aggiunge benevolo il Messia – nemmeno Andy e Nole ci perderanno mai. Come fanno, questi benedetti giovani della NextGen, a non intuirlo?”. Ipse dixit. Parole – ovviamente – sante.
Illuminato d’immenso anche il vostro cronista si avvicina beato al check-in di quella compagnia che ha nel nome il suo programma: Vueling. Lì scopre di non essere solo. Trecento, forse quattrocento persone bivaccano in coda, l’aria sconsolata. Che cosa è mai successo? I soliti ben informati sono quelli che hanno internet e free roaming (o wi-fi). Curiosamente non sono mai gli addetti in uniforme della Menzies che fanno servizio (parola grossa…) all’aeroporto di Gatwick, ma che almeno muovendosi disordinatamente e senza costrutto dimostrano di esistere. A non esistere, invece, sono gli irresponsabili della Vueling. Non sto offendendo nessuno. Semplicemente constato. A Gatwick, ma anche in tanti altri aeroporti, Vueling non ha proprio personale. Ergo non sarebbe giusto considerare responsabile di una qualunque situazione che venga a crearsi, anche la più delicata, qualcuno che non c’è. Mossa furba, e risparmiosa, questa della compagnia iberica low-cost che riesce, per più che comprensibili esigenze di bilancio, ad evitarsi l’incombenza di un qualsiasi proprio rappresentante in loco, scaricando qualsiasi patata bollente su addetti aeroportuali che non hanno la minima idea di quel che Vueling ha programmato in Spagna. E cioè se l’aereo che deve atterrare è partito. Se è in volo, se è in ritardo. Se c’è qualche problema in aeroporto.
Meno male che ci sono gli internauti. Cortesi, sono alcuni di loro a prodigarsi per diffondere la notizia dell’aereo di Air Canada Rouge cui nel decollo è scoppiata una ruota, che si è anche incendiata. L’aereo ha dovuto far retromarcia e ritorno sulla pista che, trattandosi di un atterraggio d’emergenza, ha dovuto essere debitamente preparata. Caos, sirene, torre di controllo allertata e sulla pista d’atterraggio grande emergenza. Non solo ambulanze e sicurezza di tutti i tipi. Dalle 15 in poi la pista ha dovuto essere… insaponata. L’atterraggio è stato indolore, un po’ di paura a bordo, ma il pilota è stato bravo. Poi però è stato necessario rimuovere l’aereo. C’è voluto un bel po’ di tempo. La pista è rimasta inservibile per quasi tutta la giornata. Molti voli sono stati spostati sulla pista di rullaggio, altri in arrivo cancellati e, di conseguenza, anche in partenza (almeno una ventina fra i quali il Gatwick-Firenze della Vueling in code-share con la British Airways). Naturalmente – o assai poco naturalmente – quasi tutti i passeggeri dei voli prima ritardati e poi cancellati sono stati tenuti all’oscuro di quel che stava succedendo.
Vueling ha brillato per l’assenza dei propri rappresentanti (che non essendoci non potevano palesarsi). Tutti allo sbando, per i vari voli in programma, Firenze, Barcellona, Bilbao e non so più quali altri. Diverse centinaia di passeggeri… frustrati. Nessuno che ti dicesse, nemmeno del personale di Gatwick – impreparato come pochi – se l’aereo che doveva arrivare da quella o quell’altra località era in volo, sarebbe forse atterrato oppure no. Ho saputo il giorno dopo che l’aereo Vueling da Firenze non era stato fatto nemmeno partire. Perché non sia stato avvertito il personale di Gatwick, che ha proceduto a imbarcarmi le valigie come se nulla fosse, è un mistero. Dalle 16 del pomeriggio è stato un lungo bivacco, in mezzo ad un caos impressionante, con i viaggiatori che continuavano ad arrivare, nessuno che spiegava nulla, e tutti si mettevano in coda speranzosi.
Quattro ore dopo, intorno alle 20, la notizia: il volo è stato cancellato. E tutti a cercare l’albergo nei paraggi di Gatwick… con i prezzi di Booking.com e vari siti internet che salivano vorticosamente così come le distanze, 35 km, 45 km e “forse vi conviene andare dalle parti di Heathrow, l’altro aeroporto”. Già, ma chi paga? Nessuno lo sa. “Provate ad andare e probabilmente vi rimborseranno”. Probabilmente? E chi ci assicura? Nessuno. “Tornate fra un’ora”. Il tornate fra un’ora ce lo siamo sentiti ripetere per circa 3 ore. Nel frattempo i più svegli si erano fatti ri-prenotare per l’unico aereo prendibile, il giorno dopo. Ma la garanzia del posto? “Non ci dovrebbero essere problemi” era la risposta poco rassicurante, perché il check-in on line non funzionava, il posto non veniva assegnato. E i miei bagagli imbarcati? “Non si preoccupi, li rimetteremo sull’aereo domani…” … se c’è posto.
Code ai taxi che non vi dico per chi se ne voleva andare. Un po’ prima di mezzanotte si viene avvertiti che qualche bus porterà i passeggeri rimasti a terra negli alberghi falle parti di Heathrow. Quali alberghi? Non si sa. Qualcuno è disposto a dividere la camera con uno sconosciuto? Capita di sentirsi proporre di tutto. Magari potrebbe pure nascere una love-story. Gli alberghi hanno prezzi salati, la certezza del rimborso nessuno sembra assicurarla. Una signora albanese non ha una sterlina e non parla inglese. Una ragazzina molto in gamba di Reggello e di 17 anni si prende cura di lei: dividerà la camera d’albergo. Avverto la padrona di casa di Wimbledon, scusandomi per l’ora e la scocciatura, la camera da rifare, le lenzuola in lavatrice, riprendo la mini-cab di Wimbledon, che impiega 1 ora ad arrivare a Gatwick e torno da dove ero partito, offrendo un passaggio a un giovane ingegnere fiorentino che opta anche lui per tornare a Londra. E via.
Pensavo che fosse finita lì. Ma non mi fido. E martedì torno in buon anticipo per l’aereo Vueling delle 16,20. Alle 13, 30 sono di nuovo a Gatwick. Il caos non è diminuito. Ci sono i passeggeri di ieri e quelli di oggi. Confusione indescrivibile. Tutti in coda. Io la salto per chiedere se davvero i miei bagagli sono al sicuro, imbarcati come mi è stato assicurato il giorno prima, in presenza di testimoni (l’ingegnere fiorentino…). Macchè. “He didn’t know what he was talking about (non sapeva quel di cui stava parlando!)” mi dice il nuovo addetto al check-in (servizio dell’aeroporto). “Lei doveva ritirare il bagaglio ieri sera…”. Non vuol credere che un suo collega mi aveva detto di andar via “perché tanto le sue valigie sono state chekkate e saranno sul suo aereo”. Bene, come si fa a ritirarle per rifare il check-in daccapo? “Eh aspetti, chiedo al manager…”. Sparisce, torna dopo un quarto d’ora. “La scorteranno al deposito bagagli agli arrivi…”. Quando? Non si sa, c’è grande confusione, occorre aver pazienza. Un’ora. Sono le 14,45. Non perdere la pazienza è roba da uomini forti. Anche perché ogni tanto qualcuno del servizio aeroportuale Menzies passa, ma il tizio che fa il check-in a decine di passeggeri furibondi non li vede, ha la testa nel computer.
Ne fermo un paio, senza successo. Poi un terzo mi dà speranze. ”Non si muova da qui”. Un quarto d’ora dopo, e sono le 15, eccolo che spunta con una ragazza in divisa. Non ha l’aria soddisfatta. Il suo turno di lavoro era finito. L’hanno precettata. Dobbiamo uscire dalle partenze, andare agli arrivi. Dogana per uscire e passare dall’altra parte con controllo minuzioso del bagaglio a mano, liquidi nel frattempo presi da gettare, computer e Ipad da far uscire… solite cose. Si attraversa tutto l’aeroporto e si va al deposito bagagli. Due stanzoni con centinaia di bagagli. “Do you recognize yours?” Insomma la valigia rossa è facile, il trolley nero meno. Mi pare un miracolo trovare prima l’una e poi l’altro. Accidenti… la valigia me l’hanno rotta! Non ha più una ruota. “Se vuol fare il reclamo adesso… non so se ce la facciamo…” dice la mia accompagnatrice che non vede l’ora di andarsene via. Ma l’uomo dei bagagli garantisce: “In 10 minuti si fa”. È di parola. Riattraversiamo tutto l’aeroporto, con il bagaglio a mano che andrà re-ispezionato, la valigia che non ha più la ruota e va sollevata, la ragazza che si offre – mossa a compassione – di trascinare il trolley. Sono sudato fradicio, non un bello spettacolo. Perché in mano ho anche la giacca e il piumino da moto. Ma al check- in la ragazza ritiene giustamente di aver svolto la sua missione, non ne può più e mi abbandona. Ha già fatto lo straordinario.
In quel mentre la signorina del check-in presso il quale sono in fila (preceduto da una famiglia di 4 persone che impiega una vita a sistemare figli e bagagli a mano) annuncia che dopo la famiglia chiuderà il suo desk: “My shift is over” e che devo cambiare coda! Sbotto: “Eh no, is not over perché io sono qui da ieri pomeriggio e lei ora mi imbarca questa valigie…” così dicendo mi rivolgo al vicino di desk che mi aveva visto in attesa della scorta da un paio d’ore. Deve essere un capo… le dice di farmi il check-in, lei obtorto collo e bofonchiando obbedisce. Io spero solo che non mi mandi le valigie alla Mecca. Evviva, il check-in è fatto, c’è solo da ripassare con il bagaglio a mano. Sul tabellone un Vueling per Firenze accende la luce intermittente: boarding. Gate n.3. Corro. Mi riaprono per l’ennesima volta la borsa a mano. Arrivo trafelato al gate 3, dove c’è una gran coda e nessuno a fare il boarding. Se lo avessi saputo mi sarei comprato un panino.
Il volo è in ritardo. Vabbè. Due appassionati di tennis mi riconoscono, anche loro sono vittime del volo cancellato, ci facciamo un selfie, poi vediamo che diversi di quelli che arrivano al banco dove si controllano biglietti e passaporti vengono rimandati indietro. Perché? Perché al volo originariamente previsto ne è stato aggiunto un altro, sempre per Firenze. Ma sul tabellone degli orari non ne è comparso che uno. Naturalmente il mio, e quello di una ventina di altri che sono lì, non è questo del gate 3. E quello del gate 25, tutto dall’altra parte. E doveva essere già imbarcato. Giustamente un signore chiede alle due hostess di prendere un microfono in mano per avvertire i presenti di guardare bene il numero del loro volo perché c’è un altro Vueling per Firenze, ma al gate 25. Corriamo tutti come matti, facendo gimkane inverosimili fra la gente. Mentre l’altoparlante dell’aeroporto: “Passengers for Florence, please go to gate 25, the flight is boarding”.
A correre ci sono anche signore anziane che sbuffano come mantici. Ma, chi prima chi dopo, tutti arrivano al fatidico gate 25. L’aereo non è pieno. Sono le 16,20. Le porte dell’aereo restano aperte a lungo, le 17, le 17,15, e noi sull’aereo. Il comandante annuncia che trattandosi di un volo straordinario occorre avere pazienza. Non era previsto lo slot. Qualcuno si accorge, da internet, che un volo Vueling per Firenze è previsto per le 20 e dice: “Ecco perché non c’era sul tabellone delle partenze”. Il comandante dell’aereo, spagnolo, spiega che “stiamo trattando per ottenere uno slot anticipato” (anticipato è una parola grossa ed impropria). Verso le 18,00 annuncia: “Ho una brutta notizia…”. Brivido generale. Prosegue: “La direzione dell’aeroporto ci ha comunicato che non potremo partire prima delle 20, quindi disimbarchiamo e poi reimbarcheremo”. Le hostess avvertono che non potremo lasciare il bagaglio a mano sull’aereo. Una signora scalpita perché vorrebbe fumare una sigaretta.
Si apre il portello dell’aereo. Ma non si apre il portello in fondo al corridoio sopraelevato che congiunge l’aereo all’aeroporto. Il comandante chiama ma sembra che manchi il personale per venire ad aprirci. “Ma allora siamo prigionieri!” commenta una delle tante ragazze toscane che sono sull’aereo, Firenze, Prato, Empoli, Reggello, che hanno dovuto tornare al college dov’erano a un’ora e mezzo da Gatwick la sera prima a mezzanotte, ma che sono – beate loro – di buon umore. A un certo punto viene spenta l’aria condizionata, per poco per fortuna, e si leva un grido di protesta. Il personale di bordo di Vueling può offrire l’acqua, ma per il resto chi vuole bere o mangiare deve pagare. Il personale è gentile, e imbarazzato, ma non ha ordini per fare diversamente. Dovrebbero chiamare in Spagna… ma con chi parlano che li autorizzi? Chiedo se è possibile avere magari un caffè. E loro gentilissimi: “Sì, ma è proprio cattivo… è fatto con l’acqua dell’aereo…”. Lasciamo perdere.
Alle 19 miracolo, anche il portello del corridoio viene finalmente aperto, ma il comandante avverte: “Se volete potete scendere, ma visto come sta funzionando l’handling di Gatwick oggi vi consiglio di rimanere… perché non vorrei che aveste problemi nel risalire”. Una coppia venuta dal Canada via Londra, vittima del volo cancellato il giorno prima, aveva i biglietti per un concerto di una band canadese a Firenze (The Arcade Fire… da me mai sentita). E il biglietto di ritorno questo giovedì. Mi chiedono a che ora possa finire il concerto all’Ippodromo. “Minima idea. Ma prima delle 23,30 a Firenze se anche partiamo alle 20,30 inglesi non arrivate, poi l’albergo a lasciare le valigie e poi all’ippodromo… a mezzanotte suoneranno ancora”. “Restiamo a Londra?” suggerisce lui. Lei chiama due amici: “Firenze per un giorno e mezzo è meglio che niente” è il suggerimento. Accettato, insieme a un paio di buoni ristoranti che gli consiglio e un breve tour per… giapponesi trafelati.
Siamo finalmente partiti alle 20,30 e arrivati alle 23,30. L’atterraggio viene salutato da un coro entusiasta delle ragazze toscane “3-2-1 applausi!!!” e l’aereo quasi trema. I canadesi con il bagaglio a mano corrono ai taxi. Mi ero offerto di accompagnarli all’hotel, ma dovevo ritirare le valigie e era appena arrivato un altro aereo da Francoforte. Attesa imprevedibile. Così hanno fatto la loro scelta. Non potevano sapere che c’erano almeno 200 persone in coda.
Chiedo scusa per questo lunga pappardella, ma l’avevo promessa agli altri viaggiatori, molti dei quali si consolavano così: “Meno male che ha vinto Federer, se non era per lui!”. Ci avrei messo meno ad andare in Australia, ma l’importante è arrivare. E poi ha vinto Federer.