Ci sono una mezza verità e una sottile bugia nelle celebrazioni di Roger Federer in atto in questi giorni. Il fuoriclasse svizzero ha certamente beneficiato della sosta ai box nella seconda parte di stagione 2016, tornando pimpante come un ragazzino e facendo spazio nella sua infinita bacheca per gli Slam n° 18 in Australia e 19 sui prati dell’All England Club. Ma di cosa si parla quando si parla di Federer? Si apre un libro infinito, di cui non è nostra intenzione aggiungere altre pagine. Troppe ne sono state scritte, e certamente da voci più autorevoli. Ci limitiamo a una semplice annotazione statistica, che in questi giorni sembra essere stata dai più dimenticata. Negli ultimi tre anni Federer è stato il più continuo negli Slam dopo Novak Djokovic. Certo, si dirà, è tornato a vincerli, differenza non di poco conto. Ma non è che prima fosse latitante. Anzi.
Molti paiono scordare che da Wimbledon 2014 a Wimbledon 2017, il periodo che abbiamo considerato, ovvero gli ultimi tre anni – coincisi con un Roger che all’anagrafe è passato da quasi 33 a quasi 36 anni – il campione di Basilea ha disputato anche tre finali, tutte perse da un mostruoso Djokovic, e altre tre semifinali. Aggiungiamo che su tredici major, due li ha saltati (US Open 2016 e Roland Garros 2017) e il quadro è di uno splendido ultratrentenne, non in linea con i suoi anni migliori (dal 2004 al 2009) ma sicuramente con il periodo dal 2010 al 2012.
È dunque giusto celebrare quella attuale di Re Roger come una delle più grandi resurrezioni tennistiche? Probabilmente sì, essendo tornato a sollevare Slam dopo quasi cinque anni, ma nelle finali di Wimbledon 2014 e US Open 2015 il livello che lo svizzero seppe esprimere non era molto diverso da quello attuale. Anche allora mise in campo un’ottima condizione atletica, dimostrata in match molto lunghi con Nole, e il consueto repertorio vario e aggressivo. Le novità del Federer attuale sono una maggiore propulsione verticale e un uso più frequente del rovescio in top, peculiarità che in ogni caso – forse non servivano, forse a causa della superficie – sono risultate molto più evidenti a Melbourne che non a Wimbledon. Il vero elemento di discontinuità con le stagioni 2014 e 2015, in fondo, è Ivan Ljubicic al posto di Stefan Edberg nel suo staff, con una rinnovata attenzione tattica verso situazioni e avversari. Così come la clessidra ha continuato, inesorabile, a correre, costringendo Roger ad accorciare i tempi di gioco.
Il più continuo in assoluto, nel triennio esaminato, è ovviamente Djokovic, una sentenza fino a Parigi 2016, con sei titoli, una finale e una semifinale in otto major consecutivi. Da lì è iniziato però il calo di Nole, con l’unico acuto un anno fa a New York, battuto da Wawrinka. Proprio lo svizzero è il terzo “Fab” di questo periodo storico del circuito ATP, con 8.080 punti guadagnati negli Slam, due titoli, una finale, quattro semifinali. Stan è davanti a Murray: lo scozzese ha portato a casa Wimbledon 2016, perso tre finali contro Djokovic e giocato altre tre semifinali. Al quinto posto di questa speciale classifica, lontanissimo, c’è Marin Cilic, che vive la fase migliore della sua carriera, mentre solo al sesto troviamo Nadal, il vero resuscitato della stagione in corso: finale a Melbourne e “Decima” a Parigi per riscattare dieci major consecutivi senza mai raggiungere le semifinali. Ancora più indietro Raonic, Berdych, Nishikori, Thiem, Dimitrov, Gasquet, Querrey, Tsonga, Monfils.
Numeri alla mano e sensazioni negli occhi, chiudiamo con una riflessione molto meno provocatoria di quanto sembra: e se la vera resurrezione di Federer fosse quella vissuta dopo il terribile 2013, celebre soltanto per il funesto mal di schiena?
Classifica per punti negli Slam da Wimbledon 2014 a Wimbledon 2017:
Stefano Bolotta