“Questo Pavic è il nuovo fenomeno croato, a rete prende tutto!”.
Scrivevano così di Mate Pavic i giornalisti britannici nel luglio di sei anni fa, all’indomani della conquista da parte del giovane tennista croato del torneo juniores di doppio di Wimbledon, in coppia con il loro connazionale George Morgan. Era il 2011, anno in cui la promessa spalatina a gennaio aveva raggiunto la top 5 juniores in singolare, in compagnia di giocatori come Dominic Thiem, oggi n. 7 del mondo, e Jiri Vesely, attualmente n. 49 ATP. I due nel frattempo sono diventati nel singolaristi di livello, mentre invece Pavic si è specializzato nel doppio. Ed in luglio ha raggiunto quello che sinora è stato il suo miglior risultato a livello Slam nella specialità: la finale di Wimbledon, dove in coppia con l’austriaco Oliver Marach sono stati sconfitti solo 13-11 al quinto set dal duo composto dal brasiliano Marcelo Melo ed il polacco Kubot. Risultato che gli ha permesso di entrare tra i primi venti del ranking ATP di doppio. Già lo scorso anno però il 24enne dalmata aveva cominciato a farsi notare a certi livelli, dato che in coppia con il neozelandese Michael Venus avevano raggiunto ben otto finali a livello ATP 250, vincendone la metà, e con il connazionale Marin Cilic la semifinale al Masters 1000 di Shanghai. Inoltre si era tolto la soddisfazione di vincere uno Slam, seppure quello nella specialità meno prestigiosa, imponendosi nel doppio misto a New York in coppia con Laura Siegmund.
Dopo la finale dei Championship il tennista croato è tornato nella natia Spalato, dove è stato intervistato dal quotidiano locale “Slobodna Dalmacija” al termine di un allenamento. La prima domanda è stata ovviamente sulle sue impressioni a freddo sulla finale dei Championship, perché quando perdi 13-11 al quinto magari qualche rimpianto può esserci. “La finale mi torna ancora in mente, ed anche le occasioni che abbiamo sprecato, siamo andati veramente vicini a vincerla. Ho questo rimpianto, la sensazione che poteva finire diversamente, ma con il passare del tempo comincio anche a realizzare il fatto che ho ottenuto un grande risultato”. Deve essere anche stata un’emozione particolare giocare sul campo più famoso del mondo, il Centrale di Wimbledon, con le tribune stracolme. “Ci saranno stati 12-13mila tifosi. Atmosfera fantastica, il match è stato un thriller, tiratissimo… Una vera finale”. Per il giocatore croato Wimbledon rappresenta sempre qualcosa di speciale. E non solo per la tradizione. “Wimbledon per me ogni anno è particolare. Il mio compleanno cade proprio durante il torneo (è nato il 4 luglio 1993). L’anno scorso con Venus perdemmo 16-14 contro Murray e Soares proprio il giorno del compleanno. Ogni anno mi accade qualcosa di incredibile. Oltre al fatto che vista la sua tradizione è un torneo particolare per tutti”.
Questa edizione è stata ancora più speciale per Pavic. Perché oltre a raggiungere la sua prima finale Slam in doppio, c’erano a vederlo parenti e amici di Spalato.“Mi avevano avvisato, ma han dovuto in qualche modo arrangiarsi a recuperare i biglietti (ride, ndr). È stato molto bello, era la prima volta che mia madre mi ha visto giocare in un torneo all’estero, al massimo era venuta fino a Zagabria. C’erano la mia ragazza, gli amici, mia sorella Matea, mentre l’altra sorella Nadja (la prima della famiglia a dedicarsi al tennis, grande promessa, è stata n. 293 WTA prima di ritirarsi a soli 24 anni, ndr) era venuta prima. Tutti erano entusiasti, l’impressione è stata fantastica. È stato bello”. Sarà stato anche strano girarsi verso le tribune del Central Court e vedere i volti di chi si solito faceva il tifo per lui attorno ai campi di Baterija, a Spalato, dove Pavic ha iniziato a giocare a tennis. Mate infatti è cresciuto in quella zona della città dalmata ed è diventato un giocatore su quei campi – due in terra battuta e due in cemento – distanti un centinaio di metri dai ben più famosi campi di via Firula del TK Split, dove sono nati tennisticamente giocatori come Pilic, Ivanisevic e Ancic. “Sì, è stato strano, mezza Baterija in finale a Wimbledon, Bello, ma un pochino strano”.
Una delle curiosità da sapere è come si è formata la coppia con il 37enne austriaco Marach. Anche perché nei primi due mesi dell’anno Pavic aveva fatto coppia con Alexander Peya.“Ci siamo incontrati per caso. Ho iniziato la stagione in coppia con Peya, eravamo tutti e due attorno alla trentesima posizione del ranking. Quindi una buona classifica anche lui, le aspettative erano tante.Tutti e due però eravamo reduce da un infortunio agli addominali. Forse ci siamo incontrati nel periodo sbagliato, forse se alcuni match che abbiamo perso fossero girati a nostro favore avremmo continuato assieme. Sta di fatto che entrambi siamo scesi nel ranking e allora abbiamo deciso di non proseguire assieme. Con Marach ci siamo incontrati a Miami: lui non aveva un partner, siamo riusciti ad entrare in tabellone dove abbiamo giocato un buon match, set e break di vantaggio e poi quattro match point non sfruttati contro Baker e Nestor”. Da lì la decisione di continuare assieme. “Ci eravamo trovati bene e avevamo giocato bene, lui non aveva un partner fisso, io ero sceso nel ranking ed ero in una posizione tale da non poter trovare giocatori più forti. Abbiamo deciso di giocare insieme i tornei sulla terra e quelli sull’erba, fino a Wimbledon. Abbiamo continuato a giocare bene, anche se sulla terra avevamo aspettative maggiori rispetto ai risultati raggiunti. Ma poi siamo cresciuti, sull’erba abbiamo raggiunto tre finali (Stoccarda, Antalya e Wimbledon, ndr) e così abbiamo deciso di continuare, sarebbe stato un peccato non finire insieme almeno la stagione“.
In realtà, chi segue i tornei di doppio avrà notato che proprio dopo Wimbledon i due si sono separati: Pavic ad Amburgo e a Washington ha fatto coppia con il connazionale Dodig, mentre il tennista originario di Graz ha giocato a Gstaad con l’altro austriaco Oswald e nella capitale statunitense con il croato Mektic. Si è trattato di una separazione temporanea, già preannunciata da Pavic nell’intervista, che però ha portato bene a tutti e due, dato che due settimane fa hanno vinto contemporaneamente un torneo: Pavic ad Amburgo e Marach a Gstaad. E che non ha fatto perdere loro nemmeno un po’ di sintonia in campo, come dimostra la semifinale raggiunta in Canada la scorsa settimana. “Dai Masters 1000 americani fino a fine stagione continuerò con Marach. Siamo in lizza per il Masters, se avessimo vinto Wimbledon saremmo già tra gli otto. Ma non siamo distanti (al momento dell’intervista erano undicesimi, dopo Montreal sono noni, ndr). Se facciamo ancora un grosso risultato, riusciamo ad entrarci”. Una finale di un torneo del Grande Slam è un risultato importante per chi si è specializzato nel doppio. Anche perché ha un grande impatto in termini pratici per la carriera. “Adesso posso entrare nel tabellone di tutti i tornei, questo significa molto. Nell’ultimo anno gravitavo attorno alla trentesima posizione, sempre al limite, sempre col timore di non riuscire ad entrare nei tornei principali. Non sei mai sicuro, hai bisogno di giocare con qualcuno più alto in classifica per entrare… Adesso la storia è diversa, posso entrare nel tabellone principale dappertutto, sono io che posso scegliere con chi giocare. Wimbledon mi ha aperto parecchie porte”.
C’è da cercare di saperne un po’ di più sulla vita di un doppista. Cosa significa scegliersi il partner, come si mettono d’accordo i doppisti per giocare insieme i tornei del circuito. “Tra di noi ci conosciamo, ci vediamo nei tornei. Molti sanno chi gioca con chi, quali sono i suoi piani. In molti si mettono d’accordo per fare coppia per una o due stagioni. Di qualcuno sai che giocherà col partner più a lungo, degli altri chi invece ha intenzione di finire la stagione e di cercare poi un altro compagno… Vedi quali sono le intenzioni degli altri e ti metti d’accordo”. Il suo profilo sul sito ATP riporta che si allena a Barcellona, lontano da casa. “A casa ormai non sono più da tempo, 5-6 anni. Prima ero a Vienna, ora faccio base a Barcellona, anche se neanche lì vado spesso perché sono sempre in giro per tornei. Tra un torneo e l’altro cerco di tornare piuttosto a casa, ora sono a Spalato più di prima sono più di prima a Spalato. Questa è la vita di chi è sempre in viaggio con la valigia in mano e cambia hotel ogni settimana”. Una vita che comporta qualche disagio, ma che a Pavic piace. “Qualche volta non è facile, ma ti abitui, ed è una bella vita”. C’è poi l’aspetto economico: uno specialista del doppio come lui può dichiararsi soddisfatto da quel punto di vista? “Con il doppio ho guadagnato bene (circa 900mila dollari, dato ATP, ndr). Ora posso disputare i tornei più grandi, che hanno un montepremi maggiore. Anche in questo senso è stato un grosso passo in avanti”.
Parlando di montepremi, la finale di Wimbledon gli ha consentito di guadagnare qualcosa come 100.000 sterline lorde, circa 110.000 euro. Logico chiedergli se ha pensato di farsi un regalo, comprandosi magari una macchina, oppure di investirli per il futuro, acquistando un appartamento o una casetta. “Sinceramente, non sono in una fase della carriera in cui posso pensare di comprare immobili o automobili. Se c’è qualcosa su cui ho pensato realmente di investire, è la mia carriera. Se rimango dove sono nel ranking, se faccio ancora qualche risultato, voglio investire su di me e crearmi un team. A cominciare dall’allenatore, È l’unico modo per ottenere grandi risultati, per continuare a crescere. Tutti hanno con loro l’allenatore, il fisioterapista… un team”. Un team di cui Pavic ha già chiara in mente la composizione. “L’allenatore mi servirebbe sempre, il preparatore fisico solo per un periodo, una ventina di settimane l’anno, e poi anche il fisioterapista…”. La creazione di un team del genere è qualcosa di abbastanza usuale tra i singolaristi, anche quelli classificati in singolare molto peggio di Pavic in doppio. Sicuramente uno dei motivi è la notevole differenza dei premi e quindi delle conseguenti possibilità di investimento: basti pensare che chi viene eliminato al terzo turno del torneo di singolare di Wimbledon guadagna poco meno (90.000 sterline contro 100.00) del finalista del doppio. Il tennista di Spalato lo conferma, ma dall’altra parte sottolinea come arrivando ai vertici della specialità la cosa sia fattibile anche per un doppista. “Loro guadagnano di più e possono permetterselo. Ora però sono anch’io nella situazione di potermelo permettere e se allora se girano più soldi e più punti… Questo è il modo migliore per crescere”.
Un’altra cosa da chiedergli, allora, è se ha già pensato a qualche nome. “No, nessun nome, il piano è appena agli inizi. C’è tempo”. Creare un team, puntare a crescere e migliorare ancora. Pavic ha ben chiari i suoi obiettivi. Anzi, il suo obiettivo. “Voglio arrivare ai vertici della classifica di specialità. Se riuscissi ad entrare tra i primi dieci quest’anno sarebbe veramente un successo. E lo sarebbe anche acciuffare le Finals. A lungo termine l’obiettivo è quello di entrare nei top 10 e rimanerci il più a lungo possibile. Ma non è una cosa che succede in una notte. Se anche adesso rimango tra i primi venti, o quindici, va bene. Perché così poi posso trovare un partner fisso e con queste basi continuare la scalata la prossima stagione, nella quale potrò decidere quali tornei disputare”.
L’intervista si è tenuta vicino ai campi dove Pavic ha iniziato a giocare da ragazzino. Spontaneo chiedergli se quando torna qui ad allenarsi e vede qualche ragazzino giocare si rivede un po’ in loro. “Sì, anche se prima era diverso. Sono passato attraverso tutto questo. Li vedo quando arrivano per allenarsi e come giocano con gli amatori. Mi torna in mente tutto quello che ho fatto io. Ero sul campo tutto il giorno. E fino al 12-13 anni giocavo anch’io con gli amatori: è un’ottima cosa, perché ti costringere a pensare già da piccolo”. Quel ragazzino che pensava a come riuscire a battere i volponi del suo tennis club ora ha altri pensieri, altre ambizioni. Ovvio chiedergli quale sia oggi il suo obiettivo. “Il ranking. Adesso sono tra i primi venti, ed è un qualcosa a cui tengo in modo particolare, è quello che mi spinge ad andare avanti. Molti guardano ai soldi che guadagnano, altri puntano a vincere trofei, tornei, per me l’obiettivo è il ranking. Poter dire un giorno di essere stato il n. 5 al mondo, o il n. 3…“. Uno che da singolarista a quelle posizioni è ormai vicino ad arrivarci, è un ragazzo che Mate conosce bene, dato che da junior si allenavano spesso insieme: Dominic Thiem. “Sì, con Thiem ci allenavamo nel suo Centro Nazionale. Siamo coetanei, abbiamo giocato tante volte assieme. È stato un bravo junior, uno dei migliori della nostra generazione, solo lui e Vesely hanno sfondato in singolare, gli altri no. È sempre stato bravo, ci si aspettava che arrivasse in cima, però forse non così presto, neanch’io credevo che sarebbe passato attraverso il circuito Challenger così velocemente”.
Veloce, ma non velocissimo, dato che Thiem è entrato in top 10 a quasi 23 anni (nel giugno 2016, lui che è nato nel settembre del 1993). Considerato che degli under 25 l’unico altro top ten è il 20enne Zverev, la domanda che tutti si fanno è come mai i giovani fanno fatica ad entrare nei top 10. Chiaro che la pietra di paragone “scomoda” sono i Fab Four: Federer ci è entrato a ventun anni, Nadal prima di compierne diciannove, Djokovic poco prima dei venti, Murray poco dopo. Una domanda che è stata rivolta a Pavic, tra l’altro il primo under 25 della classifica ATP di doppio (il secondo è Jack Sock, n. 20, e l’ultimo gradino del podio è appannaggio di Kyrgios, in 75esima posizione). “Oggi molti giocatori giocano a lungo. C’è l’esempio di Federer che a 35 anni vince uno Slam, di conseguenza i giovani hanno bisogno di più tempo per affermarsi. Se sono abbastanza bravi prima o dopo lassù ci arrivano, ma Thiem mi ha un po’ sorpreso, ci è arrivato presto“.
L’ultimo argomento, quello più scottante in Croazia: i rapporti con il ct della nazionale Zeljko Krajan, che non lo convoca da tre anni in Coppa Davis. Dopo il match dei quarti di finale del Gruppo I contro la Polonia nel 2014, in cui in coppia con Marina Draganja vinse il doppio, Pavic fu escluso dalle convocazioni di quello successivo, lo spareggio contro l’Olanda per la promozione nel World Group, a detta di Krajan per le condizioni che avrebbe posto per partecipare al tie. “Negli ultimi tre anni, da quando non gioco in Coppa Davis, Krajan pubblicamente riporta delle informazioni non corrette sui motivi per cui non gioco, sempre le famose condizioni che io avrei posto. Perché non dice quali sono queste condizioni e perché a nessuno di voi giornalisti è venuto in mente di chiedergli cosa vuole Pavic? L’illustre selezionatore Krajan con il suo comportamento arrogante e le sue dichiarazioni dice molto di sé come persona e come selezionatore di Coppa Davis“. La domanda che ne consegue è allora su quali sarebbero queste dichiarazioni non corrette di Krajan. Che anche dopo la finale di Wimbledon ha confermato di non aver sentito Pavic, che a suo dire continua a porre condizioni. “Dichiarare che in ogni caso non sono necessario, a prescindere dai miei risultati, va a corroborare l’idea che non è interessato che io giochi. Se fosse interessato, mi avrebbe chiamato molto prima dei match contro Giappone e Argentina. Chi vuole, sa come riconoscere potenziale e qualità”.
In effetti, con il top ten Dodig che si è chiamato fuori ad inizio anno dalla Coppa Davis, classifica ATP alla mano Mate in questo momento è il miglior doppista croato tra quelli convocabili. Anche se, ad onor del vero, in doppio da quelle parti si sanno difendere bene in tanti. Basti pensare che oltre a Dodig (n. 10) e Pavic (n. 15), ce ne sono altri tre nella top 100 di specialità: Nikola Mektic è n. 32, Franko Skugor n. 44 e Antonio Sancic n. 98 (e il suo compagno Dino Marcan è poco più in là, n. 103). E proprio la coppia Metkic-Skugor a Wimbledon ha ceduto solo 17-15 in semifinale contro Pavic e Marach e in Davis a febbraio aveva battuto i fortissimi spagnoli Marc e Feliciano Lopez, al tempo campioni in carica del Roland Garros, 6-4 al quinto. Viene quindi da pensare, e lo pensa anche Pavic, che risolvere la questione della sua convocazione non sia vista come una priorità dai vertici della Federtennis croata. “Confermo che c’è un problema sull’asse Pavic-Krajan-Federazione. Chi è a capo della Federazione è a conoscenza del problema e non ha mai mostrato il desiderio di sedersi attorno ad un tavolo per risolvere la cosa. Evidentemente è un’idea condivisa quella che non sono necessario”.
La Federazione croata ad inizio anno è riuscita a ricucire il rapporto tra il ct Krajan ed il giovane Borna Coric, che sembrava irrimediabilmente compromesso dopo che il ventenne zagabrese aveva preso malissimo la decisione di Krajan di escluderlo all’ultimo minuto dalla formazione della finale di Davis dello scorso anno. Magari tra un po’ qualcuno in Federazione potrebbe pensare di fare lo stesso tra il tennista spalatino ed il 38enne coach di Varazdin, da sei anni capitano di Coppa Davis e dal marzo scorso anche allenatore della grande promessa del tennis femminile croato, la 19enne Ana Konjuh, attualmente n. 22 WTA. L’ultima domanda al tennista di Spalato è stata perciò se, nel caso da Zagabria arrivassero segnali positivi nel cercare di risolvere la cosa, lui sotterrerebbe l’ascia di guerra e tornerebbe a indossare la divisa della nazionale. “Il mio amore per la rappresentativa e per la Croazia non è minimamente in discussione. Ho giocato in nazionale in tutte le categorie juniores e tre volte in Coppa Davis.Vorrei giocare, e sono certo di poter dare il mio contributo alla rappresentativa ancora per molto tempo. Ovviamente però in un’atmosfera migliore e più positiva”.