Kei Nishikori: 2017 finito per lui
Lo scorso 1° Luglio, a quasi 29 anni, Yuchi Sugita portava a casa il suo primo titolo ATP sull’erba turca del neonato 250 di Antalya. Qui a Cincinnati, approfittando di un tabellone orfano di tante stelle, Sugita si è presentato quatto quatto ai quarti di finale. Fatto il colpo con Sock al primo turno, il giapponesino ha gestito con sagacia le sfide con il regolarista Sousa e con lo sparatutto Khachanov, che ha finito per perdere da solo la partita sotto gli occhi furbi del suo avversario. Sugita ha dimostrato un bel temperamento in campo, non quello che ti aspetteresti da un giocatore quasi totalmente privo di esperienza a livello Masters 1000 (appena 11 apparizioni, tutte tra 2016 e 2017).
Oltre a Kei Nishikori, il Giappone sta mostrando evidenti segnali di sviluppo sul fronte tennistico? La domanda è d’obbligo non tanto per chi è legato al paese dagli occhi a mandorla quanto per l’enorme potenziale che offre il mercato del tennis asiatico.
Se emergono nuovi giocatori o giocatrici orientali, si apre un mercato vastissimo e molti tornei o citate future sedi di grossi eventi (ATP Finals, atti finali delle nuove Davis e Fed Cup in sede unica e non solo) trovano finalmente senso: al momento capita non di rado di vedere match in città asiatiche (Shenzhen, Nanchang o Zhuhai, sede del Master B femminile) dove la presenza sugli spalti lascia a desiderare.
Se ad esempio entrassero nei primi 30 tra ATP e WTA una decina tra giocatori e giocatrici cinesi, molti locali correrebbero in massa a vedere i tornei anche se non si tratta di un 1000 come Shangai. Tornando al Giappone, la spinta decisiva per far decollare il movimento tennistico nipponico non può arrivare dal solo Nishikori. L’ultimo infortunio che lo costringerà a saltare il resto del 2017 e uscire dalla top 15 è soltanto l’ultimo dei segnali. Anche dovesse concretizzarsi la migliore delle aspettative, ovvero Kei che riesce finalmente a domare i guai fisici e le insicurezze mentali fino a raggiungere la vittoria in uno Slam, il paese del Sol Levante ha bisogno di altri giocatori per non esaurire l’onda di grande entusiasmo che si creerebbe dopo l’eventuale exploit dell’assistito di Michael Chang e Dante Bottini.
Il tennis cinese al momento non è riuscito a sfruttare la spinta di Li Na, vincente al Roland Garros 2011 e all’Australian Open 2014, ma potenzialmente ha i numeri per sfondare. Il Giappone non ha gli stessi numeri ma parte da un top ten in attività e da una realtà più avanzata in termini di giocatori e federazione.
Se scorriamo la classifica ATP, troviamo quattro tennisti nei primi 100 e sette nei primi 200:
Kei Nishikori, n.9
Yuichi Sugita, n.44
Yoshihito Nishioka, n.92
Taro Daniel, n.95
Go Soeda, n.138
Yasutaka Uchiyama, n.162
Tatsuma Ito, n.163
Sugita è l’unico ad aver vinto a livello ATP oltre al finalista degli US Open 2014, ha toccato il n.43 del mondo e il 18 settembre compie 29 anni. Visto il trend attuale che premia l’esperienza e i giocatori trentenni, non è da escludere che riesca a entrare nei primi 30, contribuendo al movimento nazionale pur senza farne la storia. Il giocatore di migliore prospettiva è però Yoshihito Nishioka, ventunenne mancino di Mie penalizzato dalla bassa statura (è alto 1 metro e 70), ma dotato di un ottimo rovescio e di una grande mobilità. Sta vivendo la sua stagione migliore, dopo aver fatto soffrire non poco Nadal ad Acapulco e aver raggiunto gli ottavi di finale a Indian Wells superando prima Ivo Karlovic e poi Tomas Berdych dopo essere stato sotto 6-1 5-2. Dopo un Marzo magico – che gli è valso l’ingresso nei primi 60 del mondo al n.58 – ha subito un pesante infortunio e si è operato al crociato il 4 Aprile scorso. L’età è però dalla sua parte e può costituire un ottimo trait d’union tra Nishikori e le future generazioni.
Volgendo lo sguardo al passato, prima di Nishikori il tennista di maggior successo in Giappone è stato Shuzo Matsuoka, vincitore dell’ATP di Seoul del 1992 (anno in cui raggiunse il best ranking al n.46 ATP) in finale su Todd Woodbrigde, capace di superare il primo turno in tutti gli Slam e soprattutto di raggiungere i quarti di finale a Wimbledon ’95, quando perse da Pete Sampras (poi campione del torneo) non senza portare a casa il primo set al tie-break. A contribuire alla crescita del movimento a partire dagli anni Novanta sono stati anche i tecnici italiani, prima Claudio Pistolesi alla guida del team di Coppa Davis e poi Davide Sanguinetti, tuttora coach del trentaduenne Go Soeda, n.47 nel Luglio 2012 e vincitore in carriera di 16 Challenger. Anche il ventinovenne Tatsuma Ito è stato allenato da Roberto Antonini e ha raggiunto sempre nel 2012 il n.60 ATP. Il movimento appare compatto, con la Federazione nazionale (JTA) che nel 2008, sostenuta dal Comitato Olimpico nipponico, ha messo in piedi a Tokyo il National Training Centre, un centro che ha raccolto i migliori tecnici apertamente elogiato da Pistolesi, mentre la gloria nazionale Matsuoka ha ideato e gestito, coi fondi federali, lo “Shuzo Challenge”, uno stage per i migliori giovani.
Il maggiore difetto dei tennisti giapponesi, dediti per cultura alla disciplina, è stato quello di rivelarsi chiusi e poco disposti a trasferirsi lontano dal loro paese per avere successo. Lo stesso Sanguinetti qualche anno fa, raccontando la sua esperienza con Soeda, rivelò di aver obbligato il suo assistito a partecipare al Challenger di Bergamo per costringerlo a passare più tempo in Europa. Ora la situazione è migliorata e l’esempio è stato dato da Kei Nishikori, che non avrebbe raggiunto la top Ten senza accettare di spostarsi in Florida all’accademia di Nick Bollettieri. In linea con questa tendenza, il n.95 ATP Taro Daniel ha scelto la scuola spagnola e vive a Valencia, allenato da Jose Altur, mentre la migliore speranza del movimento femminile, la diciannovenne n.50 WTA Naomi Osaka (qui capirete perché sentiremo parlare di lei a lungo nei prossimi anni) vive in Florida dall’età di 3 anni e si è formata alla Pro World Academy. In questo caso il merito della federazione giapponese è stato quello di offrire ai genitori un significativo sostegno economico, vincendo la concorrenza della federazione americana.
Considerando in ambito maschile le difficoltà dei migliori talenti delle migliori rappresentanti della Next Gen a centrare la definitiva consacrazione e in ambito femminile la sostanziale anarchia ai vertici del ranking WTA, il Giappone ha la possibilità d’imporsi nei prossimi dieci anni tra le nazioni di rilievo del panorama tennistico mondiale?