Magari non è stato il più acclamato dei numeri 1 del tennis, ma Andy Murray è riuscito comunque a ritagliarsi un ruolo importante, amato e in un certo senso memorabile nel cuore di coloro che hanno a cuore la causa della parità dei sessi nel tennis. Già un paio di volte lo scozzese aveva corretto giornalisti colpevoli, nell’elogio di un risultato particolare, d’aver cancellato completamente “l’altra metà del cielo”. Di aver ridotto insomma il tennis al tennis maschile, dimentichi del fatto che lo sport con la pallina gialla è leader nella gender equality (basti pensare ai montepremi quasi uguali). Ma la più grande botta agli stereotipi di genere Murray la aveva data nel 2014, diventando il primo tennista uomo “top” a scegliersi una allenatrice donna, l’ex campionessa Slam Amelie Mauresmo.
Negli ultimi giorni Murray è tornato sull’argomento, svelando il brutto retroscena della sua scelta coraggiosa (e remunerativa, visto che grazie ai consigli della francese raggiunse la seconda posizione del ranking mondiale). “Quando sui giornali venne fuori per la prima volta che avevo scelto un coach donna, mi arrivò un messaggio da un giocatore, che oggi allena” ha raccontato il tennista di Dunblane. “Diceva: Adoro questo giochino che stai facendo con la stampa, la prossima volta magari digli che stai pensando di farti allenare da un cane. Questo è il genere di commenti che ci furono”. Lui però non sentiva di star facendo nulla di particolarmente trasgressivo: “Io sono cresciuto allenato da mia madre, quindi non ci vedevo proprio nulla di strano”.
Tra una mamma e una coach, per giunta membro della International Tennis Hall of Fame, c’è però una bella differenza. Judy Murray è tuttora una presenza importante nella vita e nella carriera del figlio, ma da quando quest’ultimo gioca ad alti livelli lei si è defilata e di fatto non ha mai ricoperto un ruolo ufficiale. Perciò Murray ha realizzato soltanto dopo, con il passare degli anni e l’avvicendarsi delle guide tecniche, qualcosa di ben più importante – e forse decisivo nella sua scelta di alzare la voce per le colleghe. “La quantità di critiche che Amelie dovette subire non è minimamente paragonabile a quella di ogni altro coach con il quale io abbia lavorato” ha spiegato. “Oggi, quando perdo un incontro, vengo incolpato io. Quando lavoravo con lei, per tutti era sempre colpa sua”.
E infatti nonostante i numerosi apprezzamenti pubblici che la sua scelta ricevette all’epoca, inclusi quelli di Novak Djokovic, da allora nessun tennista di primo piano ha seguito il suo esempio. Anzi. Murray ha fatto giustamente notare come mentre il tennis maschile è pieno di coach dello stesso sesso, in quello femminile scarseggiano le allenatrici. “Molti mi dissero: È una donna, non può capire il gioco degli uomini. Ma allora come può un uomo capire il gioco delle donne?” Obiezione quantomeno legittima. Eppure non capita spesso di sentire qualche grande nome del tennis affrontare questo genere di argomenti. E infatti, quando a Murray è stato domandato se si sentisse l’unico tennista uomo a fare da avvocato difensore del circuito WTA, la sua risposta è stata quella più prevedibile: “Un po’ sì”.