“Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare” cantava il romagnolo Piero Focaccia nel 1963, in un classico della canzone popolare italiana delle estati in cui le ferie italiane erano un vero e proprio status sociale. Trasportando le parole in salsa US Open si potrebbe cantare: “Per quest’anno non cambiare, stesso campo, stesso cemento”. Ma i cambiamenti sono inevitabili, e i giocatori e gli appassionati di tennis che quest’anno si ritrovano al Billie Jean King National Tennis Center per assistere allo spettacolo del tennis mondiale non possono fare a meno di notare un “ingombrante” cambiamento: la chiusura e conseguente ristrutturazione dello storico Louis Armstrong Stadium. L’imponente stadio, che diverrà da 14.000 mila posti a sedere e tetto retrattile, è stato lo stadio principale dell’US Open americano prima dell’arrivo, venti anni fa, dell’Arthur Ashe Stadium.
Al suo posto adesso i giocatori si sfidano su un suo fratello minore temporaneo. Disponibilità 8500 posti a sedere. Posizionato tra il sito di ristrutturazione del vecchio campo e il cancello Est del Tennis Center. Il campo dispone ovviamente di tutte le necessità tecniche del caso, eppure il feeling che emana divide i giocatori. Come se mancasse qualcosa di quella magia che esprimono i campi figli della tradizione del grande tennis. “Sembra di essere agli US Open, ma c’è qualcosa di strano”, ha detto la numero 13 del seed Petra Kvitová, in un’intervista a Fox News dopo aver battuto sul campo la serba Jelena Jankovic 7-5, 7-5 il 28 agosto. “Per esempio quando il sole scendeva non riuscivo a vedere bene il servizio dell’avversaria. E ho dovuto modificare il gioco per risolvere la situazione”, ha concluso. Di differente opinione invece l’americano John Isner, numero 15 del seed, che sul campo sostitutivo ha battuto nel primo turno il francese Pierres-Hugues 6-1, 6-3, 6-3, e sempre a Fox News ha dichiarato: “Un campo da tennis è sempre un campo da tennis. Magari visivamente è molto differente, ma dopo un po’ di partite ci si abitua a tutto”.
MODIFICHE STRUTTURALI ANCHE PER IL TETTO DELL’ARTHUR ASHE STADIUM
Un cambiamento sostanziale – e decisamente imponente – lo aveva anche subito nel 2016 il gioiello di punta dell’US Open statunitense: l’Arthur Ashe Stadium, modernizzato con un nuovo tetto retrattile da 150 milioni di dollari statunitensi. Risolvendo così il fastidioso problema della sospensione dei match in caso di pioggia. Eppure qualcosa anche in questo caso risultava strano e fuori posto. Cosa? Da una parte le voci del pubblico che, con il tetto chiuso, rimbombavano così forte da disturbare i giocatori in campo. E dall’altra i rumori di fondo, che si scopriranno essere il risultato di una somma di fattori: il vecchio sistema di condizionamento (attivo dal 1997), la struttura dello stesso tetto e un trasmettitore per i telefoni cellulari. Il New York Times l’anno scorso scriveva a riguardo: “I fan adesso non avranno più bisogno degli ombrelli, ma forse dovranno comprarsi delle cuffie”.
Ad aver sofferto di più per la mancanza del silenzio sono stati ovviamente i giocatori, come la spagnola Garbiñe Muguruza, che dichiarò al Times dopo un match: “Non ho sentito silenzio per un momento. Un rumore ed un eco senza sosta”. E se l’anno scorso tutti hanno stretto i denti e convissuto con il rimbombo e rumori vari – tra le altre cose il tetto è stato chiuso per quasi la metà dei giorni del torneo (7 su 14), per un totale di 15 ore di gioco – quest’anno i tecnici dell’evento si sono attivati per risolvere il problema. L’organizzazione ha infatti dichiarato di aver ricollocato due strutture nella parte superiore dell’impianto e messo mano anche al sistema di condizionamento, con l’introduzione di sistemi anti rumore e migliorie acustiche. Nessuna modifica è stata invece introdotta per dissipare il rimbombo dato dalle voci dei fan, che sostengono i tecnici dello stadio, anche nel torneo del 2016 è andato a diminuire automaticamente nella seconda settimana, forse per la consapevolezza dello stesso pubblico e per l’importanza dei match in corso nello stadio.
Se davvero la situazione è risolta lo sapremo ufficialmente solo a fine torneo. Anche se nel secondo giorno dell’edizione 2017, che ha visto una pioggia copiosa scendere sui campi di Flushing Meadow, le prima partite sul campo centrale con tetto chiuso, tra cui lo scontro tra il numero 1 del mondo Rafael Nadal e il serbo Dusan Lajovic (battuto per 7-6, 6-2, 6-2), hanno continuato ad avere un sottofondo rumoroso, come ha sottolineato più volte anche il campione spagnolo in conferenza stampa al termine del match. “Per il rumore in diverse occasioni è stato difficile capire quando arrivava la palla e sono stato costretto a fermarmi più volte“. Che ci sia da aspettare il 2018, con l’entrata in operatività del nuovo tetto retrattile del Louis Armstrong Stadium, per non avere più “bisogno delle cuffie” in campo e non fare scontentare lo spagnolo attuale primo numero uno al mondo? Lo scopriremo l’anno prossimo!