dal nostro inviato a New York
Non ho mai nascosto il mio personalissimo debole per Petra Kvitova, prima di tutto dal punto di vista umano, anche se la “principessa ombrosa” è uno dei prodotti migliori della scuola tennis forse di livello tecnico più alto, quella della Repubblica Ceca. Non c’è giocatrice o giocatore di quel paese (o della Repubblica Slovacca) che non sia splendidamente impostato, o che non porti benissimo i colpi. Quella dell’ex-Cecoslovacchia è una tradizione tecnica che affonda le sue radici nel cuore del novecento, partendo dei grandi Jaroslav Drobny e Jan Kodes (leggetene su Ubitennis i profili che ho linkato, sono storie bellissime), il tedesco naturalizzato Roderich Menzel (recordman Davis, 40 vittorie e sole 12 sconfitte), fino ad arrivare a Martina Navratilova, Hana Mandlikova, Helena Sukova, Jana Novotna tra le donne, e Ivan Lendl, Miloslav Mecir, Petr Korda, Tomas Smid, Karel Novacek tra gli uomini. E poi i giorni nostri, con Tomas Berdych, Radek Stepanek, e tra le donne Karolina Pliskova, Lucie Safarova, Daniela Hantuchova, Dominika Cibulkova, e per l’appunto Petra Kvitova. Un elenco di campionesse e campioni straordinario, che fa sorgere la legittima domanda del perchè si sia sviluppata, e abbia tanto prosperato negli anni, una tradizione tennistica del genere in un piccolo paese della Mitteleuropa.
Il collega Jan Jaroch mi racconta che tutto ebbe inizio nel 1906, quando quella cecoslovacca fu tra le prime federazioni nazionali a iscriversi alla neonata ITF. Successivamente, un impulso determinante fu dato dall’appassionato Miroslav Burianek, personaggio di cui anche i media cechi e slovacchi hanno notizie incerte e frammentarie. Pare che fosse un coach e giocatore dilettante, all’epoca il concetto di professionismo non esisteva, naturalmente. Anni prima della seconda guerra mondiale, andò per un lungo periodo negli Stati Uniti, a vedere come giocavano a tennis, per poi ritornare a Praga a divulgare le sue scoperte tecniche e tattiche. Il leggendario Jaroslav Drobny ne parlò ripetutamente come di uno dei suoi punti di riferimento e ispirazione.
Con i successi nel dopoguerra proprio di Drobny, il circolo virtuoso della federazione cecoslovacca era stato avviato, e non si sarebbe più fermato. Tra gli anni ’60 e ’70 ebbe poi grande diffusione, ma solo entro i confini nazionali, un manuale di tecnica del tennis (“Scuola di Tennis”, era il non originalissimo titolo), che vedeva tra gli autori Vera Sukova, finalista a Wimbledon nel 1962, la mamma e allenatrice di Helena, colei che impedì, nel 1984, la realizzazione del Grande Slam a una lanciatissima Martina Navratilova. Sull’erba di Kooyong, a Melbourne, dove ai tempi si giocava l’Australian Open come ultima prova dello Slam, a dicembre, Helena fece in semifinale a Martina lo stesso scherzo che 31 anni dopo riuscì a Roberta Vinci contro Serena Williams, sconfiggendola dopo che Navratilova aveva vinto i tre Major precedenti. Che storie affascinanti.
Ritorniamo a noi, e alla nostra adorabile Kvitova, mi perdonerete per l’excursus storico, ma a volte è anche bello farsi “sfuggire la penna” se si parla di leggende del nostro sport. Petra, dopo il terribile episodio che la vide vittima di un’aggressione a scopo di rapina, da cui uscì con la mano sinistra profondamente ferita da una coltellata, contro ogni più ottimistica previsione è ritornata a pieno diritto nel tennis che conta. La due volte campionessa di Wimbledon, 2011 e 2014, ha eliminato qui a New York una delle favorite, la numero uno virtuale Garbine Muguruza (a sua volta campionessa di Wimbledon, vinto quest’anno), in due set, con una grande prestazione di tecnica e di volontà. La mattina successiva all’impresa sono andato a trovarla sul campo di allenamento “practice 2”, dove ha svolto una sessione abbastanza tranquilla, ma piacevolissima da vedere e da fotografare. Petra ha un tennis pulito, preciso, fatto di sbracciate ampie ma fluide e rapide, non c’è granchè da evidenziare, ma parecchio da ammirare. E poi, lo vedete in testa al pezzo, che bello rivederla sorridere, semplicemente felice di essere ancora qui a giocare, e a vincere con le più forti.
Vediamo qui sopra due dritti, uno affiancato e uno frontale, eseguiti con uguale perfezione dell’allineamento tra braccio-racchetta e palla, niente da dire, solo da imitare se ci si riesce.
Stesso discorso per il rovescio, sia quello classico di fianco (a sinistra) che quello più anticipato e moderno, semi-frontale (a destra). Come la metti la metti, su qualsiasi palla, Petra sviluppa il movimento in modo esemplare.
Qui sopra, un confronto tra i fondamentali con due immagini affrontate, che fa vedere in modo molto bello cosa significa “controllo dell’assetto braccio-racchetta”. Peso ed equilibrio sono perfetti, la cosa impressionante è l’angolo retto impeccabile tra racchetta e avambraccio, con polsi flessi all’indietro e assolutamente bloccati a 90°, sia di dritto, che di rovescio. Impugnature ovviamente diverse, swing a colpire anche, ma nell’attimo in cui il piatto corde va a entrare sulla palla, posture identiche. Guardando solo la racchetta nelle due foto, è come se fosse allo specchio. Una Maestra, davvero.
Come detto, però, esecuzioni fantastiche a parte, per questa degna erede di tanta storia e tradizione del tennis ho un debole personale, e voglio concludere come ho iniziato con l’immagine in testa al pezzo. Perchè la perfezione di un dritto o di un rovescio interessano e affascinano il tecnico, ma una campionessa con un’espressione così, mentre palleggia, con gioia e allegria delle più sincere, e semplice piacere nel colpire la palla, scalda il cuore.
Bentornata tra le grandi, principessa dagli occhi malinconici. Ci mancava, tanto, il tuo sorriso luminoso.