Federer abbassa la guardia (Claudio Giua, repubblica.it)
Non prendete impegni per venerdì: Rafael Nadal e Juan Martin del Potro si affronteranno per disputarsi da par loro il quarto e ultimo Slam del 2017, gli Us Open. L’evento di chiusura di domenica avrà soltanto valore statistico. Senza che questo significhi sottovalutare Kevin Anderson o Pablo Carreno Busta, ottimi ma grigi comprimari.
In semifinale contro lo spagnolo non ci sarà dunque Roger Federer. È, per fortuna, il verdetto del campo e non la scorrettezza di Andy Murray, ritiratosi appena dopo il sorteggio, a sottrarre al pubblico newyorkese e a quello globale il piacere di un’altra “Millennium Final”, come fu definita la sfida di Melbourne, l’inverno scorso, tra gli attuali numero 1 e 2 al mondo. Che quest’anno si sono spartiti i tre primi Slam – allo svizzero Australian Open e Championships londinesi, allo spagnolo il Roland Garros – e quasi tutti i Masters 1000: proprio loro che poco meno di un anno fa gli addetti ai lavori consideravano spompati, disintegrati, ridotti a inaugurare insieme – impinguinati in giacca e pantaloni come i travet della City – la nuova Tennis Academy della famiglia Nadal mentre Murray, Djokovic, Wawrinka e Nishikori erano in tournée in Estremo Oriente a guadagnarsi gli ultimi premi milionari della stagione. Ma sono certo che Nadal-del Potro divertirà i ventiquattromila dell’Arthur Ashe Stadium.
Nervoso e poco convinto, Federer ha ceduto a uno degli avversari che teme e stima di più al termine di una battaglia comunque molto dura. Battendo proprio lo svizzero in finale a Flushing Meadows (3-6 7-6 4-6 7-6 6-2), otto anni fa l’argentino classe 1988 sembrò poter ambire a contendere a Novak Djokovic il ruolo di terzo incomodo nella consolidata supremazia Federer-Nadal sul grande tennis. Poi la sfortuna, sotto forma di tre interventi chirurgici al polso sinistro, lo aveva fermato per anni.
Non è stata una partita memorabile, pur avendo offerto sporadici scambi di notevole fattura. Ha prevalso la propensione di entrambi a puntare sul servizio, sia come fondamentale subito risolutivo sia come preparatorio al successivo vincente. Il primo set (7-5 per l’argentino) e il secondo (3-6) sono stati decisi da un unico break, non recuperato. Il terzo set ha visto del Potro portarsi avanti per 0-3 e Federer tornare sotto sul 4 pari. Il tie break è risultato teso e spettacolare, forse fase più bella del match, con il numero 2 ATP che ha sprecato due occasioni di mettere al sicuro il parziale e del Potro che ha saputo approfittare del proprio unico set point. Di fatto, il match s’è concluso lì.
Il quarto set ha visto del Potro controllare la partita dopo il break ottenuto al sesto game e Federer cocciutamente attaccato alla speranza di poter recuperare: ma l’argentino non ha concesso niente e ha chiuso sul 6-4. Per Juan Martin è la vittoria che sancisce il suo ritorno tra i protagonisti del circuito, riportandolo a ridosso dei Top 20.
Tutt’altra storia l’altro quarto di finale. Se l’obiettivo di Nadal era dire al mondo “..andiamoci piano con i paragoni” non avrebbe potuto esprimersi meglio, indicando con il 6-1 6-2 6-2 di ieri quanta strada Andrey Rublev debba ancora percorrere. Il russo compirà vent’anni in ottobre; alla sua stessa età, nel maggio 2006, il mancino di Manacor aveva già vinto uno Slam (il Roland Garros), sei Masters 1000 (due Internazionali d’Italia, altrettanti Monte Carlo, più Montreal e Madrid), cinque Masters 500 e quattro 250. Se invece l’intento era semplicemente didattico, la lezione di tennis e connessi impartita a uno dei migliori ragazzi della Next Gen vale almeno 450mila dollari, che è la differenza tra il prize money di 470mila dollari che va a chi gioca il quarto di finale e quello di 920mila che tocca a ogni semifinalista degli Us Open.
Il biondissimo moscovita, che s’è proclamato nei giorni scorsi il primo dei tifosi di Rafa (“…facevo collezione delle sue magliette”), è stato travolto dalle parabole incontrollabili e dall’intelligenza tattica dello spagnolo, che dopo cinque turni è apparso decisamente in crescita fisica, tecnica e nervosa (…)
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Nadal, che lezione al tifoso Rublev (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)
«Ok, ragazzino. Ti avevo detto che sei fortissimo, però non ti allargare e facciamo alla svelta». Si può sintetizzare così il pensiero di Rafa Nadal che, dopo la settimana intensiva di Maiorca due anni fa, ha dato un’altra bella lezione, questa volta in una partita vera, ad Andrey Rublev, 19enne russo talentuosissimo, più giovane ai quarti Us Open da Andy Roddick nel 2001. Nell’Arthur Ashe versione indoor, ovvero col tetto chiuso per la pioggia battente che cadeva su New York, il numero 1 al mondo ha liquidato il Next Gen in un’ora e 36 minuti, grazie anche alla complicità del rivale che non è riuscito minimamente a esprimere il suo potenziale. Tu chiamale, se vuoi, emozioni. O braccino. Rublev ha sicuramente pagato lo scotto di trovarsi al cospetto del suo idolo, e dopo un inizio con. il giusto piglio, ovvero riprendendosi il servizio strappatogli da Nadal nel primo game del primo set, è lentamente scivolato negli abissi, non riuscendo più a tenere la battuta e cedendo il primo parziale con un eloquente 6-1 in 23 minuti.
Il servizio è potente, il dritto sa far male, ma quando ci si mettono la componente nervosa e la foga della gioventù, i suoi colpi partono per la tangente o finiscono in rete per un totale di 43 gratuiti contro 18 vincenti. Rafa si impadronisce del servizio del giovane collega nel quinto game del secondo set e non glielo rende più, anzi raddoppia il bottino nel settimo, mandando al reparto statistiche il parziale in una mezzoretta. Nel terzo il copione si ripete, con Rafa avanti subito di un break e il teenager moscovita, ora di stanza a Barcellona, senza armi per combattere. Per la frustrazione, durante un cambio campo comincia a picchiare forte su una scarpa con la racchetta, rischiando anche di sfasciarsi un malleolo. Esce dal campo a capo chino, nonostante la pacca sulla spalla di Rafa e i suoi complimenti: «Era emozionato, per la prima volta nei quarti di uno Slam, quindi ha commesso più errori di quanto non faccia di solito. È normale». Il numero 1 al mondo invece esulta per la semifinale conquistata, la numero 26 in carriera, sesta a New York e terza di questo 2017 straordinario: «Sta per concludersi una stagione molto emozionante per me, dove finalmente dopo anni ho potuto di nuovo competere senza infortuni, vincere Slam e tornare in testa al ranking. Sono felice di aver avuto di nuovo questa opportunità».
Rublev, dunque, impara dal maestro, il suo idolo insieme a Safin, come più volte aveva detto: «Sono io il suo idolo di quando era bambino? Beh… anche io ho giocato con gente che ammiravo e vedevo solo in tv — sorride Rafa —. Questo mi fa piacere ma vuol dire che sono vecchio!». Di sicuro Andrey ha misurato le proprie capacità contro un top player, come si augurava alla vigilia: «Eh sì mi ha dato proprio una bella lezione — ritrova il sorriso il giovane —. Era una grande sfida capire quanto sono lontano dai giocatori migliori al mondo e quanto devo lavorare ancora per diventare come loro. Nadal è un grande professionista, cerca sempre di fare tutto alla perfezione. Ora voglio allenarmi moltissimo, dimostrargli che merito le parole di stima che ha detto su di me e cercare di metterlo in difficoltà, almeno un pochino, la prossima volta che lo affronterò».
Il primo quarto tra un ultratrentenne e un teenager dai tempi in cui un Sampras 19enne sconfiggeva il 3lenne McEnroe nelle semifinali degli Us Open 1990, dimostra che la NextGen che sarà protagonista a novembre nell Finals di Milano non è solo una trovata pubblicitaria, ma è sempre più realtà. Dopo Denis Shapovalov, che aveva battuto proprio Nadal a Montreal alla vigilia della campagna di New York, anche Rublev è proiettato nel futuro del tennis mondiale (…)
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L’anno d’oro di Venus, ora il derby americano (Stefano Semeraro, La Stampa)
La leader maxima ha 37 anni. «Una grande persona, Venus. E lei la nostra guida». Lo dice Sloane Stephens, che sbucando cucciola da Coral Springs, Florida, era stata taggata come sorellina minore delle Williams. Adesso ha 24 anni, l’ultimo passato a ricostruirsi da un infortunio al piede, e stasera Zia Venus se la troverà di fronte nella prima semifinale tutta americana degli Us Open dal 2002. La Williams senior è la copertina dello Yankee Slam di nuovo molto a stelle e strisce dopo lunghe estati di carestia. A New York arrivo la prima volta in finale 20 anni fa, lo ha vinto per la seconda e ultima volta nel 2001. Per tre lustri ha fatto da assistente di lusso a Serena, con la sister alle prese con i primi pannolini ha capito che poteva riprendersi il palcoscenico.
Nei quarti è uscita da un corpo a corpo con Petra Kvitova, 7-6 al terzo: mica male per una di un anno più anziana di Federer (la più anziana semifinalista Slam dopo la Navratilova) e che nel 2011 svelti di essere afflitta dalla sindrome di Sjogren, una malattia autoimmune che le succhia le energie. Sembrava l’anticamera della pensione, invece da lunedì Venus rientrerà fra le top 5, se vincerà il torneo addirittura al n.2. Erano 15 anni, tanto per dire, che non arrivava nello stesso anno in tre semifinali Slam. In Australia e a Wimbledon è stata addirittura finale, nonostante gli strascichi dell’incidente per cui era stata sospettata di aver provocato la morte di un pensionato.
Come è la faccenda del vino buono, Venere? «Quando mi hanno diagnosticato la malattia mi ci è voluto un po’ per accettarlo, ma il bicchiere lo vedo sempre mezzo pieno. Ogni cosa cerco di farla al meglio, e di essere la più forte che posso». Contro Sloane, figlia di un giocatore di football americano dei New England Patriots e di una nuotatrice, le serviranno davvero tutte le forze. «Mi piace giocare aggressivo», predica. «Non sono una che vive sperando. Ho sempre voluto essere padrona del mio futuro (…)
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Zia Venus e nipotine (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Zia Venus porta le nipotine a spasso per il tennis che conta, mostra alle piccole i magici luoghi che lei ha conosciuto venti anni fa, le vette e le opportunità, ne indica i pericoli e le insidie. Le zie insegnano, e a lei il ruolo si addice, un po’ perché lo è diventata davvero un po’ perché non ne può più di sentirsi sorella maggiore. Ora che Serena è in altro affaccendata, Venus affronta il tennis più libera, con lo spirito degli anni giovanili, quando ancora non si sentiva la tennista di scorta, la guardia del corpo mimosa e comprensiva della piccola sister che tutto pretendeva e tutto prendeva. Trentasette anni, e due nipotine tenniste. E semifinaliste come lei. Forse tre, ma i gentili lettori lo sapranno stamane, dal sito del nostro quotidiano, alla voce Madison Keys. Poco cambia, Venus, con Coco e Sloane, indicano che gli Stati Uniti si sono ripresi il tennis femminile, e se Madison dovesse aggiungersi al groppo, il dominio assumerà dimensioni totalizzanti.
Proprio nel giorno – figurarsi – in cui il vertice della Wta si rinnovato, spostandole insegne del comando dalle manine fatate e un po’ evanescenti di Karolina Pliskova, a quelle ben più solide e ruvide di Garbine Muguruza, una spagnola. La ventiquattresima numero uno nella storia dell’altra metà del tennis. La seconda che vi giunge senza il conforto immediato dei risultati. Pliskova vi riuscì a Wimbledon, dove fu battuta al secondo turno. Garbine agli Us Open che l’hanno vista cadere negli ottavi. Ha senso tutto ciò. Forse sì, ed è Venus con la sua lunga storia a inquadrare i nuovi avvenimenti in una dimensione evolutiva. Poche glielo riconoscono, ma Venus è stata la grande ispiratrice della riscossa statunitense nel tennis, forse anche peri giovanetti che attendono di fare scintille in campo maschile.
Lei più di Serena, perché ha affrontato una carriera da numero uno anche quando la sorellina dominava, perché ha combattuto da malata uscendone alla fine vincitrice, e più ancora perché ha fatto tutto quello che ha voluto senza perdere contatto con il tennis, fino a essere ancora qui, fra le favorite nonostante l’età, in una stagione che l’ha già vista due volte finalista nello Slam. E stata, Venus, una grande guida per tutte. Anche se è difficile dirgliela Quando lo ha fatto Garbine, dai microfoni dei Championships, si è quasi rischiato l’incidente diplomatico. «Voglio ringraziare Venus, perché la vedevo giocare quand’ero bambina, ed è stata lei a ispirarmi», la frase della spagnola, accolta dalle risate del pubblico e da un sorrisino di traverso dell’interessata. «Il tennis mi diverte, mi fa sentire bene», ha ripetuto Venus dopo il successo sulla Kvitova. «Per questo sono qui, e non ho intenzione di smettere. Alle ragazze auguro di divertirsi come ho fatto io». Oggi, la semifinale con la Stephens. Conduce Sloane 1-0, ma il match si gioco sulla terra di Parigi 2015 (…)