É uno dei più affermati allenatori della storia del tennis. Uno dei più stimati e adorati dai fan, ma anche da colleghi e giocatori. Di cognome fa Nadal, come il suo pupillo e nipote Rafael, attuale numero uno al mondo. Di nome invece fa Toni, ma per tutti è solo: lo zio Toni. Simbolo di come si può trasformare un giocatore in un campione e allo stesso tempo mantenere un profilo basso e riservato.
Entrambi i Nadal, infatti, non amano le luci della ribalta. E se il nipote si vede costretto a starci, lo zio ne approfitta e vive nella sua ombra, lasciando a lui il compito di mostrare al mondo i risultati del suo lavoro. Toni ha usato la stessa discrezione anche quando, a inizio anno, ha comunicato al mondo il suo ritiro e il passaggio di consegne. Da fine 2016 infatti, è entrato in scena al fianco di Rafael, un altro spagnolo, Carlos Moya, tennista numero uno del mondo (per sole due settimane) nel 1999 dopo aver partecipato alla finale a Indian Wells.
Ma cosa lascia dietro di sé Toni Nadal? In questo momento senza dubbio il suo campione in cima alla vetta della classifica ATP e quindici Slam vinti insieme. Ma anche, dice lui, nessun rimpianto. E come potrebbe averne dopo essere stato l’artefice di uno dei più grandi campioni del tennis mondiale? Ma torniamo un po’ indietro nel tempo: i due iniziano ad allenarsi insieme quando il nipote ha tre anni, e con gli insegnamenti di Toni, Rafael, nato destroide, impara a destreggiarsi con la mano sinistra, segnando colpi che rimarranno nella storia dello sport. Quando Rafael ha otto anni vincono il campionato delle Baleari under 12. Pochi anni dopo lo spagnolo è il miglior giocatore della sua età di tutta la Spagna. In un anno lo sarà di Europa. Da lì la strada per la hall of fame del tennis è spianata. Nel 2010 arriva all’US Open come miglior giocatore al mondo, e tra le altre cose, già campione a Wimbledon.
Quando si parla di allenatori però in molti si chiedono: è davvero lui che fa di un giocatore un campione? O è il campione, con il suo talento, che fa tutto il lavoro? La verità probabilmente sta nel mezzo. Anche se c’è chi sostiene che per esserne certi, l’allenatore in questione, di campioni dovrebbe averne almeno allenati due. Come ha fatto – per citarne uno – Jose Higueras, storico allenatore di Jim Courier e Michael Chang. Cosa ancora più complicata è comprendere dove inizia e dove finisce il merito dei successi raggiunti da Rafael nell’ultimo periodo. Il suo ritorno in pompa magna nel 2017 è infatti coinciso con l’arrivo di Moya in una posizione di comando al suo fianco. Eppure adesso le luci sono tutte puntate sull’addio di lui: Toni l’uomo, Toni lo zio. Una presenza ormai familiare per pubblico e addetti ai lavori, così come per il nipote, che in più occasioni ha parlato dello zio paterno come: “L’uomo più importante della mia carriera tennistica”. Ma anche se lui se ne andrà, non se ne andranno i titoli che i due hanno vinto insieme – 70 – e le partite disputate fianco a fianco – più di 850.
Come cambierà la carriera di Rafael senza lo zio lo scopriremo solo in futuro, intanto Toni si dedicherà all’Accademia del nipote, alla ricerca di altre future promesse del tennis. Per dire un’altra volta: “My work here is done” e lasciarsi dietro un nuovo campione.